In the first part of the thesis I investigate the edictal clause about metus ( D.4,2,1 ); I consider which remedies the praetor had provided for the victim of acts of duress or coercion with such clause. The solution I put forward is that also a.q.m.c., as well as the in integrum restitutio and the exceptio metus, was dependent from the ratum non habebo I consider next the palingenetic reconstruction of Ulpian's comment to the edict on metus, from which it emerges the jurist's attempt to define the cases in which the metus was to be taken as juridically relevant, by defining its requirements: the threatened evil had to be a serious one, the threat had to be contrary to the law; it had to be explicitly formulated, the plaintiff should have suffered an actual damage because of it, there had to be a direct causal link between the threat and the extorted negotium or behaviour. We can conclude that the jurists' focus was on the victim of the act of violence rather than on its author and on the act itself. Such a view, which is in some respects new, raises the problem of the function of the remedies defined by the praetor, and in particular of the action. In the second part therefore I focus on the a.q.m.c., whose features – as described in the Corpus Iuris Civilis - are so peculiar that the action has been long considered as the result of a post-classic fusion of the in integrum restitutio with the classical a.q.m.c.; the latter would have been a pure penal action. I consider first the issue of the penal profile of the a.q.m.c. and the function of the penalty in its formula. As a matter of fact, in the action several distinctive features of a typical penal action are missing. I examine therefore in details each feature of the a.q.m.c., so that I can try to reconstruct the structure of its formula, and its main function as a result. The first feature under scrutiny is the clause of restitution, whose presence and importance for the action are the reasons for the a.q.m.c. inclusion, together with the i.i.r., under the title “De in integrum restitutionibus” in the Digest. Such feature explains the possibility for the plaintiff to exert the action towards bona fide third parties, who had acquired the extorted thing. I also review critically the large number of subjects who could be sued with the action. From the sources it emerges that the plaintiff could sue the author of the coercion - if he gained a lucrum from the extorted negotium – but also a third party ad quem res pervenit. The a.q.m.c., as well as the exceptio metus, was in rem scripta; as a consequence, the plaintiff had only to declare, in the intentio of the formula, that he had acted because of fear, and that as a result the defendant had gained a lucrum. A passive legitimation so wide reinforces the hypothesis that the main aim of the action was the protection of the victim rather than the punishment of the author. The structure of the action, as it emerges from the study of its characteristics, clarifies its main function: to restore the victim in the status quo ante. Only if the restitutio does not occur, the payment of the quadruplum is required; it includes – at least since Julian (D.4,2,14,9) - the value of the res. Neither the wide passive legitimation nor its function of restitution look compromised from the existence of an action in id quod ad eum pervenit , to be used against the heir of the author of the violence. The classical origin of the restitutory function as the main aim of the a.q.m.c. looks confirmed in the literary sources which give some informations on the first remedy given by the praetor to the victim of metus, the formula Octaviana, using which “Cogebantur Sullani homines quae per vim et metum abstulerant reddere”, as reported by Cicero. I conclude therefore that the a.q.m.c. did not focus on the punishment of the author of the vis, but rather on the restoration of the juridical position of the victim of metus, and that the induction of metus was considered, by the Roman jurists, rather as a “fact” causing a person to estabilish acts or facts to his own disadvantage, than as a crime.

Nella prima parte della tesi è analizzata la clausola edittale sul metus riportata in D.4,2,1 e la fattispecie con essa tutelata; ci si chiede quali strumenti a tutela della vittima della violenza il pretore avesse introdotto con tale clausola edittale. La soluzione proposta è che anche l'a.q.m.c., insieme alla in integrum restitutio e alla exceptio metus, dipendesse dal ratum non habebo. Si considera, poi, la ricostruzione palingenetica del commento di Ulpiano all'editto sul metus, dalla quale emerge come il giurista tenti di circoscrivere le ipotesi in cui il metus fosse giuridicamente rilevante, fissandone i presupposti: gravità del male minacciato; contrarietà al diritto e illiceità della minaccia; serietà del male minacciato; effettiva formulazione della minaccia; esistenza di un danno; esistenza di un nesso causale diretto tra minaccia e negozio o comportamento estorto. Da ciò si evince come l'attenzione dei giuristi fosse concentrata sulla vittima della violenza, piuttosto che sull'autore della violenza, sulla violenza stessa e su chi fosse da considerare autore della violenza. Questa prospettiva, per certi versi nuova, pone il problema della funzione degli strumenti introdotti dal pretore e in particolare dell'azione. Nella seconda parte della tesi si studia l'a.q.m.c., che per le peculiarità delle caratteristiche tramandateci nella compilazione giustinianea è stata a lungo vista come il frutto della fusione postclassica tra la i.i.r. e l'a.q.m.c. classica, che sarebbe stata una pura azione penale. Inizialmente si esamina la “penalità” dell'a.q.m.c. e la funzione della pena prevista nella sua formula. Nell'a.q.m.c., nonostante la previsione nella formula di una condanna al pagamento del quadruplo, sono assenti diverse caratteristiche, riconducibili alle azioni penali in senso puro. Si propone, dunque, l'esame delle singole caratteristiche dell'a.q.m.c. per cercare di ricostruire la struttura della formula dell'azione e di conseguenza per determinarne la effettiva funzione. Si considera, per prima, la clausola restitutoria, la presenza della quale e l'importante ruolo ad essa assegnato nell'azione giustificano anche la collocazione dell'a.q.m.c. nell'editto, insieme alla i.i.r., sotto il titolo “De in integrum restitutionibus”. Questa caratteristica dell'azione può spiegare la possibilità di esercitare la stessa nei confronti del terzo di buona fede, possessore del bene estorto. Si considera, poi, l'ampia sfera dei soggetti passivamente legittimati all'a.q.m.c. Dallo studio delle fonti emerge che passivamente legittimati all'azione erano l'autore della violenza che avesse tratto un lucrum dal negozio estorto e il terzo ad quem res pervenit. L'a.q.m.c., così come la exceptio metus, era in rem scripta, pertanto l'attore nella intentio della formula avrebbe dovuto indicare soltanto il “fatto” che gli fosse stato indotto metus, e che in conseguenza di ciò il convenuto avesse tratto un lucrum. L'estesa legittimazione passiva conferma l'ipotesi che l'azione non fosse volta alla punizione dell'autore della violenza, ma piuttosto alla tutela della vittima di violenza. La struttura dell'azione, che emerge dallo studio delle sue caratteristiche, ne fa emergere la funzione: riportare la vittima della violenza nello status quo ante. In caso di mancata restitutio si giunge alla condanna al pagamento del quadruplo, nel quale è ricompreso, almeno a partire da Giuliano (D.4,2,14,9), il valore della res. L'estesa legittimazione passiva dell'azione e la sua funzione restitutoria non risulterebbe contraddetta dall'esistenza di un'azione in id quod ad eum pervenit nei confronti dell'erede dell'autore della violenza. La classicità della funzione soprattutto restitutoria dell'a.q.m.c. sembrerebbe trovare la conferma nei testi letterari contenenti informazioni sul primo strumento introdotto dal pretore a tutela della vittima di metus, la formula Octaviana, con la quale, come ricorda Cicerone, “Cogebantur Sullani homines quae per vim et metum abstulerant reddere”. Si conclude, quindi, che l'azione q.m.c. non fosse volta alla punizione dell'autore della vis, ma piuttosto al ripristino della situazione giuridica della vittima della violenza e che l'induzione di metus fosse considerata, da parte dei giuristi romani, non tanto come illecito da punire, ma piuttosto come un “fatto” che induceva un soggetto a porre in essere fatti o atti a lui svantaggiosi, così da rendere opportuna la tutela della vittima di minacce.

Calore, E. (2008). L'actio quod metus causa: peculiarità e aspetti problematici legati alla tutela del soggetto al quale è stato indotto metus.

L'actio quod metus causa: peculiarità e aspetti problematici legati alla tutela del soggetto al quale è stato indotto metus

CALORE, EMANUELA
2008-11-11

Abstract

In the first part of the thesis I investigate the edictal clause about metus ( D.4,2,1 ); I consider which remedies the praetor had provided for the victim of acts of duress or coercion with such clause. The solution I put forward is that also a.q.m.c., as well as the in integrum restitutio and the exceptio metus, was dependent from the ratum non habebo I consider next the palingenetic reconstruction of Ulpian's comment to the edict on metus, from which it emerges the jurist's attempt to define the cases in which the metus was to be taken as juridically relevant, by defining its requirements: the threatened evil had to be a serious one, the threat had to be contrary to the law; it had to be explicitly formulated, the plaintiff should have suffered an actual damage because of it, there had to be a direct causal link between the threat and the extorted negotium or behaviour. We can conclude that the jurists' focus was on the victim of the act of violence rather than on its author and on the act itself. Such a view, which is in some respects new, raises the problem of the function of the remedies defined by the praetor, and in particular of the action. In the second part therefore I focus on the a.q.m.c., whose features – as described in the Corpus Iuris Civilis - are so peculiar that the action has been long considered as the result of a post-classic fusion of the in integrum restitutio with the classical a.q.m.c.; the latter would have been a pure penal action. I consider first the issue of the penal profile of the a.q.m.c. and the function of the penalty in its formula. As a matter of fact, in the action several distinctive features of a typical penal action are missing. I examine therefore in details each feature of the a.q.m.c., so that I can try to reconstruct the structure of its formula, and its main function as a result. The first feature under scrutiny is the clause of restitution, whose presence and importance for the action are the reasons for the a.q.m.c. inclusion, together with the i.i.r., under the title “De in integrum restitutionibus” in the Digest. Such feature explains the possibility for the plaintiff to exert the action towards bona fide third parties, who had acquired the extorted thing. I also review critically the large number of subjects who could be sued with the action. From the sources it emerges that the plaintiff could sue the author of the coercion - if he gained a lucrum from the extorted negotium – but also a third party ad quem res pervenit. The a.q.m.c., as well as the exceptio metus, was in rem scripta; as a consequence, the plaintiff had only to declare, in the intentio of the formula, that he had acted because of fear, and that as a result the defendant had gained a lucrum. A passive legitimation so wide reinforces the hypothesis that the main aim of the action was the protection of the victim rather than the punishment of the author. The structure of the action, as it emerges from the study of its characteristics, clarifies its main function: to restore the victim in the status quo ante. Only if the restitutio does not occur, the payment of the quadruplum is required; it includes – at least since Julian (D.4,2,14,9) - the value of the res. Neither the wide passive legitimation nor its function of restitution look compromised from the existence of an action in id quod ad eum pervenit , to be used against the heir of the author of the violence. The classical origin of the restitutory function as the main aim of the a.q.m.c. looks confirmed in the literary sources which give some informations on the first remedy given by the praetor to the victim of metus, the formula Octaviana, using which “Cogebantur Sullani homines quae per vim et metum abstulerant reddere”, as reported by Cicero. I conclude therefore that the a.q.m.c. did not focus on the punishment of the author of the vis, but rather on the restoration of the juridical position of the victim of metus, and that the induction of metus was considered, by the Roman jurists, rather as a “fact” causing a person to estabilish acts or facts to his own disadvantage, than as a crime.
11-nov-2008
A.A. 2007/2008
Sistema giuridico romanistico e unificazione del diritto
18.
Nella prima parte della tesi è analizzata la clausola edittale sul metus riportata in D.4,2,1 e la fattispecie con essa tutelata; ci si chiede quali strumenti a tutela della vittima della violenza il pretore avesse introdotto con tale clausola edittale. La soluzione proposta è che anche l'a.q.m.c., insieme alla in integrum restitutio e alla exceptio metus, dipendesse dal ratum non habebo. Si considera, poi, la ricostruzione palingenetica del commento di Ulpiano all'editto sul metus, dalla quale emerge come il giurista tenti di circoscrivere le ipotesi in cui il metus fosse giuridicamente rilevante, fissandone i presupposti: gravità del male minacciato; contrarietà al diritto e illiceità della minaccia; serietà del male minacciato; effettiva formulazione della minaccia; esistenza di un danno; esistenza di un nesso causale diretto tra minaccia e negozio o comportamento estorto. Da ciò si evince come l'attenzione dei giuristi fosse concentrata sulla vittima della violenza, piuttosto che sull'autore della violenza, sulla violenza stessa e su chi fosse da considerare autore della violenza. Questa prospettiva, per certi versi nuova, pone il problema della funzione degli strumenti introdotti dal pretore e in particolare dell'azione. Nella seconda parte della tesi si studia l'a.q.m.c., che per le peculiarità delle caratteristiche tramandateci nella compilazione giustinianea è stata a lungo vista come il frutto della fusione postclassica tra la i.i.r. e l'a.q.m.c. classica, che sarebbe stata una pura azione penale. Inizialmente si esamina la “penalità” dell'a.q.m.c. e la funzione della pena prevista nella sua formula. Nell'a.q.m.c., nonostante la previsione nella formula di una condanna al pagamento del quadruplo, sono assenti diverse caratteristiche, riconducibili alle azioni penali in senso puro. Si propone, dunque, l'esame delle singole caratteristiche dell'a.q.m.c. per cercare di ricostruire la struttura della formula dell'azione e di conseguenza per determinarne la effettiva funzione. Si considera, per prima, la clausola restitutoria, la presenza della quale e l'importante ruolo ad essa assegnato nell'azione giustificano anche la collocazione dell'a.q.m.c. nell'editto, insieme alla i.i.r., sotto il titolo “De in integrum restitutionibus”. Questa caratteristica dell'azione può spiegare la possibilità di esercitare la stessa nei confronti del terzo di buona fede, possessore del bene estorto. Si considera, poi, l'ampia sfera dei soggetti passivamente legittimati all'a.q.m.c. Dallo studio delle fonti emerge che passivamente legittimati all'azione erano l'autore della violenza che avesse tratto un lucrum dal negozio estorto e il terzo ad quem res pervenit. L'a.q.m.c., così come la exceptio metus, era in rem scripta, pertanto l'attore nella intentio della formula avrebbe dovuto indicare soltanto il “fatto” che gli fosse stato indotto metus, e che in conseguenza di ciò il convenuto avesse tratto un lucrum. L'estesa legittimazione passiva conferma l'ipotesi che l'azione non fosse volta alla punizione dell'autore della violenza, ma piuttosto alla tutela della vittima di violenza. La struttura dell'azione, che emerge dallo studio delle sue caratteristiche, ne fa emergere la funzione: riportare la vittima della violenza nello status quo ante. In caso di mancata restitutio si giunge alla condanna al pagamento del quadruplo, nel quale è ricompreso, almeno a partire da Giuliano (D.4,2,14,9), il valore della res. L'estesa legittimazione passiva dell'azione e la sua funzione restitutoria non risulterebbe contraddetta dall'esistenza di un'azione in id quod ad eum pervenit nei confronti dell'erede dell'autore della violenza. La classicità della funzione soprattutto restitutoria dell'a.q.m.c. sembrerebbe trovare la conferma nei testi letterari contenenti informazioni sul primo strumento introdotto dal pretore a tutela della vittima di metus, la formula Octaviana, con la quale, come ricorda Cicerone, “Cogebantur Sullani homines quae per vim et metum abstulerant reddere”. Si conclude, quindi, che l'azione q.m.c. non fosse volta alla punizione dell'autore della vis, ma piuttosto al ripristino della situazione giuridica della vittima della violenza e che l'induzione di metus fosse considerata, da parte dei giuristi romani, non tanto come illecito da punire, ma piuttosto come un “fatto” che induceva un soggetto a porre in essere fatti o atti a lui svantaggiosi, così da rendere opportuna la tutela della vittima di minacce.
metus; vis; diritto romano; violenza; actio quod metus causa; minaccia
Settore IUS/18 - DIRITTO ROMANO E DIRITTI DELL'ANTICHITÀ
Italian
Tesi di dottorato
Calore, E. (2008). L'actio quod metus causa: peculiarità e aspetti problematici legati alla tutela del soggetto al quale è stato indotto metus.
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