Il codice di procedura penale del 1988 ha operato una scelta che, paragonata alla normativa previgente, è stata, non enfaticamente, definita «a dir poco rivoluzionaria», consentendo, con il disposto di cui all’art. 671 c.p.p., nel caso di più condanne pronunciate, in processi distinti, contro la stessa persona, la rideterminazione della pena secondo il regime della continuazione (nonché quello del concorso formale) ad opera del giudice dell’esecuzione, ossia in una fase successiva al passaggio in giudicato delle sentenze. La portata rivoluzionaria di questa opzione legislativa è intimamente collegata al superamento, che con essa definitivamente si è realizzato, del dogma dell’intangibilità del giudicato, il quale a non poche «fratture interpretative» aveva condotto, nella vigenza del codice Rocco, proprio con riferimento all’applicazione della disciplina del reato continuato nelle dinamiche del processo di cognizione, a causa delle evidenti disparità di trattamento che un’accezione rigida della «cosa giudicata» aveva finito per legittimare. L’art. 671 c.p.p. rappresenta, quindi, la «più profonda innovazione» apportata, dal legislatore del 1988, alla materia dell’esecuzione penale, attraverso la predisposizione di un meccanismo procedurale che, riconoscendo al giudice il potere di rivalutare, post iudicatum, l’elemento soggettivo dei reati della serie criminosa e di rideterminare la pena applicata con più sentenze divenute irrevocabili, si colloca inevitabilmente in una «zona di confine» tra la fase di cognizione e quella di esecuzione. Con tale istituto si è voluto riservare al momento esecutivo una «valvola di sicurezza» del sistema, che consenta di rimediare, in via residuale e subordinata, alla mancata realizzazione, nel corso della fase cognitiva, delle condizioni per l’accertamento del medesimo disegno criminoso, ed in particolare alla mancata attivazione del simultaneus processus.
Troisi, P. (2005). Applicazione della disciplina del reato continuato in executivis: il «falso» presupposto della non completa espiazione delle pene. LE CORTI SALERNITANE(2), 424-441.
Applicazione della disciplina del reato continuato in executivis: il «falso» presupposto della non completa espiazione delle pene
TROISI, PAOLO
2005-01-01
Abstract
Il codice di procedura penale del 1988 ha operato una scelta che, paragonata alla normativa previgente, è stata, non enfaticamente, definita «a dir poco rivoluzionaria», consentendo, con il disposto di cui all’art. 671 c.p.p., nel caso di più condanne pronunciate, in processi distinti, contro la stessa persona, la rideterminazione della pena secondo il regime della continuazione (nonché quello del concorso formale) ad opera del giudice dell’esecuzione, ossia in una fase successiva al passaggio in giudicato delle sentenze. La portata rivoluzionaria di questa opzione legislativa è intimamente collegata al superamento, che con essa definitivamente si è realizzato, del dogma dell’intangibilità del giudicato, il quale a non poche «fratture interpretative» aveva condotto, nella vigenza del codice Rocco, proprio con riferimento all’applicazione della disciplina del reato continuato nelle dinamiche del processo di cognizione, a causa delle evidenti disparità di trattamento che un’accezione rigida della «cosa giudicata» aveva finito per legittimare. L’art. 671 c.p.p. rappresenta, quindi, la «più profonda innovazione» apportata, dal legislatore del 1988, alla materia dell’esecuzione penale, attraverso la predisposizione di un meccanismo procedurale che, riconoscendo al giudice il potere di rivalutare, post iudicatum, l’elemento soggettivo dei reati della serie criminosa e di rideterminare la pena applicata con più sentenze divenute irrevocabili, si colloca inevitabilmente in una «zona di confine» tra la fase di cognizione e quella di esecuzione. Con tale istituto si è voluto riservare al momento esecutivo una «valvola di sicurezza» del sistema, che consenta di rimediare, in via residuale e subordinata, alla mancata realizzazione, nel corso della fase cognitiva, delle condizioni per l’accertamento del medesimo disegno criminoso, ed in particolare alla mancata attivazione del simultaneus processus.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.