La scoliosi idiopatica dell'adolescente (AIS) è una complessa e tridimensionale deformità spinale di incerta eziologia, presumibilmente multifattoriale con coinvolgimento di fattori genetici, ambientali etc. Diversi studi hanno cercato di determinare dei geni implicati nella sua comparsa e progressione (FBN1; COLa1; COLa2; ACAN; MED4, etc) basandosi sullo studio di familiarità e su analisi genotipica e fenotipica di gemelli mono e dizigoti (1). Varie teorie riguardo la patogenesi della sua progressione sono state proposte: la teoria muscolare, la teoria neurologica sono le più avanzate ma nessuna delle due ha soddisfatto appieno le incertezze e le perplessità. (2;3;4) La patogenesi dell’evoluzione della scoliosi è stata descritta mediante il concetto del “circolo vizioso” ideato da Heuter e Volkmann e dalla relativa catena patognomonica. Secondo questo principio le forze agenti nella curva scoliotica generano carichi asimmetrici in compressione che inibiscono la crescita nel lato concavo della colonna. Tale effetto, associato alla costante ed immutata crescita sul lato convesso, provoca uno sbilanciamento con cuneizzazione vertebrale e progressione della deformità coronale (1;2;5;6). Altra caratteristica fondamentale della deformità scoliotica è la rotazione, misurata secondo varie metodiche (1;7). Essa è importante in ambito chirurgico, in fase di planning preoperatorio, perché determina i livelli da strumentare prossimali e distali, per attuare una correzione efficacie e bilanciata (8). La scoliosi dell’adolescente, definita come una curvatura sul piano coronale > di 10° Cobb (9), attualmente è riscontrata nel 3-5% degli adolescenti, con una prevalenza del sesso femminile che si varia dai 2:1 delle curve di >10° ai 10:1 delle curve > di 30° (2), e di questa circa l’80% dei casi è classificata come idiopatica (9). Solamente lo 0,5% delle curve scoliotiche supera i 20° Cobb (9). Essa si rende manifesta generalmente poco prima della pubertà e si sviluppa durante tutta la fase di accrescimento scheletrico, sebbene non manchino eccezioni con comparsa in età precoce. Si distinguono pertanto in base all’età di comparsa in: scoliosi infantile, che insorge in un'età compresa tra 1 e 7 anni, la scoliosi giovanile, che si manifesta tra 7 e 10 anni, e la scoliosi dell'adolescenza, tra i 10 ed i 15 anni. (9)Ultimamente una nuova suddivisione si è sviluppata: early onset (EOS) e late onset scoliosis (LOS). Le classificazioni più utilizzate delle AIS sono: King-Moe (10) e la più recente proposta da Lenke nel 2003. Entrambe è le classificazioni rappresentano una guida al trattamento chirurgico, e non riguardano in alcun modo la patogenesi o l’evoluzione dell’AIS. Lenke distingue le curve in 6 gruppi ed utilizzando 2 ulteriori modificatori applicabili ai suddetti gruppi, propone una guida alla diagnosi ed al trattamento chirurgico delineando i livelli vertebrali dove arrestare la strumentazione/artrodesi (8). Attualmente, sebbene manchino delle vere e proprie linee guida accettate globalmente soprattutto per quanto riguarda il trattamento conservativo ed il giusto timing chirurgico, lo standard prevede un controllo clinico e radiografico ed eventualmente della ginnastica posturale con o senza chinesiterapia per le curve < di 20° Cobb, una applicazione di ortesi (busti di vario genere, anche gessati, a seconda delle caratteristiche insite della curva stessa) nelle curve che vanno dai 20° ai 40° Cobb, con dovute eccezioni per incrementi repentini della curvatura in pazienti in fasi precoci di accrescimento, ed un trattamento chirurgico per le curve > di 40° Cobb (1;11), anche se in caso si repentine variazioni in senso rafforzativo ed in fase di accrescimento, si può cambiare atteggiamento terapeutico. I risultati del trattamento con ortesi sono tuttora causa di dibattito, poiché non sempre sono di successo. Maggiore e la curva, minori sono i risultati della terapia conservativa. Alcuni recenti studi postulano che il trattamento ortesico non riduce significativamente il tasso di interventi chirurgici correttivi (12). Ulteriori problemi importanti sono sia di tipo psicologico che di tipo pratico per il paziente, che spesso presenta scarsa compliance alla terapia, e questo può comportare uno scarso risultato clinico con la conseguenza di peggioramento della curva e necessità di intervenire chirurgicamente (13). Weinstein et al. (1) in due review, analizzando vari trattamenti ortesici proposti a seconda del tipo di curva scoliotica (Milwaukee, TLSO, Cheneau, Boston e Charleston braces) e utilizzando un apposito trial denominato BRAIST (14), giunge alla conclusione che, sebbene non sia prevedibile quanto il trattamento ortesico sia efficace, la progressione può essere fermata solamente se è rispettata una compliance al trattamento conservativo (22-23h al giorno)(15). Riporta dei tassi di insuccesso (progressione) nel 25% dei pazienti “complianti” contro il 58% dei pazienti non “complianti”. Tali percentuali riguardano tutti i tipi di busti sopra elencati, ma con una netta prevalenza di utilizzo del Boston-type brace (68%) (16). Le tecniche chirurgiche attualmente sono diverse e perseguono, attraverso concetti a volte differenti, lo stesso obiettivo finale: la correzione della scoliosi e soprattutto il suo mantenimento nel tempo. Sostanzialmente si possono distinguere in tecniche che prevedono (oppure no) l’artrodesi, immediata o posticipata (growing rod). Un ulteriore distinzione si può effettuare in base all’approccio chirurgico scelto: via posteriore o via anteriore. Le tecniche con approccio posteriore con fusione sono di gran lunga le più utilizzate attualmente, poiché prevedono una correzione rapida, importante in termini di valori angolari, pressoché definitiva (salvo complicanze) e stabile (data da una efficace artrodesi). Sfruttano un accesso chirurgico ben collaudato, ampio, che permette una manovrabilità della curva spesso ottimale. Meno utilizzate, ma altresì con una lunga storia, sono le tecniche di correzione ed artrodesi con approccio antero-laterale al rachide esse permettono di attuare delle correzioni similarmente valide e stabili, di ridurre alcune delle complicanze/conseguenze degli approcci posteriori (ipocifosi), e tentado di ridurre i livelli di artrodesi, pur tuttavia presentando un approccio antero-laterale, di tipo toracotomico, di non facile esecuzione per il chirurgo ortopedico e gravato da possibili complicanze intraoperatorie e post operatorie importanti per la stretta vicinanza con gli organi della cavità toracica e del tratto di passaggio toraco-lombare (2). Tuttavia la fusione stessa, obiettivo primario da perseguire in queste tecniche è gravato anch’esso da alcuni problemi come la inibizione della crescita lungo l’area di artrodesi, lo sviluppo di degenerazione discale sia prossimalmente che distalmente alla stessa, la riduzione del raggio di movimento (quest’ultima varia molto in base ai livelli trattati, ad esempio è più importante quanti più livelli lombari sono inclusi nella artrodesi e viceversa), e la riduzione della mobilità generale del rachide. Proprio per questi problemi la ricerca si è orientata negli ultimi anni verso delle tecniche “senza fusione”, di cui gli approcci anteriori sono di gran lunga i più sperimentati (17;18;19). Le tecniche anteriori senza fusione sfruttano per la correzione la crescita residua insita nel rachide dal momento dell’intervento fino al termine dell’accrescimento del paziente, inoltre incoraggiano la correzione della geometria vertebrale incoraggiando il riallineamento della stessa attraverso la compressione della convessità della deformità. Tale evento permette indirettamente la distrazione della concavità e in alcuni casi la derotazione delle vertebre stesse intorno al proprio asse. Eliminando l’artrodesi intervertebrale, queste tecniche, in linea teorica, garantiscono il mantenimento della motilità e del range of motion, ed ovviamente non impediscono la crescita della colonna (5). In particolare la tecnica anteriore senza fusione con tethering (vertebral body tethering, VBT) è sempre di più considerata interessante per via dei risultati a medio termine soddisfacenti e per i vantaggi derivati dalla conservazione della mobilità nel lungo termine (12).

Tundo, F. (2024). Trattamento chirurgico della scoliosi adolescenziale idiopatica mediante tecnica innovativa VBT (vertebral body tethering).

Trattamento chirurgico della scoliosi adolescenziale idiopatica mediante tecnica innovativa VBT (vertebral body tethering)

TUNDO, FEDERICO
2024-01-01

Abstract

La scoliosi idiopatica dell'adolescente (AIS) è una complessa e tridimensionale deformità spinale di incerta eziologia, presumibilmente multifattoriale con coinvolgimento di fattori genetici, ambientali etc. Diversi studi hanno cercato di determinare dei geni implicati nella sua comparsa e progressione (FBN1; COLa1; COLa2; ACAN; MED4, etc) basandosi sullo studio di familiarità e su analisi genotipica e fenotipica di gemelli mono e dizigoti (1). Varie teorie riguardo la patogenesi della sua progressione sono state proposte: la teoria muscolare, la teoria neurologica sono le più avanzate ma nessuna delle due ha soddisfatto appieno le incertezze e le perplessità. (2;3;4) La patogenesi dell’evoluzione della scoliosi è stata descritta mediante il concetto del “circolo vizioso” ideato da Heuter e Volkmann e dalla relativa catena patognomonica. Secondo questo principio le forze agenti nella curva scoliotica generano carichi asimmetrici in compressione che inibiscono la crescita nel lato concavo della colonna. Tale effetto, associato alla costante ed immutata crescita sul lato convesso, provoca uno sbilanciamento con cuneizzazione vertebrale e progressione della deformità coronale (1;2;5;6). Altra caratteristica fondamentale della deformità scoliotica è la rotazione, misurata secondo varie metodiche (1;7). Essa è importante in ambito chirurgico, in fase di planning preoperatorio, perché determina i livelli da strumentare prossimali e distali, per attuare una correzione efficacie e bilanciata (8). La scoliosi dell’adolescente, definita come una curvatura sul piano coronale > di 10° Cobb (9), attualmente è riscontrata nel 3-5% degli adolescenti, con una prevalenza del sesso femminile che si varia dai 2:1 delle curve di >10° ai 10:1 delle curve > di 30° (2), e di questa circa l’80% dei casi è classificata come idiopatica (9). Solamente lo 0,5% delle curve scoliotiche supera i 20° Cobb (9). Essa si rende manifesta generalmente poco prima della pubertà e si sviluppa durante tutta la fase di accrescimento scheletrico, sebbene non manchino eccezioni con comparsa in età precoce. Si distinguono pertanto in base all’età di comparsa in: scoliosi infantile, che insorge in un'età compresa tra 1 e 7 anni, la scoliosi giovanile, che si manifesta tra 7 e 10 anni, e la scoliosi dell'adolescenza, tra i 10 ed i 15 anni. (9)Ultimamente una nuova suddivisione si è sviluppata: early onset (EOS) e late onset scoliosis (LOS). Le classificazioni più utilizzate delle AIS sono: King-Moe (10) e la più recente proposta da Lenke nel 2003. Entrambe è le classificazioni rappresentano una guida al trattamento chirurgico, e non riguardano in alcun modo la patogenesi o l’evoluzione dell’AIS. Lenke distingue le curve in 6 gruppi ed utilizzando 2 ulteriori modificatori applicabili ai suddetti gruppi, propone una guida alla diagnosi ed al trattamento chirurgico delineando i livelli vertebrali dove arrestare la strumentazione/artrodesi (8). Attualmente, sebbene manchino delle vere e proprie linee guida accettate globalmente soprattutto per quanto riguarda il trattamento conservativo ed il giusto timing chirurgico, lo standard prevede un controllo clinico e radiografico ed eventualmente della ginnastica posturale con o senza chinesiterapia per le curve < di 20° Cobb, una applicazione di ortesi (busti di vario genere, anche gessati, a seconda delle caratteristiche insite della curva stessa) nelle curve che vanno dai 20° ai 40° Cobb, con dovute eccezioni per incrementi repentini della curvatura in pazienti in fasi precoci di accrescimento, ed un trattamento chirurgico per le curve > di 40° Cobb (1;11), anche se in caso si repentine variazioni in senso rafforzativo ed in fase di accrescimento, si può cambiare atteggiamento terapeutico. I risultati del trattamento con ortesi sono tuttora causa di dibattito, poiché non sempre sono di successo. Maggiore e la curva, minori sono i risultati della terapia conservativa. Alcuni recenti studi postulano che il trattamento ortesico non riduce significativamente il tasso di interventi chirurgici correttivi (12). Ulteriori problemi importanti sono sia di tipo psicologico che di tipo pratico per il paziente, che spesso presenta scarsa compliance alla terapia, e questo può comportare uno scarso risultato clinico con la conseguenza di peggioramento della curva e necessità di intervenire chirurgicamente (13). Weinstein et al. (1) in due review, analizzando vari trattamenti ortesici proposti a seconda del tipo di curva scoliotica (Milwaukee, TLSO, Cheneau, Boston e Charleston braces) e utilizzando un apposito trial denominato BRAIST (14), giunge alla conclusione che, sebbene non sia prevedibile quanto il trattamento ortesico sia efficace, la progressione può essere fermata solamente se è rispettata una compliance al trattamento conservativo (22-23h al giorno)(15). Riporta dei tassi di insuccesso (progressione) nel 25% dei pazienti “complianti” contro il 58% dei pazienti non “complianti”. Tali percentuali riguardano tutti i tipi di busti sopra elencati, ma con una netta prevalenza di utilizzo del Boston-type brace (68%) (16). Le tecniche chirurgiche attualmente sono diverse e perseguono, attraverso concetti a volte differenti, lo stesso obiettivo finale: la correzione della scoliosi e soprattutto il suo mantenimento nel tempo. Sostanzialmente si possono distinguere in tecniche che prevedono (oppure no) l’artrodesi, immediata o posticipata (growing rod). Un ulteriore distinzione si può effettuare in base all’approccio chirurgico scelto: via posteriore o via anteriore. Le tecniche con approccio posteriore con fusione sono di gran lunga le più utilizzate attualmente, poiché prevedono una correzione rapida, importante in termini di valori angolari, pressoché definitiva (salvo complicanze) e stabile (data da una efficace artrodesi). Sfruttano un accesso chirurgico ben collaudato, ampio, che permette una manovrabilità della curva spesso ottimale. Meno utilizzate, ma altresì con una lunga storia, sono le tecniche di correzione ed artrodesi con approccio antero-laterale al rachide esse permettono di attuare delle correzioni similarmente valide e stabili, di ridurre alcune delle complicanze/conseguenze degli approcci posteriori (ipocifosi), e tentado di ridurre i livelli di artrodesi, pur tuttavia presentando un approccio antero-laterale, di tipo toracotomico, di non facile esecuzione per il chirurgo ortopedico e gravato da possibili complicanze intraoperatorie e post operatorie importanti per la stretta vicinanza con gli organi della cavità toracica e del tratto di passaggio toraco-lombare (2). Tuttavia la fusione stessa, obiettivo primario da perseguire in queste tecniche è gravato anch’esso da alcuni problemi come la inibizione della crescita lungo l’area di artrodesi, lo sviluppo di degenerazione discale sia prossimalmente che distalmente alla stessa, la riduzione del raggio di movimento (quest’ultima varia molto in base ai livelli trattati, ad esempio è più importante quanti più livelli lombari sono inclusi nella artrodesi e viceversa), e la riduzione della mobilità generale del rachide. Proprio per questi problemi la ricerca si è orientata negli ultimi anni verso delle tecniche “senza fusione”, di cui gli approcci anteriori sono di gran lunga i più sperimentati (17;18;19). Le tecniche anteriori senza fusione sfruttano per la correzione la crescita residua insita nel rachide dal momento dell’intervento fino al termine dell’accrescimento del paziente, inoltre incoraggiano la correzione della geometria vertebrale incoraggiando il riallineamento della stessa attraverso la compressione della convessità della deformità. Tale evento permette indirettamente la distrazione della concavità e in alcuni casi la derotazione delle vertebre stesse intorno al proprio asse. Eliminando l’artrodesi intervertebrale, queste tecniche, in linea teorica, garantiscono il mantenimento della motilità e del range of motion, ed ovviamente non impediscono la crescita della colonna (5). In particolare la tecnica anteriore senza fusione con tethering (vertebral body tethering, VBT) è sempre di più considerata interessante per via dei risultati a medio termine soddisfacenti e per i vantaggi derivati dalla conservazione della mobilità nel lungo termine (12).
2024
2023/2024
Scienze medico-chirurgiche applicate
36.
Settore MEDS-15/A - Neurochirurgia
Italian
Tesi di dottorato
Tundo, F. (2024). Trattamento chirurgico della scoliosi adolescenziale idiopatica mediante tecnica innovativa VBT (vertebral body tethering).
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