L’organizzazione aziendale e le scienze manageriali si basano molto sull’economia (in particolare sulla microeconomia) e sulla teoria delle decisioni. A differenza della microeconomia, in gran parte descrittiva poiché cerca di descrivere come l’economia funzioni senza indicare come dovrebbe piuttosto operare, le scienze manageriali sono in gran parte prescrittive dal momento che cercano di stabilire regole e modi per raggiungere specifici scopi, e sono alla base della gestione delle imprese, così come del management delle aziende pubbliche. Per applicare l’economia manageriale alla gestione delle imprese occorre una teoria dell’impresa. Secondo la teoria condivisa dalla maggior parte degli studiosi di organizzazione aziendale, l’impresa cerca di massimizzare il proprio valore, definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi in futuro (che per ora considereremo equivalenti al profitto). Questa massimizzazione è soggetta a dei vincoli, in quanto l’impresa dispone di risorse limitate, soprattutto nel breve periodo, e deve sottostare a una pluralità di leggi e contratti. In questo capitolo l’impresa è analizzata secondo la concezione neoclassica. Sono riportate le definizioni più frequenti, e i concetti spiegati sia singolarmente che nelle loro relazioni. Hanno in comune l’idea che un’impresa debba essere in grado di produrre, o vendere, in modo più efficiente di quanto non farebbero le sue singole componenti, agendo separatamente. L’economia neoclassica postula il comportamento razionale degli agenti nel mercato; questa ipotesi, in un mercato perfettamente competitivo, si traduce nella massimizzazione del profitto per i proprietari delle imprese. Analogamente, i consumatori di fronte ai prezzi esogeni hanno gli incentivi appropriati per massimizzare i loro livelli di utilità. Non è quindi necessario preoccuparsi degli incentivi per comprendere come i prezzi si formino nei mercati competitivi. Tuttavia, trattando un’impresa come una scatola nera, la teoria non spiega come i proprietari delle imprese riescano ad allineare con la massimizzazione del profitto i diversi obiettivi dei vari membri dell’organizzazione, ai quali vengono delegati numerosi compiti. Questa delega diviene problematica quando il delegato ha obiettivi diversi da quelli del proprietario e, al tempo stesso, l’informazione sull’agente è imperfetta. La teoria neoclassica non fornisce dunque alcuno strumento per comprendere le strutture organizzative dell’impresa. L’equilibrio competitivo rimane un caso di interesse teorico, salvo qualche eccezione – ad esempio alcuni mercati agricoli o finanziari –, ma è utile sia didatticamente che come benchmark di qualunque altro sistema di coordinamento. La capacità del mercato di approssimare l’efficienza permane, infatti, anche in condizioni abbastanza lontane da quella di “equilibrio competitivo”. Teoria ed esperienza dimostrano che la competizione genera prezzi e combinazioni di consumo e produzione vicini a quelli di concorrenza (la “Scuola di Chicago” sostiene che è sufficiente la presenza di due sole aziende in competizione per generare un sistema di prezzi ed un equilibrio domanda-offerta molto vicino a quello di concorrenza pura). Nonostante le informazioni scambiate nei sistemi economici reali siano in quantità di gran lunga superiore a quelle elementari costituite dal solo sistema dei prezzi (ricerche di mercato, pubblicità, regolazione), questi ultimi mantengono in definitiva la loro caratteristica di meccanismo principale di coordinamento ed incentivazione. Esistono tuttavia dei casi in cui anche il mercato non riesce ad assicurare l’efficienza: si parla allora di “fallimenti del mercato”. Questi fallimenti costituiscono una motivazione che spiega la nascita e lo sviluppo di determinate strutture organizzate. Un’ulteriore e forse pi importante motivazione per spiegare l’esistenza di diverse strutture organizzative è l’esigenza delle imprese di minimizzare i costi di transazione. Pertanto una parte delle transazioni avviene sul mercato, quando questa è la modalità più conveniente, mentre la parte restante si svolge all’interno delle organizzazioni, quando questo minimizza i costi totali della loro effettuazione. Il paradigma dei costi di transazione riesce quindi a descrivere tutti gli aspetti delle organizzazioni, progettate e strutturate per minimizzare tali costi. Il modello dell’equilibrio concorrenziale è forse il più affascinante e più sviluppato in economia. Si dimostra che nelle condizioni di concorrenza pura, in cui tutti i soggetti sono price-taker, il sistema dei prezzi, preso come dato, genera automaticamente incentivi sufficienti ad allineare gli obiettivi individuali verso l’ottimo sociale, garantendo così l’uso efficiente delle risorse. La “mano invisibile” del mercato trasforma le motivazioni individuali in ottimo sociale, fornendo automaticamente incentivi ottimali. Un equilibrio di mercato concorrenziale riesce a conseguire l’efficienza facendo uso delle sole informazioni costituite dal sistema dei prezzi. È quindi un meccanismo di coordinamento particolarmente parsimonioso: nessun altro sistema può garantire altrettanto con un flusso così limitato di informazioni. Un sistema di mercato tende “naturalmente” a raggiungere la frontiera delle utilità possibili? Il primo teorema del benessere risponde affermativamente a questo interrogativo. In altre parole, il sistema economico raggiungerà l’equilibrio in corrispondenza di un punto appartenente alla frontiera delle utilità possibili e l’allocazione di equilibrio delle risorse sarà Pareto-efficiente . Si tratta di un risultato fondamentale nell’economia neoclassica e come tale è opportuno studiarlo e conoscerlo a fondo.
Campi, C., LA BELLA, A. (2008). L’impresa nell’analisi neoclassica. In A. La Bella, E. Battistoni (a cura di), Economia e organizzazione aziendale. Roma : Apogeo.
L’impresa nell’analisi neoclassica
CAMPI, CINTHIA;LA BELLA, AGOSTINO
2008-01-01
Abstract
L’organizzazione aziendale e le scienze manageriali si basano molto sull’economia (in particolare sulla microeconomia) e sulla teoria delle decisioni. A differenza della microeconomia, in gran parte descrittiva poiché cerca di descrivere come l’economia funzioni senza indicare come dovrebbe piuttosto operare, le scienze manageriali sono in gran parte prescrittive dal momento che cercano di stabilire regole e modi per raggiungere specifici scopi, e sono alla base della gestione delle imprese, così come del management delle aziende pubbliche. Per applicare l’economia manageriale alla gestione delle imprese occorre una teoria dell’impresa. Secondo la teoria condivisa dalla maggior parte degli studiosi di organizzazione aziendale, l’impresa cerca di massimizzare il proprio valore, definito come il valore attuale dei flussi di cassa attesi in futuro (che per ora considereremo equivalenti al profitto). Questa massimizzazione è soggetta a dei vincoli, in quanto l’impresa dispone di risorse limitate, soprattutto nel breve periodo, e deve sottostare a una pluralità di leggi e contratti. In questo capitolo l’impresa è analizzata secondo la concezione neoclassica. Sono riportate le definizioni più frequenti, e i concetti spiegati sia singolarmente che nelle loro relazioni. Hanno in comune l’idea che un’impresa debba essere in grado di produrre, o vendere, in modo più efficiente di quanto non farebbero le sue singole componenti, agendo separatamente. L’economia neoclassica postula il comportamento razionale degli agenti nel mercato; questa ipotesi, in un mercato perfettamente competitivo, si traduce nella massimizzazione del profitto per i proprietari delle imprese. Analogamente, i consumatori di fronte ai prezzi esogeni hanno gli incentivi appropriati per massimizzare i loro livelli di utilità. Non è quindi necessario preoccuparsi degli incentivi per comprendere come i prezzi si formino nei mercati competitivi. Tuttavia, trattando un’impresa come una scatola nera, la teoria non spiega come i proprietari delle imprese riescano ad allineare con la massimizzazione del profitto i diversi obiettivi dei vari membri dell’organizzazione, ai quali vengono delegati numerosi compiti. Questa delega diviene problematica quando il delegato ha obiettivi diversi da quelli del proprietario e, al tempo stesso, l’informazione sull’agente è imperfetta. La teoria neoclassica non fornisce dunque alcuno strumento per comprendere le strutture organizzative dell’impresa. L’equilibrio competitivo rimane un caso di interesse teorico, salvo qualche eccezione – ad esempio alcuni mercati agricoli o finanziari –, ma è utile sia didatticamente che come benchmark di qualunque altro sistema di coordinamento. La capacità del mercato di approssimare l’efficienza permane, infatti, anche in condizioni abbastanza lontane da quella di “equilibrio competitivo”. Teoria ed esperienza dimostrano che la competizione genera prezzi e combinazioni di consumo e produzione vicini a quelli di concorrenza (la “Scuola di Chicago” sostiene che è sufficiente la presenza di due sole aziende in competizione per generare un sistema di prezzi ed un equilibrio domanda-offerta molto vicino a quello di concorrenza pura). Nonostante le informazioni scambiate nei sistemi economici reali siano in quantità di gran lunga superiore a quelle elementari costituite dal solo sistema dei prezzi (ricerche di mercato, pubblicità, regolazione), questi ultimi mantengono in definitiva la loro caratteristica di meccanismo principale di coordinamento ed incentivazione. Esistono tuttavia dei casi in cui anche il mercato non riesce ad assicurare l’efficienza: si parla allora di “fallimenti del mercato”. Questi fallimenti costituiscono una motivazione che spiega la nascita e lo sviluppo di determinate strutture organizzate. Un’ulteriore e forse pi importante motivazione per spiegare l’esistenza di diverse strutture organizzative è l’esigenza delle imprese di minimizzare i costi di transazione. Pertanto una parte delle transazioni avviene sul mercato, quando questa è la modalità più conveniente, mentre la parte restante si svolge all’interno delle organizzazioni, quando questo minimizza i costi totali della loro effettuazione. Il paradigma dei costi di transazione riesce quindi a descrivere tutti gli aspetti delle organizzazioni, progettate e strutturate per minimizzare tali costi. Il modello dell’equilibrio concorrenziale è forse il più affascinante e più sviluppato in economia. Si dimostra che nelle condizioni di concorrenza pura, in cui tutti i soggetti sono price-taker, il sistema dei prezzi, preso come dato, genera automaticamente incentivi sufficienti ad allineare gli obiettivi individuali verso l’ottimo sociale, garantendo così l’uso efficiente delle risorse. La “mano invisibile” del mercato trasforma le motivazioni individuali in ottimo sociale, fornendo automaticamente incentivi ottimali. Un equilibrio di mercato concorrenziale riesce a conseguire l’efficienza facendo uso delle sole informazioni costituite dal sistema dei prezzi. È quindi un meccanismo di coordinamento particolarmente parsimonioso: nessun altro sistema può garantire altrettanto con un flusso così limitato di informazioni. Un sistema di mercato tende “naturalmente” a raggiungere la frontiera delle utilità possibili? Il primo teorema del benessere risponde affermativamente a questo interrogativo. In altre parole, il sistema economico raggiungerà l’equilibrio in corrispondenza di un punto appartenente alla frontiera delle utilità possibili e l’allocazione di equilibrio delle risorse sarà Pareto-efficiente . Si tratta di un risultato fondamentale nell’economia neoclassica e come tale è opportuno studiarlo e conoscerlo a fondo.File | Dimensione | Formato | |
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