Il pregiudizio riservato al comico e al riso è ancora lontano dall’essere realmente abbattuto. È nella natura stessa del comico la propensione ad assumere forme che destabilizzino l’ordine e le regole prefissate, ed è grazie alla capacità di precorrere i tempi e infrangere i canoni (in proiezione di nuove regole) che il comico si lega alla modernità, meglio ancora, diviene veicolo di modernità. La “questione pregiudiziale” che Baudelaire sentiva di dover chiarire prima di affrontare il tema De l’essence du rire sembra, dunque, rimanere un passo obbligato per chiunque voglia occuparsi di comicità: si rende necessaria la constatazione dell’urgenza di dover liberare il comico dalle accuse di essere un ambito ‘poco nobile’ del sapere e dell’agire umani – in termini letterari, un genere ‘basso’ della produzione poetica in tutte le sue forme (lirica, narrativa, drammatica) –, per poi procedere ad una rivalutazione della sua utilità sociale e culturale, che, alle soglie della modernità, diviene persino politica e, verso il nuovo millennio, anche psicologica e, oggi, addirittura terapeutica. È una questione che in fondo si lega anche, o soprattutto, alla difficoltà di descrivere e classificare le espressioni del comico (e del riso), i modi in cui interviene nella vita di tutti i giorni (nella sua specificità di essere “proprio solo all’uomo”) e i ruoli che in essa può assumere. Ripercorrere – anche se a grandi linee – la storia e le teorie del comico da Platone a Baudelaire, ovvero da chi lo condannava come un danno per lo Stato a chi voleva togliergli di dosso un pregiudizio secolare, significa proprio ricostruire l’evoluzione di un rapporto complesso tra cultura ‘alta’ – per lo più la filosofia – e ‘pulsioni’ u-mane e sociali non eludibili (anche quando non portavano questo nome). Significa capire come, seppur in una precisa evoluzione, le dinamiche che hanno coinvolto le espressioni della comicità sono, per loro natura, tornate e ritornate nella storia del pensiero e nella pratica del genere. Elemento, infatti, non trascurabile – e in questo volume addirittura funzionale alla successiva analisi teatrale – è ciò che si è definito come insito nella stessa (sfuggente) definizione di comico, ovvero, come un excursus storico dimostra, il suo vivere costantemente su due piani, quello della teoria (proprio per la necessità di salvare il comico dalla condanna) e quello della pratica (dove, nella incessante rigenerazione di sé, spesso continua a procurarsi quella medesima condanna). È in questo rapporto tra teoria e pratica che si insediano e intrecciano problematiche ancora più complesse quali, una per tutte, la nascita del teatro moderno, dando origine a una nuova questione pregiudiziale che dal Seicento si trascina fino al Novecento: la distinzione tra teatro spettacolo e teatro testo, tra il teatro del gesto e del contesto pluricodice e il teatro della parola. A questa problematica risponde la divisione del presente volume in analisi storico-teorica e pratico-drammaturgica, ovvero prima un percorso tra le teorie del comico (e della scena comica), poi la pratica del testo drammaturgico «messo alla prova della sua propria vita», come dirà Pirandello. E vista, però, la difficoltà di una definizione del comico, come dei suoi tanti aspetti, e la complicazione nell’intreccio con un percorso trasversale che mette in relazione testo e messinscena, l’attenzione si è focalizzata proprio su Luigi Pirandello: il più grande drammaturgo del Novecento italiano è anche il più rappresentativo di queste problematiche, tanto da un punto di vista teorico che pratico, tanto nel passaggio dal comico all’umorismo (con uno studio sulla storia, la teoria, la terminologia attraverso una tradizione recente) come dal testo alla scena (con molti studi sulla specificità della scrittura teatrale). Allo scopo, invece, di sottolineare una cesura importante nella storia e nella concezione del comico e del riso – così come alle soglie dell’epoca moderna era stata fondante la querelle teorica tra Comici dell’Arte e loro accusatori (letterati o clerici che fossero) – risponde il capitolo dedicato all’analisi delle opere di Bergson e Freud in un confronto più dettagliato con L’umorismo di Pirandello. Se, infatti, come si è detto, è praticamente impossibile elencare e definire, nelle minute particolarità, le differenze esistenti tra le varieespressioni del comico, è al contrario praticabile la via di una distinzione tra il concetto di comico e quello di umorismo, cosa che è, poi, oltremodo stimolante proprio in un contesto di ricerca del comico come veicolo di modernità. Le rire di Bergson come Der Witz di Freud in opposizione e, al tempo stesso, in direzione de L’umorismo di Pirandello segnano un cambiamento, sintomatico dell’età contemporanea, di un nuovo modo di intendere comico e umorismo, legati appunto ad una società en-trata in una nuova era che, pur tenendo conto delle passate considerazioni, affronta la comicità legandola ancor più al ‘sentire umano’ e alla sua tragicità. Perché si abbia comico per Bergson deve esserci «un’anestesia momentanea del cuore»; per Freud il “risparmio di compassione” che dà il piacere umoristico è possibile solo in una condizione di totale indifferenza; al contrario e di conseguenza, infine, per Pirandello (più attento all’ombra che al corpo, all’umorismo che al comico) il “sentimento del contrario”, l’umorismo, si ha solo se si abolisce quell’ indifferenza, se si conpatisce, se si scompone la realtà per carpirne il più profondo e minuto dettaglio della sua tragicità, ma questo si ottiene soltanto con il superamento del comico con il comico stesso. E tutta l’attenzione della presente indagine è, infatti, dedicata al comico, alla sua centralità e funzionalità all’interno della teoria pirandelliana nonché, più avanti, della sua applicazione letteraria e drammaturgica. Ma se ciò che anima questo studio è l’inafferrabile dipendenza biunivoca tra teoria e pratica del comico/umorismo e della scena – in un rapporto dove la prima desume le regole dalla seconda ma, al tempo stesso, fissate dalla teoria, esse vengono dalla pratica infrante – il modo in cui questa è portata avanti corrisponde anche ad un altro inafferrabile rapporto biunivoco quello tra didattica e ricerca scientifica. In questa prospettiva, il presente volume – nato insieme dall’ esperienza didattica (il Corso di Letteratura Teatrale Italiana tenuto all’ Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, nell’a.a. 2003-2004) e dall’approfondimento della ricerca scientifica – risponde concreta-mente alle due linee di studio che lo animano: da una parte, la riflessione teorica sul comico, l’umorismo e le loro manifestazioni, dall’ altra l’applicazione pratica dell’analisi critica; l’una rispondendo a un’ esigenza descrittivo-didattica, l’altra a un’urgenza scientifico-critica. A scopo didattico, infatti, è stato ricostruito il percorso storico e teorico della riflessione millenaria sul riso e i meccanismi per scatenarlo e, subito dopo, ma a scopo più prettamente scientifico, si sono presentati gli esempi di tre autori (un filosofo, uno psicanalista, un letterato) capaci di muoversi tra comico e tragico dando vita a espressioni e interpretazioni di umorismo non molto distanti. Per poi arrivare all’analisi dei testi pirandelliani e sondare criticamente come la teoria si applichi alla scena. In tutto il volume, però, le due anime convivono integrandosi l’un l’altra ed è così spiegata la ragione per la quale è possibile trovare un’analisi più dettagliata del confronto teorico tra Bergson, Freud e Pirandello nelle stesse pagine in cui, per esigenze didattiche, le loro stesse teorie vengono descritte e riportate persino con ampie citazioni di brani piuttosto noti a solo vantaggio dei primi lettori. In fondo la stessa idea di scrivere questo libro nasce dalla convinzione che la didattica, e il confronto con gli studenti, può nella sua costrizione alla semplicità – che non è mai banalità – stimolare e aiutare la ricerca, ma soprattutto che, viceversa, la ricerca non può rimanere fine a se stessa, ma deve essere messa al servizio della didattica, trovando solo così la sua vera ragione d’essere.

Nardi, F. (2006). Percorsi e strategie del comico. Comicità e umorismo sulla scena pirandelliana. Manziana : Vecchiarelli.

Percorsi e strategie del comico. Comicità e umorismo sulla scena pirandelliana

NARDI, FLORINDA
2006-01-01

Abstract

Il pregiudizio riservato al comico e al riso è ancora lontano dall’essere realmente abbattuto. È nella natura stessa del comico la propensione ad assumere forme che destabilizzino l’ordine e le regole prefissate, ed è grazie alla capacità di precorrere i tempi e infrangere i canoni (in proiezione di nuove regole) che il comico si lega alla modernità, meglio ancora, diviene veicolo di modernità. La “questione pregiudiziale” che Baudelaire sentiva di dover chiarire prima di affrontare il tema De l’essence du rire sembra, dunque, rimanere un passo obbligato per chiunque voglia occuparsi di comicità: si rende necessaria la constatazione dell’urgenza di dover liberare il comico dalle accuse di essere un ambito ‘poco nobile’ del sapere e dell’agire umani – in termini letterari, un genere ‘basso’ della produzione poetica in tutte le sue forme (lirica, narrativa, drammatica) –, per poi procedere ad una rivalutazione della sua utilità sociale e culturale, che, alle soglie della modernità, diviene persino politica e, verso il nuovo millennio, anche psicologica e, oggi, addirittura terapeutica. È una questione che in fondo si lega anche, o soprattutto, alla difficoltà di descrivere e classificare le espressioni del comico (e del riso), i modi in cui interviene nella vita di tutti i giorni (nella sua specificità di essere “proprio solo all’uomo”) e i ruoli che in essa può assumere. Ripercorrere – anche se a grandi linee – la storia e le teorie del comico da Platone a Baudelaire, ovvero da chi lo condannava come un danno per lo Stato a chi voleva togliergli di dosso un pregiudizio secolare, significa proprio ricostruire l’evoluzione di un rapporto complesso tra cultura ‘alta’ – per lo più la filosofia – e ‘pulsioni’ u-mane e sociali non eludibili (anche quando non portavano questo nome). Significa capire come, seppur in una precisa evoluzione, le dinamiche che hanno coinvolto le espressioni della comicità sono, per loro natura, tornate e ritornate nella storia del pensiero e nella pratica del genere. Elemento, infatti, non trascurabile – e in questo volume addirittura funzionale alla successiva analisi teatrale – è ciò che si è definito come insito nella stessa (sfuggente) definizione di comico, ovvero, come un excursus storico dimostra, il suo vivere costantemente su due piani, quello della teoria (proprio per la necessità di salvare il comico dalla condanna) e quello della pratica (dove, nella incessante rigenerazione di sé, spesso continua a procurarsi quella medesima condanna). È in questo rapporto tra teoria e pratica che si insediano e intrecciano problematiche ancora più complesse quali, una per tutte, la nascita del teatro moderno, dando origine a una nuova questione pregiudiziale che dal Seicento si trascina fino al Novecento: la distinzione tra teatro spettacolo e teatro testo, tra il teatro del gesto e del contesto pluricodice e il teatro della parola. A questa problematica risponde la divisione del presente volume in analisi storico-teorica e pratico-drammaturgica, ovvero prima un percorso tra le teorie del comico (e della scena comica), poi la pratica del testo drammaturgico «messo alla prova della sua propria vita», come dirà Pirandello. E vista, però, la difficoltà di una definizione del comico, come dei suoi tanti aspetti, e la complicazione nell’intreccio con un percorso trasversale che mette in relazione testo e messinscena, l’attenzione si è focalizzata proprio su Luigi Pirandello: il più grande drammaturgo del Novecento italiano è anche il più rappresentativo di queste problematiche, tanto da un punto di vista teorico che pratico, tanto nel passaggio dal comico all’umorismo (con uno studio sulla storia, la teoria, la terminologia attraverso una tradizione recente) come dal testo alla scena (con molti studi sulla specificità della scrittura teatrale). Allo scopo, invece, di sottolineare una cesura importante nella storia e nella concezione del comico e del riso – così come alle soglie dell’epoca moderna era stata fondante la querelle teorica tra Comici dell’Arte e loro accusatori (letterati o clerici che fossero) – risponde il capitolo dedicato all’analisi delle opere di Bergson e Freud in un confronto più dettagliato con L’umorismo di Pirandello. Se, infatti, come si è detto, è praticamente impossibile elencare e definire, nelle minute particolarità, le differenze esistenti tra le varieespressioni del comico, è al contrario praticabile la via di una distinzione tra il concetto di comico e quello di umorismo, cosa che è, poi, oltremodo stimolante proprio in un contesto di ricerca del comico come veicolo di modernità. Le rire di Bergson come Der Witz di Freud in opposizione e, al tempo stesso, in direzione de L’umorismo di Pirandello segnano un cambiamento, sintomatico dell’età contemporanea, di un nuovo modo di intendere comico e umorismo, legati appunto ad una società en-trata in una nuova era che, pur tenendo conto delle passate considerazioni, affronta la comicità legandola ancor più al ‘sentire umano’ e alla sua tragicità. Perché si abbia comico per Bergson deve esserci «un’anestesia momentanea del cuore»; per Freud il “risparmio di compassione” che dà il piacere umoristico è possibile solo in una condizione di totale indifferenza; al contrario e di conseguenza, infine, per Pirandello (più attento all’ombra che al corpo, all’umorismo che al comico) il “sentimento del contrario”, l’umorismo, si ha solo se si abolisce quell’ indifferenza, se si conpatisce, se si scompone la realtà per carpirne il più profondo e minuto dettaglio della sua tragicità, ma questo si ottiene soltanto con il superamento del comico con il comico stesso. E tutta l’attenzione della presente indagine è, infatti, dedicata al comico, alla sua centralità e funzionalità all’interno della teoria pirandelliana nonché, più avanti, della sua applicazione letteraria e drammaturgica. Ma se ciò che anima questo studio è l’inafferrabile dipendenza biunivoca tra teoria e pratica del comico/umorismo e della scena – in un rapporto dove la prima desume le regole dalla seconda ma, al tempo stesso, fissate dalla teoria, esse vengono dalla pratica infrante – il modo in cui questa è portata avanti corrisponde anche ad un altro inafferrabile rapporto biunivoco quello tra didattica e ricerca scientifica. In questa prospettiva, il presente volume – nato insieme dall’ esperienza didattica (il Corso di Letteratura Teatrale Italiana tenuto all’ Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, nell’a.a. 2003-2004) e dall’approfondimento della ricerca scientifica – risponde concreta-mente alle due linee di studio che lo animano: da una parte, la riflessione teorica sul comico, l’umorismo e le loro manifestazioni, dall’ altra l’applicazione pratica dell’analisi critica; l’una rispondendo a un’ esigenza descrittivo-didattica, l’altra a un’urgenza scientifico-critica. A scopo didattico, infatti, è stato ricostruito il percorso storico e teorico della riflessione millenaria sul riso e i meccanismi per scatenarlo e, subito dopo, ma a scopo più prettamente scientifico, si sono presentati gli esempi di tre autori (un filosofo, uno psicanalista, un letterato) capaci di muoversi tra comico e tragico dando vita a espressioni e interpretazioni di umorismo non molto distanti. Per poi arrivare all’analisi dei testi pirandelliani e sondare criticamente come la teoria si applichi alla scena. In tutto il volume, però, le due anime convivono integrandosi l’un l’altra ed è così spiegata la ragione per la quale è possibile trovare un’analisi più dettagliata del confronto teorico tra Bergson, Freud e Pirandello nelle stesse pagine in cui, per esigenze didattiche, le loro stesse teorie vengono descritte e riportate persino con ampie citazioni di brani piuttosto noti a solo vantaggio dei primi lettori. In fondo la stessa idea di scrivere questo libro nasce dalla convinzione che la didattica, e il confronto con gli studenti, può nella sua costrizione alla semplicità – che non è mai banalità – stimolare e aiutare la ricerca, ma soprattutto che, viceversa, la ricerca non può rimanere fine a se stessa, ma deve essere messa al servizio della didattica, trovando solo così la sua vera ragione d’essere.
2006
Settore L-FIL-LET/10 - LETTERATURA ITALIANA
Italian
Rilevanza nazionale
Monografia
Nardi, F. (2006). Percorsi e strategie del comico. Comicità e umorismo sulla scena pirandelliana. Manziana : Vecchiarelli.
Monografia
Nardi, F
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2108/59101
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