La problematica del c.d. falso inoffensivo si inserisce nella “polemica”, oramai secolare, relativa all’individuazione della natura, del contenuto e dei limiti del bene giuridico protetto nell’ambito dei delitti contro la fede pubblica, e in particolare delle falsità documentali. La difficoltà di pervenire ad un inquadramento sistematico dei reati di falso coerente con le scelte legislative, tradottesi nell’inserimento nel codice Rocco di un intero titolo dedicato ai delitti contro la fede pubblica e la inconsistenza e indeterminatezza, immediatamente palesatasi, del concetto di “fede pubblica”, con la conseguente sua incapacità a soddisfare le istanze proprie del diritto penale di uno stato sociale di diritto, improntato al principio personalistico, hanno indotto la dottrina, ben presto, a sbarazzarsi di tale nozione e a percorrere strade alternative, con l’obiettivo di ancorare la disciplina del falso ad un quid di specifico e determinato, in grado, tra l’altro, di giustificare risposte sanzionatorie piuttosto elevate, come quelle previste per le fattispecie di falso in atto pubblico. Che tale compito si sia rivelato arduo è dimostrato, da un lato, dalla incapacità delle soluzioni di volta in volta escogitate ad individuare un oggetto giuridico che fosse, nello stesso tempo, in grado di fungere da fondamento sostanziale unitario della categoria dei falsi e di assurgere a criterio “materiale” di incriminazione, in linea con i principi del diritto penale del fatto, dall’altro, dal perdurare di un intollerabile stato di incertezza in ordine ai confini tra falsi punibili e falsi inoffensivi, con le inevitabili incongruenze sul piano applicativo.
Troisi, P. (2004). Il falso inutile e il falso innocuo. LE CORTI SALERNITANE(3), 714-734.
Il falso inutile e il falso innocuo
TROISI, PAOLO
2004-01-01
Abstract
La problematica del c.d. falso inoffensivo si inserisce nella “polemica”, oramai secolare, relativa all’individuazione della natura, del contenuto e dei limiti del bene giuridico protetto nell’ambito dei delitti contro la fede pubblica, e in particolare delle falsità documentali. La difficoltà di pervenire ad un inquadramento sistematico dei reati di falso coerente con le scelte legislative, tradottesi nell’inserimento nel codice Rocco di un intero titolo dedicato ai delitti contro la fede pubblica e la inconsistenza e indeterminatezza, immediatamente palesatasi, del concetto di “fede pubblica”, con la conseguente sua incapacità a soddisfare le istanze proprie del diritto penale di uno stato sociale di diritto, improntato al principio personalistico, hanno indotto la dottrina, ben presto, a sbarazzarsi di tale nozione e a percorrere strade alternative, con l’obiettivo di ancorare la disciplina del falso ad un quid di specifico e determinato, in grado, tra l’altro, di giustificare risposte sanzionatorie piuttosto elevate, come quelle previste per le fattispecie di falso in atto pubblico. Che tale compito si sia rivelato arduo è dimostrato, da un lato, dalla incapacità delle soluzioni di volta in volta escogitate ad individuare un oggetto giuridico che fosse, nello stesso tempo, in grado di fungere da fondamento sostanziale unitario della categoria dei falsi e di assurgere a criterio “materiale” di incriminazione, in linea con i principi del diritto penale del fatto, dall’altro, dal perdurare di un intollerabile stato di incertezza in ordine ai confini tra falsi punibili e falsi inoffensivi, con le inevitabili incongruenze sul piano applicativo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.