Con la presente ricerca s’intende illustrare e sviluppare il tema dell’influenza del diritto dell’Unione europea e della CEDU sul giudicato amministrativo. Lo scopo dell’indagine è quello di comprendere se (ed a quali condizioni) le norme sovranazionali possano rimettere in discussione un principio cardine, quale quello dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni giurisdizionali irrevocabili. La questione è particolarmente rilevante poiché attiene a profili fondanti dei sistemi giuridici nazionali. In effetti, gli ordinamenti interni di tutti gli Stati membri dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa riconoscono il principio della res iudicata, a tenore del quale le circostanze di fatto e di diritto definite da sentenze passate in giudicato, in linea di principio, non possono più essere rimesse in discussione. Si tratta di un principio cardine destinato a garantire la certezza del diritto, la buona amministrazione della giustizia e, non da ultimo, la pace sociale tra i cittadini. Una rigorosa applicazione di tale principio, tuttavia, sottrarrebbe, in talune circostanze, gli atti nazionali in questione all’altrettanto fondamentale esigenza di rispetto delle norme di matrice sovranazionale. In particolare, si tratta di stabilire se il giudicato interno, e segnatamente quello riferibile ai giudici amministrativi, possa cristallizzare eventuali violazioni del diritto eurounitario racchiuse nella sentenza o se, applicando minuziosamente il principio di supremazia del diritto sovranazionale, possa considerarsi ammissibile il ripristino della norma violata anche a costo di incidere sul giudicato. L’effetto, in quest’ultimo caso, sarebbe quello di generare una rilevante compressione dell’ambito di applicazione di un istituto cardine del processo amministrativo nazionale volto a conferire certezza alle situazioni giuridiche interne. L’individuazione dei casi e delle condizioni in cui l’osservanza di tali norme deve comunque essere garantita, anche a detrimento del principio della res iudicata, costituisce quindi opera non agevole, che presuppone un delicato bilanciamento tra contrapposte esigenze primarie. Il tema in questione, inoltre, si presenta anche come particolarmente attuale. Su di esso, infatti, si sono recentemente pronunciate le più alte Corti, europee e nazionali. In particolare, si ricordano le assai note pronunce della Corte di Giustizia 13 Gennaio 2004, causa C-453/00, Kuhne & Heitz e 18 Luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, che – sia pur con talune limitazioni – sembrerebbero imporre il superamento del giudicato nazionale in presenza di circostanze eccezionali. Anche sul versante della Convenzione EDU, la questione del superamento del principio della cosa giudicata è molto attuale e assai dibattuta. E ciò, in quanto la violazione del principio del giusto processo, evidenziata dalla Corte EDU con riferimento ad una sentenza di un giudice nazionale divenuta irrevocabile, provoca un conflitto tra l’obbligo assunto dallo Stato di osservare, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione EDU, la pronuncia della Corte EDU e l’impossibilità di rimuovere de facto gli effetti della sentenza “ingiusta” una volta che questa abbia assunto autorità di cosa giudicata, posto che il passaggio in giudicato implica, in linea generale, l’immodificabilità della pronunzia. La situazione non è infrequente, soprattutto avuto riguardo alle pronunce della Corte EDU, posto che il passaggio in giudicato della sentenza del giudice nazionale costituisce condizione fisiologica, in quanto condizione primaria di ricevibilità dei ricorsi dinanzi alla Corte europea è il previo esaurimento delle vie interne di ricorso giurisdizionale. La recente giurisprudenza della Corte europea si è consolidata nell’indicare l’obbligo di riapertura del processo, come forma di riparazione più appropriata per rimediare alle violazioni del principio del fair trial. In Italia, le modalità di attuazione di tale imposizione sono state oggetto di un intenso dibattito tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, culminato, limitatamente al processo penale, con il riconoscimento ad opera della nota sentenza n. 113 del 2011, dell’obbligo di revisione del giudizio a seguito di una sentenza della Corte EDU. Avuto riguardo al processo amministrativo, invece, con la sentenza n. 123/2017, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 c.p.a. e degli artt. 395 e 396 c.p.c., sollevata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. e alla norma interposta dell’art. 46 della CEDU, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza, quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Anche a valle della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, tuttavia, la delicata questione della possibile impugnazione della sentenza del giudice amministrativo di ultima istanza per contrasto con una pronuncia della Corte EDU che abbia dichiarato la violazione del principio fondamentale del giusto processo non è ancora conclusa. Come osservato da attenta dottrina, “la parola fine non può essere ancora scritta non solo perché” la Corte ha rimesso “la decisione definitiva […] alla volontà del legislatore, ma anche perché analoga questione è stata sollevata dalla Corte di Cassazione con riferimento all’impugnazione per motivi di giurisdizione” 1 . È interessante, quindi, indagare – anche a seguito della pronuncia della Consulta – se l’obbligo di revisione del giudizio a seguito di una sentenza della Corte EDU sia, in una prospettiva de iure condendo, applicabile anche al processo amministrativo. Preliminarmente, tuttavia, risulta necessario trattare della nozione di giudicato amministrativo, assente nel Codice del processo amministrativo e ricavabile tramite il rinvio alle norme di cui agli articoli 324 c.p.c. e 2909 c.c., disposizioni, queste, che si configurano come parametri di riferimento, rispettivamente, per la nozione di giudicato formale e di giudicato sostanziale. I due princìpi, sono, in realtà, strettamente connessi, in quanto l’art 324 c.p.c. consente di stabilire quando, di fatto, una sentenza possa considerarsi passata in giudicato, mentre l’art 2909 c.c. consente l’individuazione degli effetti derivanti dall’incontrovertibilità dell’accertamento giurisdizionale. In particolare, si può sinteticamente osservare, avuto riguardo al giudicato amministrativo, che una sentenza diviene definitiva dal punto di vista formale una volta decorso il termine di proposizione dell’appello avverso una sentenza di Tribunale amministrativo regionale ovvero di proposizione del ricorso in Cassazione avverso una sentenza del Consiglio di Stato, ovvero quando siano stati respinti o utilizzati tali mezzi di impugnazione. Il passaggio in giudicato determina l’immutabilità della sentenza e la preclusione a giudicare nuovamente in ordine alla stessa controversia. Più complessa appare, invece, la questione relativa all’applicazione al giudicato amministrativo della nozione di giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c. secondo cui, una volta definita la controversia in sede giurisdizionale, ciò che in essa è stabilito fa stato, secondo la dizione codicistica, tra le parti, i loro eredi e aventi causa. Tale questione, in linea generale, trae origine dalla sostanziale differenza esistente tra sentenza civile e sentenza amministrativa. Nel giudizio amministrativo, infatti, il giudicato acquista un carattere maggiormente pregnante rispetto a quello civile, in quanto lo stesso si caratterizza per un contenuto comprensivo di effetti demolitori e ripristinatori nonché di quello propriamente detto confermativo rivolto al futuro e consistente nella delineazione delle modalità di esplicazione della successiva attività amministrativa. Pertanto, data la rilevanza dell’istituto del giudicato nell’ordinamento interno e le peculiarità che esso assume nell’ambito del processo amministrativo, il primo capitolo del presente lavoro sarà dedicato interamente a tale istituto e alle sue caratteristiche. I successivi capitoli si concentreranno, invece, sull’incidenza che su di esso esplicano le sentenze sopravvenute della Corte di Giustizia e della Corte EDU.
Paolelli, M. (2019). Il giudicato amministrativo alla prova dei giudici europei.
Il giudicato amministrativo alla prova dei giudici europei
PAOLELLI, MATTEO
2019-01-01
Abstract
Con la presente ricerca s’intende illustrare e sviluppare il tema dell’influenza del diritto dell’Unione europea e della CEDU sul giudicato amministrativo. Lo scopo dell’indagine è quello di comprendere se (ed a quali condizioni) le norme sovranazionali possano rimettere in discussione un principio cardine, quale quello dell’autorità di cosa giudicata delle decisioni giurisdizionali irrevocabili. La questione è particolarmente rilevante poiché attiene a profili fondanti dei sistemi giuridici nazionali. In effetti, gli ordinamenti interni di tutti gli Stati membri dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa riconoscono il principio della res iudicata, a tenore del quale le circostanze di fatto e di diritto definite da sentenze passate in giudicato, in linea di principio, non possono più essere rimesse in discussione. Si tratta di un principio cardine destinato a garantire la certezza del diritto, la buona amministrazione della giustizia e, non da ultimo, la pace sociale tra i cittadini. Una rigorosa applicazione di tale principio, tuttavia, sottrarrebbe, in talune circostanze, gli atti nazionali in questione all’altrettanto fondamentale esigenza di rispetto delle norme di matrice sovranazionale. In particolare, si tratta di stabilire se il giudicato interno, e segnatamente quello riferibile ai giudici amministrativi, possa cristallizzare eventuali violazioni del diritto eurounitario racchiuse nella sentenza o se, applicando minuziosamente il principio di supremazia del diritto sovranazionale, possa considerarsi ammissibile il ripristino della norma violata anche a costo di incidere sul giudicato. L’effetto, in quest’ultimo caso, sarebbe quello di generare una rilevante compressione dell’ambito di applicazione di un istituto cardine del processo amministrativo nazionale volto a conferire certezza alle situazioni giuridiche interne. L’individuazione dei casi e delle condizioni in cui l’osservanza di tali norme deve comunque essere garantita, anche a detrimento del principio della res iudicata, costituisce quindi opera non agevole, che presuppone un delicato bilanciamento tra contrapposte esigenze primarie. Il tema in questione, inoltre, si presenta anche come particolarmente attuale. Su di esso, infatti, si sono recentemente pronunciate le più alte Corti, europee e nazionali. In particolare, si ricordano le assai note pronunce della Corte di Giustizia 13 Gennaio 2004, causa C-453/00, Kuhne & Heitz e 18 Luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini, che – sia pur con talune limitazioni – sembrerebbero imporre il superamento del giudicato nazionale in presenza di circostanze eccezionali. Anche sul versante della Convenzione EDU, la questione del superamento del principio della cosa giudicata è molto attuale e assai dibattuta. E ciò, in quanto la violazione del principio del giusto processo, evidenziata dalla Corte EDU con riferimento ad una sentenza di un giudice nazionale divenuta irrevocabile, provoca un conflitto tra l’obbligo assunto dallo Stato di osservare, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione EDU, la pronuncia della Corte EDU e l’impossibilità di rimuovere de facto gli effetti della sentenza “ingiusta” una volta che questa abbia assunto autorità di cosa giudicata, posto che il passaggio in giudicato implica, in linea generale, l’immodificabilità della pronunzia. La situazione non è infrequente, soprattutto avuto riguardo alle pronunce della Corte EDU, posto che il passaggio in giudicato della sentenza del giudice nazionale costituisce condizione fisiologica, in quanto condizione primaria di ricevibilità dei ricorsi dinanzi alla Corte europea è il previo esaurimento delle vie interne di ricorso giurisdizionale. La recente giurisprudenza della Corte europea si è consolidata nell’indicare l’obbligo di riapertura del processo, come forma di riparazione più appropriata per rimediare alle violazioni del principio del fair trial. In Italia, le modalità di attuazione di tale imposizione sono state oggetto di un intenso dibattito tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, culminato, limitatamente al processo penale, con il riconoscimento ad opera della nota sentenza n. 113 del 2011, dell’obbligo di revisione del giudizio a seguito di una sentenza della Corte EDU. Avuto riguardo al processo amministrativo, invece, con la sentenza n. 123/2017, la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 c.p.a. e degli artt. 395 e 396 c.p.c., sollevata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 117, comma 1, Cost. e alla norma interposta dell’art. 46 della CEDU, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza, quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Anche a valle della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, tuttavia, la delicata questione della possibile impugnazione della sentenza del giudice amministrativo di ultima istanza per contrasto con una pronuncia della Corte EDU che abbia dichiarato la violazione del principio fondamentale del giusto processo non è ancora conclusa. Come osservato da attenta dottrina, “la parola fine non può essere ancora scritta non solo perché” la Corte ha rimesso “la decisione definitiva […] alla volontà del legislatore, ma anche perché analoga questione è stata sollevata dalla Corte di Cassazione con riferimento all’impugnazione per motivi di giurisdizione” 1 . È interessante, quindi, indagare – anche a seguito della pronuncia della Consulta – se l’obbligo di revisione del giudizio a seguito di una sentenza della Corte EDU sia, in una prospettiva de iure condendo, applicabile anche al processo amministrativo. Preliminarmente, tuttavia, risulta necessario trattare della nozione di giudicato amministrativo, assente nel Codice del processo amministrativo e ricavabile tramite il rinvio alle norme di cui agli articoli 324 c.p.c. e 2909 c.c., disposizioni, queste, che si configurano come parametri di riferimento, rispettivamente, per la nozione di giudicato formale e di giudicato sostanziale. I due princìpi, sono, in realtà, strettamente connessi, in quanto l’art 324 c.p.c. consente di stabilire quando, di fatto, una sentenza possa considerarsi passata in giudicato, mentre l’art 2909 c.c. consente l’individuazione degli effetti derivanti dall’incontrovertibilità dell’accertamento giurisdizionale. In particolare, si può sinteticamente osservare, avuto riguardo al giudicato amministrativo, che una sentenza diviene definitiva dal punto di vista formale una volta decorso il termine di proposizione dell’appello avverso una sentenza di Tribunale amministrativo regionale ovvero di proposizione del ricorso in Cassazione avverso una sentenza del Consiglio di Stato, ovvero quando siano stati respinti o utilizzati tali mezzi di impugnazione. Il passaggio in giudicato determina l’immutabilità della sentenza e la preclusione a giudicare nuovamente in ordine alla stessa controversia. Più complessa appare, invece, la questione relativa all’applicazione al giudicato amministrativo della nozione di giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c. secondo cui, una volta definita la controversia in sede giurisdizionale, ciò che in essa è stabilito fa stato, secondo la dizione codicistica, tra le parti, i loro eredi e aventi causa. Tale questione, in linea generale, trae origine dalla sostanziale differenza esistente tra sentenza civile e sentenza amministrativa. Nel giudizio amministrativo, infatti, il giudicato acquista un carattere maggiormente pregnante rispetto a quello civile, in quanto lo stesso si caratterizza per un contenuto comprensivo di effetti demolitori e ripristinatori nonché di quello propriamente detto confermativo rivolto al futuro e consistente nella delineazione delle modalità di esplicazione della successiva attività amministrativa. Pertanto, data la rilevanza dell’istituto del giudicato nell’ordinamento interno e le peculiarità che esso assume nell’ambito del processo amministrativo, il primo capitolo del presente lavoro sarà dedicato interamente a tale istituto e alle sue caratteristiche. I successivi capitoli si concentreranno, invece, sull’incidenza che su di esso esplicano le sentenze sopravvenute della Corte di Giustizia e della Corte EDU.| File | Dimensione | Formato | |
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