L’etimologia, come spesso accade, costituisce ben più che un mero esercizio di ricostruzione finalizzato a riprodurre un pezzetto di lingua insieme a un – più spesso dei significati che, assai più docilmente di quanto accada alla forma (in senso morfofonologico), si modificano fino a lasciar talvolta sbiadire il riferimento originario del termine. Nel caso di 'cosa', la risalita lungo la storia – nel senso di quanto solitamente si intende con histoire du mot - mostra, per la parola, una circostanza sorprendente, almeno a primo achitto: la lunga assenza di 'cosa' nell’ambito della lingua latina, dalla quale però le lingue romanze riprendono il termine, continuandolo. Occorre perciò, prima di affrontare qualunque altro discorso, chiarire in che modo e, se possibile, quando, il termine abbia cominciato presumibilmente ad esistere e ad essere impiegato dai parlanti. Come sempre accade quando ci si confronta con lingue note in maniera desultoria, come nel caso del latino - la cui conoscenza benché ampia è condizionata dalla persistenza esclusiva di testi riconducibili ad un unico canale, quello scritto, per di più nella maggior parte dei casi espressione di varietà di lingua marcate in riferimento sia ai generi testuali di cui sono espressione, sia al grado di competenza proprio dei relativi estensori - l’impego di formule condizionali non solo è d’obbligo, ma comporta la necessità di dover ribadire che l’eventuale individuazione di una prima o di prime attestazioni è da leggersi più come presa d’atto dell’esistenza, da tempo, dell’elemento intorno a cui si sta investigando che come certificato di nascita o comunque di giovane età dello stesso. Ciò premesso, e adottando questa volta una prospettiva più ampia, occorre riflettere su un’altra implicazione della lunga assenza di 'cosa' nel latino: se è infatti vero, come molti credono, che la lingua sia in grado di determinare o almeno di influenzare il nostro pensiero, o anche solo se, attenuando ancora il peso di questo legame a doppio nodo, la lingua è collegata al pensiero che a sua volta ha a che fare con la rappresentazione del reale da parte dell’individuo, occorrerà chiederci in assenza di cosa se e come ci si riferiva alla "cosa"; ovvero se ci fossero altre soluzioni espressive o se, solo in apparenza più semplicemente, all’assenza sul piano della lingua corrispondesse un’assenza sul piano logico-concettuale. Considerazione, quest’ultima, che troverebbe un appiglio formale nella dimostrata carenza, quando non assenza, almeno nel latino delle origini, di termini aventi a che fare con concetti e categorie astratte, frutto di una elevata capacità di simbolizzazione. Alle implicazioni derivanti da queste eventualità ho cercato di dare risposta nel corso di questo contributo; sullo sfondo di ogni possibile ragionamento permane in ogni caso una sorta di parabola ascendente segnata dalla progressiva irrefrenabile affermazione, per 'cosa', di una semantica marcata in senso astratto e generico, una semantica che facendo riferimento già all’italiano delle origini costringe il lessicografo a definire 'cosa' "elemento concreto o astratto della realtà o dell'immaginazione" (TLIO, s.v.).

Dragotto, F. (2013). Cosa è la cosa, nella lingua e nel linguaggio.. In SENSIBILIA (Colloquium on Perception and Experience) 6 - 2012. vol. 6 (pp. 163-174). Milano : Mimesis Edizioni.

Cosa è la cosa, nella lingua e nel linguaggio.

DRAGOTTO, FRANCESCA
2013-01-01

Abstract

L’etimologia, come spesso accade, costituisce ben più che un mero esercizio di ricostruzione finalizzato a riprodurre un pezzetto di lingua insieme a un – più spesso dei significati che, assai più docilmente di quanto accada alla forma (in senso morfofonologico), si modificano fino a lasciar talvolta sbiadire il riferimento originario del termine. Nel caso di 'cosa', la risalita lungo la storia – nel senso di quanto solitamente si intende con histoire du mot - mostra, per la parola, una circostanza sorprendente, almeno a primo achitto: la lunga assenza di 'cosa' nell’ambito della lingua latina, dalla quale però le lingue romanze riprendono il termine, continuandolo. Occorre perciò, prima di affrontare qualunque altro discorso, chiarire in che modo e, se possibile, quando, il termine abbia cominciato presumibilmente ad esistere e ad essere impiegato dai parlanti. Come sempre accade quando ci si confronta con lingue note in maniera desultoria, come nel caso del latino - la cui conoscenza benché ampia è condizionata dalla persistenza esclusiva di testi riconducibili ad un unico canale, quello scritto, per di più nella maggior parte dei casi espressione di varietà di lingua marcate in riferimento sia ai generi testuali di cui sono espressione, sia al grado di competenza proprio dei relativi estensori - l’impego di formule condizionali non solo è d’obbligo, ma comporta la necessità di dover ribadire che l’eventuale individuazione di una prima o di prime attestazioni è da leggersi più come presa d’atto dell’esistenza, da tempo, dell’elemento intorno a cui si sta investigando che come certificato di nascita o comunque di giovane età dello stesso. Ciò premesso, e adottando questa volta una prospettiva più ampia, occorre riflettere su un’altra implicazione della lunga assenza di 'cosa' nel latino: se è infatti vero, come molti credono, che la lingua sia in grado di determinare o almeno di influenzare il nostro pensiero, o anche solo se, attenuando ancora il peso di questo legame a doppio nodo, la lingua è collegata al pensiero che a sua volta ha a che fare con la rappresentazione del reale da parte dell’individuo, occorrerà chiederci in assenza di cosa se e come ci si riferiva alla "cosa"; ovvero se ci fossero altre soluzioni espressive o se, solo in apparenza più semplicemente, all’assenza sul piano della lingua corrispondesse un’assenza sul piano logico-concettuale. Considerazione, quest’ultima, che troverebbe un appiglio formale nella dimostrata carenza, quando non assenza, almeno nel latino delle origini, di termini aventi a che fare con concetti e categorie astratte, frutto di una elevata capacità di simbolizzazione. Alle implicazioni derivanti da queste eventualità ho cercato di dare risposta nel corso di questo contributo; sullo sfondo di ogni possibile ragionamento permane in ogni caso una sorta di parabola ascendente segnata dalla progressiva irrefrenabile affermazione, per 'cosa', di una semantica marcata in senso astratto e generico, una semantica che facendo riferimento già all’italiano delle origini costringe il lessicografo a definire 'cosa' "elemento concreto o astratto della realtà o dell'immaginazione" (TLIO, s.v.).
2013
Settore L-LIN/01 - GLOTTOLOGIA E LINGUISTICA
Italian
Rilevanza nazionale
Capitolo o saggio
Dragotto, F. (2013). Cosa è la cosa, nella lingua e nel linguaggio.. In SENSIBILIA (Colloquium on Perception and Experience) 6 - 2012. vol. 6 (pp. 163-174). Milano : Mimesis Edizioni.
Dragotto, F
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2108/93501
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