La nota offre spunti di riflessione sul principio, affermato dalla sentenza in commento, per cui, nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da chi sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale. Ciò comporta che la mancanza nell’interveniente di una posizione sostanziale d’interesse legittimo, anziché costituire ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta un presupposto di ammissibilità. Anche nel giudizio amministrativo il problema dell’intervento appartiene alla tematica più ampia del processo con pluralità di parti, che ha sporadicamente condotto lo stesso giudice amministrativo ad ammettere, in linea di principio, tutte le fattispecie di intervento. L’art. 28 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, codice del processo amministrativo, non rinnega tali possibilità, in quanto, nel privilegiare la completezza del contraddittorio, non definisce positivamente i presupposti ed i requisiti per intervenire, con la conseguenza che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire, accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova. Ciò detto, la legittimazione all’intervento si deve dunque desumere in parte dai profili soggettivi, in parte dalle ragioni, applicandosi comunque l’art. 105 cod. proc. civ., sia come espressione di un principio generale – quello di essere parte del processo, ovvero secondo il PIRAS “legittimo contraddittore” – sia come norma utile a colmare la lacuna del codice del processo amministrativo, che non poteva racchiudere in una norma concisa tutte le possibili evenienze che dipendono dalla pluri-qualificazione dell’oggetto del processo stesso. Ratio dell’intervento è, infatti, far valere nei confronti di tutte le parti, o di alcune di esse, una “situazione giuridica soggettiva” relativa all’oggetto dedotto nel processo medesimo, con la conseguenza che sarà proprio l’individuazione di quanto dedotto in relazione alla tipologia del processo a rendere ammissibile o meno tale figura. Infatti, la giurisdizione generale di legittimità non ha più quella funzione primaria che gli era attribuita in passato, sol che si consideri il lunghissimo elenco delle materie di giurisdizione esclusiva indicate dall’art. 133 cod. proc. amm. o da altre specifiche norme di legge; in tutti questi casi, pertanto, l’intervento volontario in via principale, autonoma o litisconsortile, sarà sempre ammesso, quanto meno nei casi in cui l’accertamento del rapporto controverso riguardi la lesione di diritti soggettivi. Stesso discorso può essere fatto in relazione all’altro requisito che abilita all’intervento volontario, e cioè la dipendenza dal titolo dedotto nel processo medesimo, in merito al quale l’art. 105 cod. proc. civ. richiama il contenuto dell’atto di citazione, in particolare l’art. 163 comma 2 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., che è sostanzialmente corrispondente al contenuto del ricorso, ai sensi dell’art. 40 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. amm.
Ardanese, C. (2011). Nota a Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2011 n. 4557 [Altro].
Nota a Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2011 n. 4557
ARDANESE, CLIZIA
2011-01-01
Abstract
La nota offre spunti di riflessione sul principio, affermato dalla sentenza in commento, per cui, nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da chi sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale. Ciò comporta che la mancanza nell’interveniente di una posizione sostanziale d’interesse legittimo, anziché costituire ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta un presupposto di ammissibilità. Anche nel giudizio amministrativo il problema dell’intervento appartiene alla tematica più ampia del processo con pluralità di parti, che ha sporadicamente condotto lo stesso giudice amministrativo ad ammettere, in linea di principio, tutte le fattispecie di intervento. L’art. 28 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104, codice del processo amministrativo, non rinnega tali possibilità, in quanto, nel privilegiare la completezza del contraddittorio, non definisce positivamente i presupposti ed i requisiti per intervenire, con la conseguenza che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire, accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova. Ciò detto, la legittimazione all’intervento si deve dunque desumere in parte dai profili soggettivi, in parte dalle ragioni, applicandosi comunque l’art. 105 cod. proc. civ., sia come espressione di un principio generale – quello di essere parte del processo, ovvero secondo il PIRAS “legittimo contraddittore” – sia come norma utile a colmare la lacuna del codice del processo amministrativo, che non poteva racchiudere in una norma concisa tutte le possibili evenienze che dipendono dalla pluri-qualificazione dell’oggetto del processo stesso. Ratio dell’intervento è, infatti, far valere nei confronti di tutte le parti, o di alcune di esse, una “situazione giuridica soggettiva” relativa all’oggetto dedotto nel processo medesimo, con la conseguenza che sarà proprio l’individuazione di quanto dedotto in relazione alla tipologia del processo a rendere ammissibile o meno tale figura. Infatti, la giurisdizione generale di legittimità non ha più quella funzione primaria che gli era attribuita in passato, sol che si consideri il lunghissimo elenco delle materie di giurisdizione esclusiva indicate dall’art. 133 cod. proc. amm. o da altre specifiche norme di legge; in tutti questi casi, pertanto, l’intervento volontario in via principale, autonoma o litisconsortile, sarà sempre ammesso, quanto meno nei casi in cui l’accertamento del rapporto controverso riguardi la lesione di diritti soggettivi. Stesso discorso può essere fatto in relazione all’altro requisito che abilita all’intervento volontario, e cioè la dipendenza dal titolo dedotto nel processo medesimo, in merito al quale l’art. 105 cod. proc. civ. richiama il contenuto dell’atto di citazione, in particolare l’art. 163 comma 2 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., che è sostanzialmente corrispondente al contenuto del ricorso, ai sensi dell’art. 40 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. amm.File | Dimensione | Formato | |
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Nota a sentenza CdS, Sez. V, 2 agosto 2011 n. 4557.doc
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