L’osservatore anche meno attento, nel percorrere le strade di uno qualsiasi degli insediamenti storici di cui il nostro Paese e ricco, non può non avvertire la presenza di un principio regolatore ed apprezzare l’armonia delle parti, la relazione tra gli spazi urbani principali – la piazza, il mercato, la chiesa, il municipio … – l’accostamento sapiente dei materiali e dei colori – che si fondono con quelli del paesaggio circostante – il susseguirsi di ombre e luci determinato dall’altezza degli edifici, dalla larghezza delle strade, dagli aggetti, dalle alberature, i suoni, gli odori: un insieme di fattori che infondono sensazioni di benessere, di un ritrovato equilibrio tra la dimensione umana e quella naturale. Purtroppo è raro avvertire i medesimi stimoli quando si percorrono le affollate strade delle metropoli contemporanee, ma anche quelle delle recenti espansioni dei piccoli centri urbani. Viene spontaneo allora domandarsi perché ad un certo punto della nostra storia si sia smesso di costruire in quel modo, si sia persa la percezione dell’ambiente naturale, si siano infranti principi che da secoli regolavano l’intervento umano sul territorio e perché oggi le nostre citta appaiano invase da edifici in gran parte privi di identità architettonica, accostati senza la debita attenzione ad una coerenza tipologica o morfologica, le cui condizioni – nelle facciate e negli interni – rivelano, nonostante la realizzazione ancora recente, una scarsa qualità dei materiali e delle prestazioni energetiche. La risposta a tali quesiti non deve essere cercata troppo indietro nel tempo: prima l’avvento della seconda rivoluzione industriale intorno al 1870 con il progressivo abbandono delle attività agricole e poi la diffusione generalizzata di materiali da costruzione artificiali spesso avulsi da specifici contesti ambientali – come l’acciaio, il calcestruzzo armato e il vetro – insieme all’accresciuta capacità di approvvigionamento delle fonti energetiche – elettricità, acqua potabile, gas – hanno poi determinato nel corso del ‘900 la rottura di una condizione pressoché di equilibrio tra uomo e ambiente. Su tale quadro, già preoccupante alla fine del primo trentennio del secolo scorso, si è abbattuta la forza distruttiva del secondo conflitto mondiale, con la conseguente emergenza abitativa degli anni ‘50,alla quale si e risposto con l’aumento della produttività del settore edilizio anche a scapito della qualità abitativa, realizzando quartieri spesso privi di identità urbanistica e costruzioni con gravi problemi di manutenzione, testimoniati dal pessimo stato di conservazione e di gestione energetica. Sono seguiti, sullo sfondo di un accresciuto benessere economico e dell’illusione di un progresso senza costi a lungo termine, anni di speculazione edilizia, di abusivismo incontrastato, in cui la carenza delle politiche urbanistiche ha aggravato la situazione esistente determinando l’espansione incontrollata delle grandi città, il proliferare di piccoli e medi centri abitati, spesso mal collegati e privi di servizi, nonché generalmente caratterizzati da una ridottissima qualità degli edifici sotto il profilo sia architettonico che impiantistico. La crisi petrolifera del 1973 ha rappresentato un primo campanello d’allarme, generando una brusca contrazione dei mercati e frenando il sogno di una disponibilità illimitata di risorse. D’altra parte essa ha innescato il processo di sviluppo di nuove tecnologie maggiormente efficienti sotto il profilo energetico e alimentate da fonti rinnovabili (solare, fotovoltaico, eolico, geotermico, idroelettrico). Qualche anno più tardi l’attenzione mondiale è stata rivolta anche al problema delle emissioni di gas serra in atmosfera e al conseguente surriscaldamento terrestre, responsabile dei cambiamenti climatici degli ultimi decenni. La Conferenza Internazionale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 e il Protocollo di Kyōto del 1997 hanno rappresentato i primi passi verso un’inversione di rotta nel modello di sviluppo dei Paesi industrializzati; tuttavia i segnali più incisivi sono arrivati soltanto negli ultimi anni, soprattutto sotto la spinta delle politiche energetiche e ambientali dell’Unione Europea. Si veda a tale proposito la Direttiva 2009/28/CE – il cosiddetto Pacchetto clima-energia 20-20-20 – elaborato per il periodo successivo al termine del Protocollo di Kyōto, il quale prevede che entro il 2020 le emissioni di gas serra siano ridotte del 20% rispetto ai valori del 1990, i consumi finali lordi di energia dell’Unione Europea siano coperti per il 20% da fonti rinnovabili e sia conseguito il 20% di risparmio energetico rispetto a quanto inizialmente previsto per lo stesso anno 2020. In che modo il settore delle costruzioni interviene in tale scenario? Oggi in Europa gli edifici sono responsabili di circa il 40% del consumo finale di energia – del quale il 25% è assorbito dalle residenze e il 15% dal terziario –, una percentuale superiore a quelle dell’industria (28%) e dei trasporti (32%); il comparto edilizio è, inoltre, responsabile di circa il 30% delle emissioni di gas serra in atmosfera. Altro tema legato al settore delle costruzioni e allo sfruttamento dissennato della risorsa naturale riguarda il consumo di suolo. Attualmente la superficie artificiale europea rappresenta il 4% della superficie totale, ma va sottolineato che dal 2000 al 2006 si sono persi circa 600 mila ettari di terreni agricoli facendo segnare un consistente +3,4% alle aree cementificate europee. Un fenomeno cui hanno contribuito in modo determinante non solo le aree residenziali, ma anche l’incremento delle infrastrutture e di zone destinate a siti commerciali. E mentre crescono cemento e aree urbane, vengono erose le superfici agricole: sempre nel periodo 2000-2006 i terreni a uso dei seminativi e delle colture permanenti si sono ridotti dello 0,2%, mentre quelli destinati al pascolo sono diminuiti dello 0,3%. Altro fenomeno preoccupante è l’abbandono delle aree rurali marginali e remote a favore di una sempre maggiore concentrazione dell’agricoltura nelle aree maggiormente fertili. Appare dunque evidente che per centrare gli obiettivi di utilizzo razionale del territorio, riduzione del fabbisogno energetico e delle emissioni nocive in atmosfera, occorre intervenire attraverso politiche territoriali ed urbanistiche mirate, tecnologie ad elevata efficienza energetica, materiali a basso impatto ambientale, fonti rinnovabili, nel tentativo di ricostituire quell’equilibrio interrotto e di orientare lo sviluppo futuro verso criteri di sostenibilità ambientale, economica e sociale; una svolta che deve riguardare non soltanto l’ambito delle nuove costruzioni, ma soprattutto quello del recupero del patrimonio edilizio esistente – che rappresenta la vera sfida dei prossimi anni. Sono questi i temi del costruire ecosostenibile, della bioedilizia, o – per utilizzare un termine anglosassone – del green building. Nella dispensa saranno trattati alcuni degli aspetti principali legati a tali temi, in maniera tutt’altro che esaustiva, al solo scopo di fornire un quadro generale da utilizzare come punto di partenza per successivi approfondimenti riguardanti un settore che e in continua evoluzione e sul quale si stanno concentrando gli sforzi della politica, delle imprese e dei consumatori più consapevoli. La prima parte della dispensa è dedicata ai principi della bioedilizia, dai criteri generali, ai materiali, alle tecnologie costruttive e ai sistemi di certificazione; la seconda parte rappresenta, invece, un breve focus sul tema del recupero ecosostenibile del patrimonio immobiliare esistente, a scala urbana ed edilizia.
Strollo, R.m., Palazzi, I. (2012). Bioarchitettura e restauro eco-sostenibile [Materiale didattico].
Bioarchitettura e restauro eco-sostenibile
STROLLO, RODOLFO MARIA;
2012-01-01
Abstract
L’osservatore anche meno attento, nel percorrere le strade di uno qualsiasi degli insediamenti storici di cui il nostro Paese e ricco, non può non avvertire la presenza di un principio regolatore ed apprezzare l’armonia delle parti, la relazione tra gli spazi urbani principali – la piazza, il mercato, la chiesa, il municipio … – l’accostamento sapiente dei materiali e dei colori – che si fondono con quelli del paesaggio circostante – il susseguirsi di ombre e luci determinato dall’altezza degli edifici, dalla larghezza delle strade, dagli aggetti, dalle alberature, i suoni, gli odori: un insieme di fattori che infondono sensazioni di benessere, di un ritrovato equilibrio tra la dimensione umana e quella naturale. Purtroppo è raro avvertire i medesimi stimoli quando si percorrono le affollate strade delle metropoli contemporanee, ma anche quelle delle recenti espansioni dei piccoli centri urbani. Viene spontaneo allora domandarsi perché ad un certo punto della nostra storia si sia smesso di costruire in quel modo, si sia persa la percezione dell’ambiente naturale, si siano infranti principi che da secoli regolavano l’intervento umano sul territorio e perché oggi le nostre citta appaiano invase da edifici in gran parte privi di identità architettonica, accostati senza la debita attenzione ad una coerenza tipologica o morfologica, le cui condizioni – nelle facciate e negli interni – rivelano, nonostante la realizzazione ancora recente, una scarsa qualità dei materiali e delle prestazioni energetiche. La risposta a tali quesiti non deve essere cercata troppo indietro nel tempo: prima l’avvento della seconda rivoluzione industriale intorno al 1870 con il progressivo abbandono delle attività agricole e poi la diffusione generalizzata di materiali da costruzione artificiali spesso avulsi da specifici contesti ambientali – come l’acciaio, il calcestruzzo armato e il vetro – insieme all’accresciuta capacità di approvvigionamento delle fonti energetiche – elettricità, acqua potabile, gas – hanno poi determinato nel corso del ‘900 la rottura di una condizione pressoché di equilibrio tra uomo e ambiente. Su tale quadro, già preoccupante alla fine del primo trentennio del secolo scorso, si è abbattuta la forza distruttiva del secondo conflitto mondiale, con la conseguente emergenza abitativa degli anni ‘50,alla quale si e risposto con l’aumento della produttività del settore edilizio anche a scapito della qualità abitativa, realizzando quartieri spesso privi di identità urbanistica e costruzioni con gravi problemi di manutenzione, testimoniati dal pessimo stato di conservazione e di gestione energetica. Sono seguiti, sullo sfondo di un accresciuto benessere economico e dell’illusione di un progresso senza costi a lungo termine, anni di speculazione edilizia, di abusivismo incontrastato, in cui la carenza delle politiche urbanistiche ha aggravato la situazione esistente determinando l’espansione incontrollata delle grandi città, il proliferare di piccoli e medi centri abitati, spesso mal collegati e privi di servizi, nonché generalmente caratterizzati da una ridottissima qualità degli edifici sotto il profilo sia architettonico che impiantistico. La crisi petrolifera del 1973 ha rappresentato un primo campanello d’allarme, generando una brusca contrazione dei mercati e frenando il sogno di una disponibilità illimitata di risorse. D’altra parte essa ha innescato il processo di sviluppo di nuove tecnologie maggiormente efficienti sotto il profilo energetico e alimentate da fonti rinnovabili (solare, fotovoltaico, eolico, geotermico, idroelettrico). Qualche anno più tardi l’attenzione mondiale è stata rivolta anche al problema delle emissioni di gas serra in atmosfera e al conseguente surriscaldamento terrestre, responsabile dei cambiamenti climatici degli ultimi decenni. La Conferenza Internazionale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992 e il Protocollo di Kyōto del 1997 hanno rappresentato i primi passi verso un’inversione di rotta nel modello di sviluppo dei Paesi industrializzati; tuttavia i segnali più incisivi sono arrivati soltanto negli ultimi anni, soprattutto sotto la spinta delle politiche energetiche e ambientali dell’Unione Europea. Si veda a tale proposito la Direttiva 2009/28/CE – il cosiddetto Pacchetto clima-energia 20-20-20 – elaborato per il periodo successivo al termine del Protocollo di Kyōto, il quale prevede che entro il 2020 le emissioni di gas serra siano ridotte del 20% rispetto ai valori del 1990, i consumi finali lordi di energia dell’Unione Europea siano coperti per il 20% da fonti rinnovabili e sia conseguito il 20% di risparmio energetico rispetto a quanto inizialmente previsto per lo stesso anno 2020. In che modo il settore delle costruzioni interviene in tale scenario? Oggi in Europa gli edifici sono responsabili di circa il 40% del consumo finale di energia – del quale il 25% è assorbito dalle residenze e il 15% dal terziario –, una percentuale superiore a quelle dell’industria (28%) e dei trasporti (32%); il comparto edilizio è, inoltre, responsabile di circa il 30% delle emissioni di gas serra in atmosfera. Altro tema legato al settore delle costruzioni e allo sfruttamento dissennato della risorsa naturale riguarda il consumo di suolo. Attualmente la superficie artificiale europea rappresenta il 4% della superficie totale, ma va sottolineato che dal 2000 al 2006 si sono persi circa 600 mila ettari di terreni agricoli facendo segnare un consistente +3,4% alle aree cementificate europee. Un fenomeno cui hanno contribuito in modo determinante non solo le aree residenziali, ma anche l’incremento delle infrastrutture e di zone destinate a siti commerciali. E mentre crescono cemento e aree urbane, vengono erose le superfici agricole: sempre nel periodo 2000-2006 i terreni a uso dei seminativi e delle colture permanenti si sono ridotti dello 0,2%, mentre quelli destinati al pascolo sono diminuiti dello 0,3%. Altro fenomeno preoccupante è l’abbandono delle aree rurali marginali e remote a favore di una sempre maggiore concentrazione dell’agricoltura nelle aree maggiormente fertili. Appare dunque evidente che per centrare gli obiettivi di utilizzo razionale del territorio, riduzione del fabbisogno energetico e delle emissioni nocive in atmosfera, occorre intervenire attraverso politiche territoriali ed urbanistiche mirate, tecnologie ad elevata efficienza energetica, materiali a basso impatto ambientale, fonti rinnovabili, nel tentativo di ricostituire quell’equilibrio interrotto e di orientare lo sviluppo futuro verso criteri di sostenibilità ambientale, economica e sociale; una svolta che deve riguardare non soltanto l’ambito delle nuove costruzioni, ma soprattutto quello del recupero del patrimonio edilizio esistente – che rappresenta la vera sfida dei prossimi anni. Sono questi i temi del costruire ecosostenibile, della bioedilizia, o – per utilizzare un termine anglosassone – del green building. Nella dispensa saranno trattati alcuni degli aspetti principali legati a tali temi, in maniera tutt’altro che esaustiva, al solo scopo di fornire un quadro generale da utilizzare come punto di partenza per successivi approfondimenti riguardanti un settore che e in continua evoluzione e sul quale si stanno concentrando gli sforzi della politica, delle imprese e dei consumatori più consapevoli. La prima parte della dispensa è dedicata ai principi della bioedilizia, dai criteri generali, ai materiali, alle tecnologie costruttive e ai sistemi di certificazione; la seconda parte rappresenta, invece, un breve focus sul tema del recupero ecosostenibile del patrimonio immobiliare esistente, a scala urbana ed edilizia.File | Dimensione | Formato | |
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