1. Il problema affrontato in questo studio è quello della tutela del compratore di partecipazioni sociali nei contratti nei contratti individuali, perlopiù tra imprenditori, nei quali si trasferisce il pacchetto di controllo della società o, comunque, una quota rilevante. In questo contratto si verifica costantemente una situazione particolare, costituita dal fatto che al compratore sono riferibili sia un interesse giuridico-formale, rivolto alle partecipazioni compravendute, sia un interesse economico-sostanziale, rivolto al patrimonio o all’azienda della società, che il compratore mira a gestire o a contribuire a gestire. Il problema sorge in quanto le garanzie edilizie e gli altri rimedi codicistici proteggono l’interesse del compratore (perlopiù) limitatamente all’oggetto del contratto. Ora, e questo uno snodo fondamentale di tutta la elaborazione sulla materia, le partecipazioni sociali, oggetto del contratto, comunque ricostruite, restano un bene distinto dal patrimonio sociale o dall’azienda. Pertanto, l’interesse economico-sostanziale del compratore alla consistenza del patrimonio sociale, in linea di principio, è, nella compravendita di partecipazioni sociali, sprovvisto di tutela legale (i rimedi codicistici quali errore, evizione, vizi, mancanza di qualità, aliud pro alio datum rilevano con esclusivo riferimento alle partecipazioni sociali oggetto del contratto). 2. Soprattutto per questa ragione, nella prassi contrattuale si è da tempo sviluppata una nutrita gamma di strumenti intesi a tutelare l’interesse del compratore alla consistenza del patrimonio sociale. Due i tipi di clausole assolutamente prevalenti nella prassi delle garanzie convenzionali (il termine è usato in senso atecnico): I) Il primo tipo comprende le clausole intese ad elencare i caratteri qualitativi e quantitativi del patrimonio sociale, ma che nulla dicono circa le conseguenze prodotte dalla violazione della garanzia (per es: la società ha esclusivamente i debiti risultanti dal prospetto allegato, che ammontano in totale a tot”): clausole sul “che cosa” è garantito, nella terminologia adottata nel lavoro II) Il secondo tipo comprende le clausole che stabiliscono sia i caratteri qualitativi e quantitativi del patrimonio sociale (che cosa), sia le conseguenze prodotte dalla violazione della garanzia, ossia dalla mancata corrispondenza tra la realtà effettiva e la realtà rappresentata (per es.: se risultano debiti della società superiori a tot, il venditore corrisponderà al compratore una somma pari a tale differenza): clausole attinenti al “come” opera la garanzia. 3. L’attenzione degli interpreti si è concentrata esclusivamente sulle clausole del primo tipo (sul “che cosa”), sforzandosi di individuare l’inquadramento dogmatico della dichiarazione di garanzia, passaggio obbligato per individuare le conseguenze prodotte dalla sua violazione, nell’ambito dei tradizionali istituti previsti dal diritto comune della compravendita. La giurisprudenza tende a ricostruire le garanzie sulla consistenza patrimoniale della società (“la società ha debiti pari a 100”) come promessa di qualità della res vendita (mentre una variante dottrinale preferisce parlare di elemento della prestazione traslativa cui si impegna il venditore). Entrambe le ricostruzioni non paiono accettabili. Se si tiene fede al dato fondamentale e pacifico dal quale prende le mosse tutta la elaborazione della materia, ossia la radicale, irriducibile differenza, sia dal punto di vista ontologico, sia dal punto di vista giuridico, tra partecipazioni sociali e patrimonio sociale, non si vede come si possano confondere le qualità delle partecipazioni con le qualità del patrimonio, la vicenda traslativa delle une con quella dell’altro. L’art. 1497 non consente affatto di elevare a qualità promesse della res vendita (le partecipazioni) qualità di oggetti diversi e con essa inconfondibili; né la “prestazione traslativa” del venditore di partecipazioni sociali con quella del patrimonio sociale o di una quota dello stesso (patrimonio che è e resta della società e non del socio, che dunque non circola affatto e che comunque il socio non avrebbe alcuna legittimazione a trasferire). Dal punto di vista pratico, poi, la tesi della giurisprudenza incorre nell’esiziale inconveniente di esporre le tutele del compratore ai brevissimi termini di decadenza e di prescrizione propri del rimedio di cui si postula l’applicazione. 4. Distaccandosi radicalmente dalle idee all’epoca comunemente ricevute nella materia (ma successivamente le tesi del libro si sono guadagnate crescente adesione sia in dottrina, sia in giurisprudenza) il saggio vede nelle clausole sul “che cosa” (la società ha debiti pari a tot), non già la fonte di una obbligazione del venditore o di determinazione della prestazione del medesimo (promessa di qualità o prestazione traslativa), bensì una sua dichiarazione unilaterale, di scienza (dunque non negoziale), apprezzabile sul piano dei doveri (o, se si preferisce, degli obblighi) di buona fede precontrattuale e, come tale, eventualmente capace di generare obbligazioni di risarcimento dei danni (si pensi all’ipotesi del dolo incidente o dei cd. vizi incompleti del contratto) o anche invalidità del contratto per vizio della volontà (e ciò, si chiarisce, sempre che essa ricorra da sola, perché se essa invece ricorre assieme ad una clausola disciplinante il “come”, si dimostra che le conseguenze della “violazione” sono esclusivamente quelle previste da quest’ultima clausola). 5. Venendo alle clausole che prevedono anche il “come” opera la garanzia, il lavoro segnala anzitutto come esse siano pressoché totalmente ignorate sia dalla giurisprudenza, sia (conseguentemente) dalla dottrina: anomalia che viene spiegata con la presenza quasi costante, nei contratti più sofisticati in cui si fa uso di queste garanzie, di clausole compromissorie, onde il potere di conoscere delle relative controversie è sottratto ai giudici e affidato a lodi arbitrali, assai più difficilmente conoscibili. La clausola di questo tipo di gran lunga più ricorrente e più interessante è quella che prevede il pagamento di una indemnity da parte del venditore per il caso di discrepanza tra la situazione patrimoniale rappresentata e la situazione reale (nell’esempio fatto poco prima: “se i debiti risulteranno superiori a tot, il venditore corrisponderà al compratore una somma pari a tale differenza”). Il lavoro riprende qui la tesi sopra esposta, giusta la quale la situazione patrimoniale garantita non può essere -strutturalmente- oggetto di una obbligazione del venditore (i.e.: non può essere dedotta in obbligazione, non può essere promessa). I fatti garantiti - nell’es.: i debiti della società - appartengono al tempo passato. Non è quindi configurabile alcun dovere del venditore in grado incidere su di essi. “Ciò che è dato per esistente non può essere promesso” (Mengoni), onde la clausola corrispondente non può essere apprezzata, s’è detto, se non come dichiarazione di scienza. La sopravvenienza passiva (intesa come difformità tra situazione rappresentata e situazione reale) non costituisce dunque in alcun senso inadempimento di una obbligazione preesistente, bensì elemento della fattispecie (qui: patto negoziale) onde scatta l’obbligo primario del venditore di pagare la cd. indemnity (è il preastare dei romani, recepito nella figura ben nota alle dottrine generali, ma scarsamente applicata, della promessa di indennità). Vari i corollari: se la sopravvenienza passiva non è inadempimento, al suo verificarsi non si potrà chiedere nè la risoluzione, ne promuovere l’azione di adempimento (si è appena detto che la sopravvenienza passiva si pone sul piano della fattispecie e non su quello degli effetti). I rimedi dell’azione di risoluzione o dell’azione di adempimento saranno eventualmente esperibili solo qualora il venditore non paghi l’indemnity. L’indemnity, al di là del nome che può prestarsi all’equivoco equivoco, non va pertanto considerata obbligazione secondaria di risarcimento, bensì, si ripete, obbligazione primaria. Da ciò discende, tra l’altro, che essa non può essere considerata come una clausola penale (eventualmente riducibile, anche d’ufficio, dal giudice).

D'Alessandro, C. (2003). Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente.. Milano : Giuffrè.

Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente.

D'ALESSANDRO, CARLO
2003-01-01

Abstract

1. Il problema affrontato in questo studio è quello della tutela del compratore di partecipazioni sociali nei contratti nei contratti individuali, perlopiù tra imprenditori, nei quali si trasferisce il pacchetto di controllo della società o, comunque, una quota rilevante. In questo contratto si verifica costantemente una situazione particolare, costituita dal fatto che al compratore sono riferibili sia un interesse giuridico-formale, rivolto alle partecipazioni compravendute, sia un interesse economico-sostanziale, rivolto al patrimonio o all’azienda della società, che il compratore mira a gestire o a contribuire a gestire. Il problema sorge in quanto le garanzie edilizie e gli altri rimedi codicistici proteggono l’interesse del compratore (perlopiù) limitatamente all’oggetto del contratto. Ora, e questo uno snodo fondamentale di tutta la elaborazione sulla materia, le partecipazioni sociali, oggetto del contratto, comunque ricostruite, restano un bene distinto dal patrimonio sociale o dall’azienda. Pertanto, l’interesse economico-sostanziale del compratore alla consistenza del patrimonio sociale, in linea di principio, è, nella compravendita di partecipazioni sociali, sprovvisto di tutela legale (i rimedi codicistici quali errore, evizione, vizi, mancanza di qualità, aliud pro alio datum rilevano con esclusivo riferimento alle partecipazioni sociali oggetto del contratto). 2. Soprattutto per questa ragione, nella prassi contrattuale si è da tempo sviluppata una nutrita gamma di strumenti intesi a tutelare l’interesse del compratore alla consistenza del patrimonio sociale. Due i tipi di clausole assolutamente prevalenti nella prassi delle garanzie convenzionali (il termine è usato in senso atecnico): I) Il primo tipo comprende le clausole intese ad elencare i caratteri qualitativi e quantitativi del patrimonio sociale, ma che nulla dicono circa le conseguenze prodotte dalla violazione della garanzia (per es: la società ha esclusivamente i debiti risultanti dal prospetto allegato, che ammontano in totale a tot”): clausole sul “che cosa” è garantito, nella terminologia adottata nel lavoro II) Il secondo tipo comprende le clausole che stabiliscono sia i caratteri qualitativi e quantitativi del patrimonio sociale (che cosa), sia le conseguenze prodotte dalla violazione della garanzia, ossia dalla mancata corrispondenza tra la realtà effettiva e la realtà rappresentata (per es.: se risultano debiti della società superiori a tot, il venditore corrisponderà al compratore una somma pari a tale differenza): clausole attinenti al “come” opera la garanzia. 3. L’attenzione degli interpreti si è concentrata esclusivamente sulle clausole del primo tipo (sul “che cosa”), sforzandosi di individuare l’inquadramento dogmatico della dichiarazione di garanzia, passaggio obbligato per individuare le conseguenze prodotte dalla sua violazione, nell’ambito dei tradizionali istituti previsti dal diritto comune della compravendita. La giurisprudenza tende a ricostruire le garanzie sulla consistenza patrimoniale della società (“la società ha debiti pari a 100”) come promessa di qualità della res vendita (mentre una variante dottrinale preferisce parlare di elemento della prestazione traslativa cui si impegna il venditore). Entrambe le ricostruzioni non paiono accettabili. Se si tiene fede al dato fondamentale e pacifico dal quale prende le mosse tutta la elaborazione della materia, ossia la radicale, irriducibile differenza, sia dal punto di vista ontologico, sia dal punto di vista giuridico, tra partecipazioni sociali e patrimonio sociale, non si vede come si possano confondere le qualità delle partecipazioni con le qualità del patrimonio, la vicenda traslativa delle une con quella dell’altro. L’art. 1497 non consente affatto di elevare a qualità promesse della res vendita (le partecipazioni) qualità di oggetti diversi e con essa inconfondibili; né la “prestazione traslativa” del venditore di partecipazioni sociali con quella del patrimonio sociale o di una quota dello stesso (patrimonio che è e resta della società e non del socio, che dunque non circola affatto e che comunque il socio non avrebbe alcuna legittimazione a trasferire). Dal punto di vista pratico, poi, la tesi della giurisprudenza incorre nell’esiziale inconveniente di esporre le tutele del compratore ai brevissimi termini di decadenza e di prescrizione propri del rimedio di cui si postula l’applicazione. 4. Distaccandosi radicalmente dalle idee all’epoca comunemente ricevute nella materia (ma successivamente le tesi del libro si sono guadagnate crescente adesione sia in dottrina, sia in giurisprudenza) il saggio vede nelle clausole sul “che cosa” (la società ha debiti pari a tot), non già la fonte di una obbligazione del venditore o di determinazione della prestazione del medesimo (promessa di qualità o prestazione traslativa), bensì una sua dichiarazione unilaterale, di scienza (dunque non negoziale), apprezzabile sul piano dei doveri (o, se si preferisce, degli obblighi) di buona fede precontrattuale e, come tale, eventualmente capace di generare obbligazioni di risarcimento dei danni (si pensi all’ipotesi del dolo incidente o dei cd. vizi incompleti del contratto) o anche invalidità del contratto per vizio della volontà (e ciò, si chiarisce, sempre che essa ricorra da sola, perché se essa invece ricorre assieme ad una clausola disciplinante il “come”, si dimostra che le conseguenze della “violazione” sono esclusivamente quelle previste da quest’ultima clausola). 5. Venendo alle clausole che prevedono anche il “come” opera la garanzia, il lavoro segnala anzitutto come esse siano pressoché totalmente ignorate sia dalla giurisprudenza, sia (conseguentemente) dalla dottrina: anomalia che viene spiegata con la presenza quasi costante, nei contratti più sofisticati in cui si fa uso di queste garanzie, di clausole compromissorie, onde il potere di conoscere delle relative controversie è sottratto ai giudici e affidato a lodi arbitrali, assai più difficilmente conoscibili. La clausola di questo tipo di gran lunga più ricorrente e più interessante è quella che prevede il pagamento di una indemnity da parte del venditore per il caso di discrepanza tra la situazione patrimoniale rappresentata e la situazione reale (nell’esempio fatto poco prima: “se i debiti risulteranno superiori a tot, il venditore corrisponderà al compratore una somma pari a tale differenza”). Il lavoro riprende qui la tesi sopra esposta, giusta la quale la situazione patrimoniale garantita non può essere -strutturalmente- oggetto di una obbligazione del venditore (i.e.: non può essere dedotta in obbligazione, non può essere promessa). I fatti garantiti - nell’es.: i debiti della società - appartengono al tempo passato. Non è quindi configurabile alcun dovere del venditore in grado incidere su di essi. “Ciò che è dato per esistente non può essere promesso” (Mengoni), onde la clausola corrispondente non può essere apprezzata, s’è detto, se non come dichiarazione di scienza. La sopravvenienza passiva (intesa come difformità tra situazione rappresentata e situazione reale) non costituisce dunque in alcun senso inadempimento di una obbligazione preesistente, bensì elemento della fattispecie (qui: patto negoziale) onde scatta l’obbligo primario del venditore di pagare la cd. indemnity (è il preastare dei romani, recepito nella figura ben nota alle dottrine generali, ma scarsamente applicata, della promessa di indennità). Vari i corollari: se la sopravvenienza passiva non è inadempimento, al suo verificarsi non si potrà chiedere nè la risoluzione, ne promuovere l’azione di adempimento (si è appena detto che la sopravvenienza passiva si pone sul piano della fattispecie e non su quello degli effetti). I rimedi dell’azione di risoluzione o dell’azione di adempimento saranno eventualmente esperibili solo qualora il venditore non paghi l’indemnity. L’indemnity, al di là del nome che può prestarsi all’equivoco equivoco, non va pertanto considerata obbligazione secondaria di risarcimento, bensì, si ripete, obbligazione primaria. Da ciò discende, tra l’altro, che essa non può essere considerata come una clausola penale (eventualmente riducibile, anche d’ufficio, dal giudice).
2003
Settore IUS/01 - DIRITTO PRIVATO
Italian
Rilevanza internazionale
Monografia
D'Alessandro, C. (2003). Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell'acquirente.. Milano : Giuffrè.
Monografia
D'Alessandro, C
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