Il rischio d’impresa non è solo economico, ma anche da reato, di cui spesso, nella realtà imprenditoriale italiana, con una forte presenza gestionale del titolare, il titolare neppure si rende conto. Egli infatti si percepisce come onesto e ritiene di agire onestamente, faticando a comprendere adempimenti formali che ne ingessano l’operatività, compresi ad esempio quelli legati alla normativa in materia di responsabilità da reato degli enti, di cui al D.Lgs. 231/2001. In effetti, quando l’impresa diventa un’entità plurisoggettiva, con numerosi dipendenti, il rischio si spersonalizza, il che mette in crisi un sistema penale consolidato da tempo. Le responsabilità penali infatti si moltiplicano e coinvolgono una pletora di soggetti, con una spersonalizzazione che riduce ulteriormente la percezione del rischio; esso viene accettato da tutti, sebbene in maniera poco consapevole. Limitare o riconoscere la responsabilità in capo al legale rappresentante della società rappresenta un mero palliativo, legato alla necessità di punire comunque una persona “in carne ed ossa”, spesso vero e proprio capro espiatorio. Così, per superare tali difficoltà, si è rotto l’argine rappresentato dal societas delinquere non potest e si è definitivamente riconosciuta una responsabilità anche dell’ente. In questo contesto si inserisce l’attività di corporate compliance con il conseguente sistema di controlli interni. Come accade anche in materia di imposte, lo Stato delega totalmente al privato l’attività di controllo, senza neanche preoccuparsi di fornire delle indicazioni su come tale attività vada svolta, salvo poi contestarne l’adeguatezza. Da ciò la giurisprudenza fa derivare ulteriori responsabilità, tanto di natura civilistica che penale, estese a una molteplicità di soggetti tra cui gli amministratori, delegati e senza deleghe, i sindaci, i revisori, etc., che però non hanno la piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte poste in essere, proprio per la spersonalizzazione suddetta. Il problema è amplificato dal fatto che i giudici, ma più in generale i giuristi, hanno una limitatissima conoscenza della realtà dell’azienda e, dunque, del fenomeno che sono chiamati a giudicare
Terracina, D. (2022). Corporate governance, corporate compliance e responsabilità penale. INNOVAZIONE E DIRITTO(2), 39-106.
Corporate governance, corporate compliance e responsabilità penale
Terracina, D
2022-01-01
Abstract
Il rischio d’impresa non è solo economico, ma anche da reato, di cui spesso, nella realtà imprenditoriale italiana, con una forte presenza gestionale del titolare, il titolare neppure si rende conto. Egli infatti si percepisce come onesto e ritiene di agire onestamente, faticando a comprendere adempimenti formali che ne ingessano l’operatività, compresi ad esempio quelli legati alla normativa in materia di responsabilità da reato degli enti, di cui al D.Lgs. 231/2001. In effetti, quando l’impresa diventa un’entità plurisoggettiva, con numerosi dipendenti, il rischio si spersonalizza, il che mette in crisi un sistema penale consolidato da tempo. Le responsabilità penali infatti si moltiplicano e coinvolgono una pletora di soggetti, con una spersonalizzazione che riduce ulteriormente la percezione del rischio; esso viene accettato da tutti, sebbene in maniera poco consapevole. Limitare o riconoscere la responsabilità in capo al legale rappresentante della società rappresenta un mero palliativo, legato alla necessità di punire comunque una persona “in carne ed ossa”, spesso vero e proprio capro espiatorio. Così, per superare tali difficoltà, si è rotto l’argine rappresentato dal societas delinquere non potest e si è definitivamente riconosciuta una responsabilità anche dell’ente. In questo contesto si inserisce l’attività di corporate compliance con il conseguente sistema di controlli interni. Come accade anche in materia di imposte, lo Stato delega totalmente al privato l’attività di controllo, senza neanche preoccuparsi di fornire delle indicazioni su come tale attività vada svolta, salvo poi contestarne l’adeguatezza. Da ciò la giurisprudenza fa derivare ulteriori responsabilità, tanto di natura civilistica che penale, estese a una molteplicità di soggetti tra cui gli amministratori, delegati e senza deleghe, i sindaci, i revisori, etc., che però non hanno la piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte poste in essere, proprio per la spersonalizzazione suddetta. Il problema è amplificato dal fatto che i giudici, ma più in generale i giuristi, hanno una limitatissima conoscenza della realtà dell’azienda e, dunque, del fenomeno che sono chiamati a giudicare| File | Dimensione | Formato | |
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