Cessati da molti anni i vivaci dibattiti accesisi sul problema del concorso del danneggiato nella produzione del danno, parrebbe essersi consolidato, tanto nella dottrina, quanto nella giurisprudenza, il c.d. principio del concorso di cause. Secondo tale principio, se il danneggiato ha contribuito a dare causa all’evento dannoso, il risarcimento è proporzionalmente ridotto, limitandosi alla parte non cagionata dalla persona offesa. Il saggio sottopone ad analisi critica i fondamenti concettuali di tale principio, proponendo una differente ricostruzione del fenomeno. Premessa l’irrilevanza giuridica del danno a se stessi, poiché il danno implica e si risolve per definizione nel pregiudizio alla sfera altrui, e non mai alla propria, occorre distinguere se vi sia un unico danno, dovuto all’indivisibile concorso di colpa del danneggiato e del danneggiante, o se vi siano danni diversi e disgiungibili, generati da differenti contributi colposi proprio e altrui. Nel primo caso, la teoria del “concorso di cause” non sembra appagante, poiché troverebbe applicazione, anche nel caso di illecito colposo, il principio volenti non fit iniuria. Colposo è infatti il fatto pericoloso, del quale sono prevedibili conseguenze dannose. La definizione del fatto dannoso imputabile al danneggiato si risolve, non già in una necessaria distribuzione delle responsabilità a ciascuno dei coautori, bensì nella ricostruzione dell’unico fatto risarcibile: che è per definizione il fatto residuo, ascrivibile al terzo. Se la responsabilità è giuridicamente concepibile soltanto verso i terzi e non anche verso se medesimi, la imputazione al terzo concorrente postula la necessaria esclusione del fatto del danneggiato. Sotto questa luce, l’imputazione eziologica al danneggiato assume priorità logica, poiché definisce l’ambito del fatto aquilianamente rilevante: se il fatto dannoso è indivisibile, il danno riuscirà per logica necessità integralmente ed esclusivamente imputabile al danneggiato, come si reputa qualora vi sia concorso (non di colpe, ma) di doli. Il dolo finisce per attirare a sé tutta la eziologia del fatto dannoso e per imputare al comportamento del volente tutto il danno poiché, al pari della colpa, anche il dolo riassume e svolge il principio della causalità prevedibile

Orlandi, M. (2010). Volenti non fit iniuria (auto-responsabilità e danno). RIVISTA DI DIRITTO CIVILE(4), 323-347.

Volenti non fit iniuria (auto-responsabilità e danno)

ORLANDI, MAURO
2010-01-01

Abstract

Cessati da molti anni i vivaci dibattiti accesisi sul problema del concorso del danneggiato nella produzione del danno, parrebbe essersi consolidato, tanto nella dottrina, quanto nella giurisprudenza, il c.d. principio del concorso di cause. Secondo tale principio, se il danneggiato ha contribuito a dare causa all’evento dannoso, il risarcimento è proporzionalmente ridotto, limitandosi alla parte non cagionata dalla persona offesa. Il saggio sottopone ad analisi critica i fondamenti concettuali di tale principio, proponendo una differente ricostruzione del fenomeno. Premessa l’irrilevanza giuridica del danno a se stessi, poiché il danno implica e si risolve per definizione nel pregiudizio alla sfera altrui, e non mai alla propria, occorre distinguere se vi sia un unico danno, dovuto all’indivisibile concorso di colpa del danneggiato e del danneggiante, o se vi siano danni diversi e disgiungibili, generati da differenti contributi colposi proprio e altrui. Nel primo caso, la teoria del “concorso di cause” non sembra appagante, poiché troverebbe applicazione, anche nel caso di illecito colposo, il principio volenti non fit iniuria. Colposo è infatti il fatto pericoloso, del quale sono prevedibili conseguenze dannose. La definizione del fatto dannoso imputabile al danneggiato si risolve, non già in una necessaria distribuzione delle responsabilità a ciascuno dei coautori, bensì nella ricostruzione dell’unico fatto risarcibile: che è per definizione il fatto residuo, ascrivibile al terzo. Se la responsabilità è giuridicamente concepibile soltanto verso i terzi e non anche verso se medesimi, la imputazione al terzo concorrente postula la necessaria esclusione del fatto del danneggiato. Sotto questa luce, l’imputazione eziologica al danneggiato assume priorità logica, poiché definisce l’ambito del fatto aquilianamente rilevante: se il fatto dannoso è indivisibile, il danno riuscirà per logica necessità integralmente ed esclusivamente imputabile al danneggiato, come si reputa qualora vi sia concorso (non di colpe, ma) di doli. Il dolo finisce per attirare a sé tutta la eziologia del fatto dannoso e per imputare al comportamento del volente tutto il danno poiché, al pari della colpa, anche il dolo riassume e svolge il principio della causalità prevedibile
2010
Pubblicato
Rilevanza internazionale
Articolo
Nessuno
Settore IUS/01 - DIRITTO PRIVATO
Italian
Auto-responsabilità; Colpa; Dolo; Nesso di causalità; Risarcimento del danno; Volenti non fit iniuria
Orlandi, M. (2010). Volenti non fit iniuria (auto-responsabilità e danno). RIVISTA DI DIRITTO CIVILE(4), 323-347.
Orlandi, M
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