Mi dicono ci sia una certa attenzione alle conclusioni di questo Congresso e anche, come sempre, qualche rumor nei corridoi su cosa la geografia e un congresso geografico dovrebbero dire e fare. Invitata a concludere, non necessariamente potrò dare anche soluzioni, quantomeno condivisibili. Lo dico subito perché le mie competenze richiameranno una direzione che non mi pare inclusa in questo Congresso. Posso quindi solo invitare la geografia ad aprire un dibattito con ancora più forza di quanto non sia stato già fatto o detto in questi giorni, perché la geografia italiana sa riservare molte sorprese e ogni volta che ne ascolto quello che sappiamo fare meglio, le literature review, le suggestioni, le interpretazioni, gli umori - ma soprattutto le “visioni” - resto colpita da come sappia porgere se stessa guardando il nuovo rimanendo ancorata al passato. In questo momento, credo che parlare di ‘città e geografia’ sia già un gran risultato, per chi ha forse sottovalutato la necessità, per la nostra storia di geografi italiani, di elaborare una metodologia che sappia fare anche progetto e ha preferito raccontare e comparare approcci metodologici (spesso altrui), piuttosto che rompere il silenzio della disciplina di fronte all'accavallarsi e susseguirsi di momenti critici per la società, l'economia, il territorio. Se dovesse avverarsi quello che il Fondo Monetario oggi paventa, tra tre mesi dovremmo obbligarci a rivedere i tanti interrogativi emersi in questi giorni sotto tutt'altra luce e adottare soluzioni e decisioni immediate. Dovremmo assumerci qualche responsabilità. E' dunque un bene che la Geografia italiana si sia concessa ancora una volta un tempo per discutere, anche se parzialmente, dei suoi riferimenti culturali (non le chiamerei scuole, anche se in futuro potrebbero diventarle) e non di misura e struttura dello sviluppo socioeconomico, di lavoro e occupazione, di densificazione e di resilienza dei comportamenti della popolazione, di PIL e libero mercato, del significato degli scambi di vicinato e del “mercato delle decisioni” che potrebbe accogliere i contributi geografici. Ed è un bene che lo abbia fatto qui a Milano cercando di sviluppare un pensiero critico nei confronti dei temi generali dominanti e delle ricette degli economisti, dei sociologi, degli antropologi, degli urbanisti. Dovrebbe farlo pero a modo suo e in termini originali, cioè facendo capire alla collettività che si è riunita in questi giorni e a quella che ci ascolta che c’è ancora possibilità di fare ricerca. Qualcosa si è detto, ma è solo ancora qualche accenno, un pò un racconto di quello che si vorrebbe e potrebbe fare, praticata in modo separato e scarsamente coeso, seppure con la necessaria tensione e consapevolezza individuale che la ricerca richiede. E' un obbligo quello della ricerca geografica sistematica a cui non possiamo sottrarci. A fasi alterne – e questa è una di quelle - la geografia italiana appare caotica e un po’ incerta di fronte alla realtà e alla domanda di scelta, decisione e progetto; ma è proprio dalla geografia e dalla sua capacita di dare risultati utili, a varie scale, che influenzano i molti settori dello sviluppo, che l'Europa attende soluzioni (Geography matters va dicendo da anni un urbanista come Faludi). E dunque cosa deve fare un Congresso nazionale se non fare il punto e condividere i principi irrinunciabili da cui ripartire per costruire quella nuova visione territoriale che guarda alla pianificazione strategica, che ridiscute, a partire dalla città, le regole di mercato, includendo intelligentemente quelle della qualità della vita? Ho detto che un congresso fa il punto, ma in realtà ha anche il compito di far intravedere, in nuce o in controluce, un new public message geografico. Connettere tutti i documenti, i contributi che hanno arricchito questi giorni, sarà lo sforzo che gli organizzatori dovranno fare nella fase post congressuale, dando un'immagine della ricerca geografica italiana che segni il cambiamento auspicato da Franco Farinelli e dagli organizzatori in apertura. All'AGeI credo spetti invece il compito di rendere visibile all'esterno, attraverso un new public management trasparente e una nuova governance, il progetto della geografia italiana del futuro, affinché i prodotti della ricerca e della discussione si trasformino in indicatori quali-quantitativi comparabili e comprensibili anche da chi geografo non è o da chi non lo è ancora e vorrebbe esserlo. Mi riferisco agli indicatori appena pubblicati dal MIUR che impegneranno nei prossimi 2 anni l'AGeI nella discussione di una “mediana” che, vista dall'esterno, non ci rappresenta, ma che ci obbliga a misurarci con circuiti relazionali a forte competitività e produttività per contrastare, nel campo della ricerca un tasso di mortalità e disoccupazione a due cifre anche nella geografia. Aiuta quindi quello che il Congresso ha offerto: uno thinking space che mi auguro in futuro sia ancora più partecipato. Tornado ai contenuti del Congresso: un progetto geografico per la città contemporanea? Non c’è ancora dal mio punto di vista. Non solo perché i temi del prossimo futuro, quelli di Europe 2020: smart city/territory/place evidence non sono ancora maturati in modo originale nel nostro campo, ma anche perché la geografia italiana non ha, a mio avviso, ancora consapevolezza di quanto la città incida sulla crescita equilibrata del PIL in Italia! Lo sanno invece in Scozia dove ho recentemente partecipato ad un convegno sullo stesso tema e dove si è discusso di come Edimburgo sia potuta diventare un centro di eccellenza e cresciuta fino a rappresenta il 93% del PIL di Londra; possieda più brevetti della Capitale; o di come Glasgow occupi in Europa il 10° posto per autonomia strutturale al punto da competere con le autorità regionali in molti campi, tra cui l’housing. Ancora: potremmo parlare della Finlandia, dove l’apporto geografico ha inciso sulla riduzione delle municipalità, o dell’Olanda dove sono le province – quelle di cui l’Italia si sta liberando così velocemente - a risolvere i potenziali conflitti tra imprese e pubblico attraverso azioni di planning basate su regole molto precise. Senza dimenticare “le differenze geografiche” e il capitale territoriale, per cui in Scozia le regole sono diverse da regione a regione e nelle regioni baltiche (come ad esempio Finlandia e Danimarca) le questioni urbane e territoriali si risolvono attraverso dibattiti pubblici e realmente partecipati anche di fronte a temi molto conflittuali come quello degli shopping centre e indipendentemente dal fatto che la responsabilità della decisione sia regionale o nazionale. Se si vuole offrire una definizione di città contemporanea intelligente, sostenibile, inclusiva pensata dalla geografia italiana c’è tutto un capitale territoriale da studiare, calcolare e valutare. Dobbiamo essere capaci di ridefinire una città dove gli investimenti nel capitale umano e sociale, nei processi di partecipazione, nell’istruzione, nella cultura, nelle infrastrutture per le nuove comunicazioni, alimentino uno sviluppo economico sostenibile, garantendo un’alta qualità di vita per tutti i cittadini, prevedendo una gestione responsabile delle risorse naturali e sociali, attraverso regole di governance condivise. L'invito che posso fare come ricercatore e membro AGeI è che tutto questo diventi uno dei target di supporto dei requisti smart (intelligenti) che Horizon 2020 chiede alla nostra ricerca, affinché anche i nuovi fondi strutturali investano su una disciplina fondamentale per delineare il futuro della politica di coesione tutta fondata sulla diversità territoriale e dei suoi potenziali. Dunque sulla geografia.

Prezioso, M. (2014). Note conclusive. ??????? it.cilea.surplus.oa.citation.tipologie.CitationProceedings.prensentedAt ??????? XXXI Congresso Geografico Italiano, Milano.

Note conclusive

PREZIOSO, MARIA
2014-12-01

Abstract

Mi dicono ci sia una certa attenzione alle conclusioni di questo Congresso e anche, come sempre, qualche rumor nei corridoi su cosa la geografia e un congresso geografico dovrebbero dire e fare. Invitata a concludere, non necessariamente potrò dare anche soluzioni, quantomeno condivisibili. Lo dico subito perché le mie competenze richiameranno una direzione che non mi pare inclusa in questo Congresso. Posso quindi solo invitare la geografia ad aprire un dibattito con ancora più forza di quanto non sia stato già fatto o detto in questi giorni, perché la geografia italiana sa riservare molte sorprese e ogni volta che ne ascolto quello che sappiamo fare meglio, le literature review, le suggestioni, le interpretazioni, gli umori - ma soprattutto le “visioni” - resto colpita da come sappia porgere se stessa guardando il nuovo rimanendo ancorata al passato. In questo momento, credo che parlare di ‘città e geografia’ sia già un gran risultato, per chi ha forse sottovalutato la necessità, per la nostra storia di geografi italiani, di elaborare una metodologia che sappia fare anche progetto e ha preferito raccontare e comparare approcci metodologici (spesso altrui), piuttosto che rompere il silenzio della disciplina di fronte all'accavallarsi e susseguirsi di momenti critici per la società, l'economia, il territorio. Se dovesse avverarsi quello che il Fondo Monetario oggi paventa, tra tre mesi dovremmo obbligarci a rivedere i tanti interrogativi emersi in questi giorni sotto tutt'altra luce e adottare soluzioni e decisioni immediate. Dovremmo assumerci qualche responsabilità. E' dunque un bene che la Geografia italiana si sia concessa ancora una volta un tempo per discutere, anche se parzialmente, dei suoi riferimenti culturali (non le chiamerei scuole, anche se in futuro potrebbero diventarle) e non di misura e struttura dello sviluppo socioeconomico, di lavoro e occupazione, di densificazione e di resilienza dei comportamenti della popolazione, di PIL e libero mercato, del significato degli scambi di vicinato e del “mercato delle decisioni” che potrebbe accogliere i contributi geografici. Ed è un bene che lo abbia fatto qui a Milano cercando di sviluppare un pensiero critico nei confronti dei temi generali dominanti e delle ricette degli economisti, dei sociologi, degli antropologi, degli urbanisti. Dovrebbe farlo pero a modo suo e in termini originali, cioè facendo capire alla collettività che si è riunita in questi giorni e a quella che ci ascolta che c’è ancora possibilità di fare ricerca. Qualcosa si è detto, ma è solo ancora qualche accenno, un pò un racconto di quello che si vorrebbe e potrebbe fare, praticata in modo separato e scarsamente coeso, seppure con la necessaria tensione e consapevolezza individuale che la ricerca richiede. E' un obbligo quello della ricerca geografica sistematica a cui non possiamo sottrarci. A fasi alterne – e questa è una di quelle - la geografia italiana appare caotica e un po’ incerta di fronte alla realtà e alla domanda di scelta, decisione e progetto; ma è proprio dalla geografia e dalla sua capacita di dare risultati utili, a varie scale, che influenzano i molti settori dello sviluppo, che l'Europa attende soluzioni (Geography matters va dicendo da anni un urbanista come Faludi). E dunque cosa deve fare un Congresso nazionale se non fare il punto e condividere i principi irrinunciabili da cui ripartire per costruire quella nuova visione territoriale che guarda alla pianificazione strategica, che ridiscute, a partire dalla città, le regole di mercato, includendo intelligentemente quelle della qualità della vita? Ho detto che un congresso fa il punto, ma in realtà ha anche il compito di far intravedere, in nuce o in controluce, un new public message geografico. Connettere tutti i documenti, i contributi che hanno arricchito questi giorni, sarà lo sforzo che gli organizzatori dovranno fare nella fase post congressuale, dando un'immagine della ricerca geografica italiana che segni il cambiamento auspicato da Franco Farinelli e dagli organizzatori in apertura. All'AGeI credo spetti invece il compito di rendere visibile all'esterno, attraverso un new public management trasparente e una nuova governance, il progetto della geografia italiana del futuro, affinché i prodotti della ricerca e della discussione si trasformino in indicatori quali-quantitativi comparabili e comprensibili anche da chi geografo non è o da chi non lo è ancora e vorrebbe esserlo. Mi riferisco agli indicatori appena pubblicati dal MIUR che impegneranno nei prossimi 2 anni l'AGeI nella discussione di una “mediana” che, vista dall'esterno, non ci rappresenta, ma che ci obbliga a misurarci con circuiti relazionali a forte competitività e produttività per contrastare, nel campo della ricerca un tasso di mortalità e disoccupazione a due cifre anche nella geografia. Aiuta quindi quello che il Congresso ha offerto: uno thinking space che mi auguro in futuro sia ancora più partecipato. Tornado ai contenuti del Congresso: un progetto geografico per la città contemporanea? Non c’è ancora dal mio punto di vista. Non solo perché i temi del prossimo futuro, quelli di Europe 2020: smart city/territory/place evidence non sono ancora maturati in modo originale nel nostro campo, ma anche perché la geografia italiana non ha, a mio avviso, ancora consapevolezza di quanto la città incida sulla crescita equilibrata del PIL in Italia! Lo sanno invece in Scozia dove ho recentemente partecipato ad un convegno sullo stesso tema e dove si è discusso di come Edimburgo sia potuta diventare un centro di eccellenza e cresciuta fino a rappresenta il 93% del PIL di Londra; possieda più brevetti della Capitale; o di come Glasgow occupi in Europa il 10° posto per autonomia strutturale al punto da competere con le autorità regionali in molti campi, tra cui l’housing. Ancora: potremmo parlare della Finlandia, dove l’apporto geografico ha inciso sulla riduzione delle municipalità, o dell’Olanda dove sono le province – quelle di cui l’Italia si sta liberando così velocemente - a risolvere i potenziali conflitti tra imprese e pubblico attraverso azioni di planning basate su regole molto precise. Senza dimenticare “le differenze geografiche” e il capitale territoriale, per cui in Scozia le regole sono diverse da regione a regione e nelle regioni baltiche (come ad esempio Finlandia e Danimarca) le questioni urbane e territoriali si risolvono attraverso dibattiti pubblici e realmente partecipati anche di fronte a temi molto conflittuali come quello degli shopping centre e indipendentemente dal fatto che la responsabilità della decisione sia regionale o nazionale. Se si vuole offrire una definizione di città contemporanea intelligente, sostenibile, inclusiva pensata dalla geografia italiana c’è tutto un capitale territoriale da studiare, calcolare e valutare. Dobbiamo essere capaci di ridefinire una città dove gli investimenti nel capitale umano e sociale, nei processi di partecipazione, nell’istruzione, nella cultura, nelle infrastrutture per le nuove comunicazioni, alimentino uno sviluppo economico sostenibile, garantendo un’alta qualità di vita per tutti i cittadini, prevedendo una gestione responsabile delle risorse naturali e sociali, attraverso regole di governance condivise. L'invito che posso fare come ricercatore e membro AGeI è che tutto questo diventi uno dei target di supporto dei requisti smart (intelligenti) che Horizon 2020 chiede alla nostra ricerca, affinché anche i nuovi fondi strutturali investano su una disciplina fondamentale per delineare il futuro della politica di coesione tutta fondata sulla diversità territoriale e dei suoi potenziali. Dunque sulla geografia.
XXXI Congresso Geografico Italiano
Milano
2012
XXXI
Guglialmo Scaramellini, Eleonora Mastropietro e AGeI
Rilevanza nazionale
su invito
13-giu-2012
dic-2014
Settore M-GGR/02 - GEOGRAFIA ECONOMICO-POLITICA
Italian
http://mimesisedizioni.it/atti-del-xxxi-congresso-geografico-italiano-vol-i.html#yt_tab_products2
Intervento a convegno
Prezioso, M. (2014). Note conclusive. ??????? it.cilea.surplus.oa.citation.tipologie.CitationProceedings.prensentedAt ??????? XXXI Congresso Geografico Italiano, Milano.
Prezioso, M
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