I laparoceli rappresentano ancora oggi la più frequente complicanza dopo chirurgia addominale, l'incidenza varia notevolmente secondo le casistiche dal 1-11% al 2-20% (1, 2). Approssimativamente il 4% di questi pazienti è sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico per correggere il difetto di parete. Allorquando si tenga conto dell'alto grado di morbilità e dei costi di cui è gravata questo tipo di chirurgia ben si comprende come il trattamento acquisti un'importanza non trascurabile. La plastica della parete addominale comporta spesso la creazione di notevole tensione ed è gravata infatti da un'elevata incidenza di recidiva (12-54%) (1, 2). L'uso di materiale protesico ha portato ad una notevole riduzione di questa complicanza che si è assestata intorno al 3-24% (1). Comunque, la più bassa incidenza di recidiva viene controbilanciata da un 10-15% di morbilità che va dalla infezione della protesi alla formazione di fistole; l'infezione della protesi il più delle volte, circa nel 50-90% dei casi, comporta la necessità di rimozione del mesh. Nonostante i materiali oggi in commercio garantiscano: resistenza, flessibilità, buona capacità di integrazione con i tessuti dell'ospite la possibilità di dover procedere alla loro asportazione è sempre presente. Tale procedura comporta complesse scelte operative: chiusura senza o con nuovo materiale protesico. Da tali considerazioni nasce l'esigenza di riconsiderare i risultati della nostra casistica al fine di focalizzare i principali problemi riscontrati. Metodo: Tra il 2005 e il 2006 sono stati trattati nella nostra divisione di chirurgia 32 pazienti con laparoceli conseguente a laparotomia mediana per chirurgia addominale e vascolare e 5 con ernia epigastrica od ombelicale. Previo consenso informato tutti i pazienti, 14 maschi e 23 femmine, sono stati sottoposti a correzione chirurgica del difetto di parete mediante procedura laparoscopica. Sono stati utilizzate indifferentemente reti dualmesh in politetrafluoroetilene (PTFE) (Dualmesh -Gore) e polipropilene + ePTFE (Composix E/X mesh, Bard); in un solo caso è stata utilizzata una rete in polipropilene + poliuretano (Combimesh, Angiologica). Le reti sono state fissate con punti in titanio (Protac, Tyco)rispettando un overlap di 3 cm all'inizio della nostra esperienza e di 5 cm successivamente. Soltanto in alcuni pazienti è stato posizionato un drenaggio nella tasca residua. Risultati: Due dei pazienti trattati per laparoceli mediano erano già stati trattati una volta per tale patologia con metodica a cielo aperto. La degenza postoperatoria è stata in media di 7 giorni. Nell'immediato decorso postoperatorio soltanto in un caso si è dovuto procedere a drenaggio chirurgico di un ematoma della parete senza necessità di espiantare la rete e con successivo decorso regolare. Un altro paziente a distanza di circa 30 giorni dall'intervento presentava un sieroma, asintomatico, che veniva aspirato sotto guida ecografia con risoluzione definitiva del caso. In due pazienti si è dovuto procedere a distanza di tempo variabile fra i 30 giorni ed 1 anno all'espianto della rete. Nel primo caso si trattava di una donna che, dopo un decorso postoperatorio soddisfacente e dimissione in 7 giornata, giunta al domicilio aveva cominciato ad accusare febbricola serotina persistente. Un esame ecografico dimostrava la presenza di piccole raccolte sierose nell'area di accollamento della rete. La paziente veniva monitorizzata per un ulteriore periodo con adeguata terapia medica (antiflogistici e antibiotici). Non recedendo la sintomatologia e per l'estendersi delle raccolte sierose si decideva di procedere a nuova ospedalizzazione per la rimozione chirurgica della rete. All'intervento la protesi, non perfettamente adesa alla parete, non presentava segni di infezione pur in presenza di una marcata reazione flogistica dei tessuti; il difetto di parete veniva quindi riparato senza l'utilizzo di materiale protesico. Il secondo paziente ad 1 anno dall'intervento veniva ricoverato d'urgenza per l'insorgenza di sintomatologia da addome acuto che all'intervento laparotomico risultava da imputare ad appendicite acuta gangrenosa con ascesso periappendicolare. Dopo ripetuti lavaggi della cavità peritoneale con fisiologica si decideva di non procedere all'espianto della rete che appariva peraltro ben inglobata nei tessuti. Il decorso postoperatorio era regolare, ma a distanza di 2 mesi la ferita presentava due aree di deiscenza attraverso le quali fuoriusciva del materiale siero-purulento. Le medicazioni ambulatoriali portavano alla detersione delle ferite ma la rete tendeva ad essere espulsa attraverso questi tramiti. Si procedette quindi all'ospedalizzazione del soggetto che venne sottoposto ad espianto della rete che peraltro appariva tenacemente adesa e senza aree di infezione in atto; venne eseguita la chiusura primaria del difetto utilizzando come rinforzo delle reti in collagene porcino. Conclusioni: I dati riportati in letteratura depongono a favore del trattamento laparoscopica piuttosto che a cielo aperto, tutti abbiamo potuto constatare la riduzione della sintomatologia dolorosa riferita dai pazienti nell'immediato postoperatorio che si traduce in un minor uso di analgesici. Per quanto ci riguarda non abbiamo avuto una significativa riduzione del tempo di degenza in quanto almeno in questa prima fase abbiamo voluto seguire in maniera stretta i nostri pazienti. Il nostro follow-up è ancora troppo breve per poter esprimere in maniera definitiva un parere circa la percentuale di recidive che al momento comunque non abbiamo riscontrato. Vari autori riportano la formazione di sieromi in quasi la metà dei pazienti, infatti questi vengono segnalati soltanto quando devono essere drenati con metodica chirurgica (3). La loro aspirazione con ago sottile, così come è avvenuto nel nostro caso, rientra ormai in un "normale" decorso postoperatorio. L'espianto della rete si rende necessario allorquando questa si infetta, per quanto ci riguarda nei due casi occorsi alla nostra osservazione non abbiamo trovato segni di infezione, ma tessuto di granulazione esuberante. In realtà ancora oggi il rapporto fra rete e ospite presenta dei lati oscuri in quanto non risulta prevedibile il grado di risposta al "corpo estraneo" costituito dalla rete. Il secondo caso da noi descritto non costituisce comunque, in senso stretto, una complicanza all'intervento laparoscopico di correzione del difetto di parete. Vari fattori possono essere entrati in gioco: la peritonite, dovuta ad appendicite, o la formazioni di sieromi legati probabilmente alla relaparotomia. L'eventualità di una relaparotomia attraverso una rete è un evento quanto mai possibile, in un recente lavoro è stata testata la resistenza tensile delle reti in polipropilene rispetto a quelle in politetrafluoroetilene (PTFE) dopo tale evento (4). L'autore conclude affermando che le reti in polipropilene conservano una ottimale resistenza rispetto alle altre, ma ciò non impedisce che le protesi possano essere utilizzate come "neo fasce" per chiudere la parete. L'uso del collagene porcino trovava conforto in un lavoro pubblicato nel 2004 in cui venivano utilizzate reti ottenute dalla sottomucosa del piccolo intestino di maiale per correggere dei difetti di parete contaminati o potenzialmente contaminati (5). Alla luce della nostra iniziale esperienza possiamo affermare che la tecnica laparoscopica offre indubbi vantaggi rispetto alla metodica a cielo aperto nonostante le complicanze riscontrate.
Grande, M., Attinà, G., Rulli, F., Galatà, G., Ridolfi, C., Farinon, A.m. (2007). COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA DEI LAPAROCELI E DELLE ERNIE VENTRALI: NOSTRA ESPERIENZA. In Comunicazioni.
COMPLICANZE DELLA CHIRURGIA LAPAROSCOPICA DEI LAPAROCELI E DELLE ERNIE VENTRALI: NOSTRA ESPERIENZA
GRANDE, MICHELE;RULLI, FRANCESCO;FARINON, ATTILIO MARIA
2007-01-01
Abstract
I laparoceli rappresentano ancora oggi la più frequente complicanza dopo chirurgia addominale, l'incidenza varia notevolmente secondo le casistiche dal 1-11% al 2-20% (1, 2). Approssimativamente il 4% di questi pazienti è sottoposto ad un nuovo intervento chirurgico per correggere il difetto di parete. Allorquando si tenga conto dell'alto grado di morbilità e dei costi di cui è gravata questo tipo di chirurgia ben si comprende come il trattamento acquisti un'importanza non trascurabile. La plastica della parete addominale comporta spesso la creazione di notevole tensione ed è gravata infatti da un'elevata incidenza di recidiva (12-54%) (1, 2). L'uso di materiale protesico ha portato ad una notevole riduzione di questa complicanza che si è assestata intorno al 3-24% (1). Comunque, la più bassa incidenza di recidiva viene controbilanciata da un 10-15% di morbilità che va dalla infezione della protesi alla formazione di fistole; l'infezione della protesi il più delle volte, circa nel 50-90% dei casi, comporta la necessità di rimozione del mesh. Nonostante i materiali oggi in commercio garantiscano: resistenza, flessibilità, buona capacità di integrazione con i tessuti dell'ospite la possibilità di dover procedere alla loro asportazione è sempre presente. Tale procedura comporta complesse scelte operative: chiusura senza o con nuovo materiale protesico. Da tali considerazioni nasce l'esigenza di riconsiderare i risultati della nostra casistica al fine di focalizzare i principali problemi riscontrati. Metodo: Tra il 2005 e il 2006 sono stati trattati nella nostra divisione di chirurgia 32 pazienti con laparoceli conseguente a laparotomia mediana per chirurgia addominale e vascolare e 5 con ernia epigastrica od ombelicale. Previo consenso informato tutti i pazienti, 14 maschi e 23 femmine, sono stati sottoposti a correzione chirurgica del difetto di parete mediante procedura laparoscopica. Sono stati utilizzate indifferentemente reti dualmesh in politetrafluoroetilene (PTFE) (Dualmesh -Gore) e polipropilene + ePTFE (Composix E/X mesh, Bard); in un solo caso è stata utilizzata una rete in polipropilene + poliuretano (Combimesh, Angiologica). Le reti sono state fissate con punti in titanio (Protac, Tyco)rispettando un overlap di 3 cm all'inizio della nostra esperienza e di 5 cm successivamente. Soltanto in alcuni pazienti è stato posizionato un drenaggio nella tasca residua. Risultati: Due dei pazienti trattati per laparoceli mediano erano già stati trattati una volta per tale patologia con metodica a cielo aperto. La degenza postoperatoria è stata in media di 7 giorni. Nell'immediato decorso postoperatorio soltanto in un caso si è dovuto procedere a drenaggio chirurgico di un ematoma della parete senza necessità di espiantare la rete e con successivo decorso regolare. Un altro paziente a distanza di circa 30 giorni dall'intervento presentava un sieroma, asintomatico, che veniva aspirato sotto guida ecografia con risoluzione definitiva del caso. In due pazienti si è dovuto procedere a distanza di tempo variabile fra i 30 giorni ed 1 anno all'espianto della rete. Nel primo caso si trattava di una donna che, dopo un decorso postoperatorio soddisfacente e dimissione in 7 giornata, giunta al domicilio aveva cominciato ad accusare febbricola serotina persistente. Un esame ecografico dimostrava la presenza di piccole raccolte sierose nell'area di accollamento della rete. La paziente veniva monitorizzata per un ulteriore periodo con adeguata terapia medica (antiflogistici e antibiotici). Non recedendo la sintomatologia e per l'estendersi delle raccolte sierose si decideva di procedere a nuova ospedalizzazione per la rimozione chirurgica della rete. All'intervento la protesi, non perfettamente adesa alla parete, non presentava segni di infezione pur in presenza di una marcata reazione flogistica dei tessuti; il difetto di parete veniva quindi riparato senza l'utilizzo di materiale protesico. Il secondo paziente ad 1 anno dall'intervento veniva ricoverato d'urgenza per l'insorgenza di sintomatologia da addome acuto che all'intervento laparotomico risultava da imputare ad appendicite acuta gangrenosa con ascesso periappendicolare. Dopo ripetuti lavaggi della cavità peritoneale con fisiologica si decideva di non procedere all'espianto della rete che appariva peraltro ben inglobata nei tessuti. Il decorso postoperatorio era regolare, ma a distanza di 2 mesi la ferita presentava due aree di deiscenza attraverso le quali fuoriusciva del materiale siero-purulento. Le medicazioni ambulatoriali portavano alla detersione delle ferite ma la rete tendeva ad essere espulsa attraverso questi tramiti. Si procedette quindi all'ospedalizzazione del soggetto che venne sottoposto ad espianto della rete che peraltro appariva tenacemente adesa e senza aree di infezione in atto; venne eseguita la chiusura primaria del difetto utilizzando come rinforzo delle reti in collagene porcino. Conclusioni: I dati riportati in letteratura depongono a favore del trattamento laparoscopica piuttosto che a cielo aperto, tutti abbiamo potuto constatare la riduzione della sintomatologia dolorosa riferita dai pazienti nell'immediato postoperatorio che si traduce in un minor uso di analgesici. Per quanto ci riguarda non abbiamo avuto una significativa riduzione del tempo di degenza in quanto almeno in questa prima fase abbiamo voluto seguire in maniera stretta i nostri pazienti. Il nostro follow-up è ancora troppo breve per poter esprimere in maniera definitiva un parere circa la percentuale di recidive che al momento comunque non abbiamo riscontrato. Vari autori riportano la formazione di sieromi in quasi la metà dei pazienti, infatti questi vengono segnalati soltanto quando devono essere drenati con metodica chirurgica (3). La loro aspirazione con ago sottile, così come è avvenuto nel nostro caso, rientra ormai in un "normale" decorso postoperatorio. L'espianto della rete si rende necessario allorquando questa si infetta, per quanto ci riguarda nei due casi occorsi alla nostra osservazione non abbiamo trovato segni di infezione, ma tessuto di granulazione esuberante. In realtà ancora oggi il rapporto fra rete e ospite presenta dei lati oscuri in quanto non risulta prevedibile il grado di risposta al "corpo estraneo" costituito dalla rete. Il secondo caso da noi descritto non costituisce comunque, in senso stretto, una complicanza all'intervento laparoscopico di correzione del difetto di parete. Vari fattori possono essere entrati in gioco: la peritonite, dovuta ad appendicite, o la formazioni di sieromi legati probabilmente alla relaparotomia. L'eventualità di una relaparotomia attraverso una rete è un evento quanto mai possibile, in un recente lavoro è stata testata la resistenza tensile delle reti in polipropilene rispetto a quelle in politetrafluoroetilene (PTFE) dopo tale evento (4). L'autore conclude affermando che le reti in polipropilene conservano una ottimale resistenza rispetto alle altre, ma ciò non impedisce che le protesi possano essere utilizzate come "neo fasce" per chiudere la parete. L'uso del collagene porcino trovava conforto in un lavoro pubblicato nel 2004 in cui venivano utilizzate reti ottenute dalla sottomucosa del piccolo intestino di maiale per correggere dei difetti di parete contaminati o potenzialmente contaminati (5). Alla luce della nostra iniziale esperienza possiamo affermare che la tecnica laparoscopica offre indubbi vantaggi rispetto alla metodica a cielo aperto nonostante le complicanze riscontrate.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.