Sia pur autonomi, i saggi leopardiani proposti nel volume (inediti, con due sole eccezioni, la prima parte del primo paragrafo della prima sezione e la seconda parte della prima parte della III sezione) si raccolgono intorno ad alcuni nuclei tematici fondanti. Nella prima sezione si ritorna ad un percorso ben delineato dagli studiosi, a partire da celebri espressioni di De Sanctis, individuando nella formula “negazione struggente” una possibile ipotesi di lavoro, verificata in particolare negli incipit e negli Inni (da Alla sua donna, a ritroso agli abbozzi degli Inni cristiani). Segno capovolto, la “lugubre preghiera”, come la definisce Lucio Felici, dell’inno ad Arimane introduce la seconda sezione, dedicata all’individuazione tra Alfieri e Leopardi della metafisica di un tiranno assoluto, nascosta sotto i versi (che di Arimane sono l’eco, secondo l’unanime consenso degli studiosi) «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera» di A se stesso. In questo chiave, si analizza un commento vibrante e l’adattamento scenico del Filippo di Alfieri da parte di Giovanni Testori e il commovente appressamento alla morte di Leopardi nella sua casa napoletana, raccontato senza pietà, e quindi con pietas estrema, in Giacomo, il prepotente di Giuseppe Manfridi, nel 1989. Le vere e proprie “esplorazioni” nello spazio geografico occupano la terza sezione, intorno alla figura ardimentosa di Cristoforo Colombo e quella dolente di Caino, insanguinato nomade costruttore del primo agglomerato umano, del primo nucleo di città-civiltà. Ma chi era Pietro-Pedro Gutierrez, il deuteroagonista della Operetta dedicata al tema del viaggio e del rischio nella persona dell’Ammiraglio genovese? Sicuramente una delle prime vittime-carnefice di quella che resterà una della pagine più insanguinate della storia dell’umanità: apparteneva infatti a quel non numeroso gruppo armato lasciato da Colombo nella fortezza di Navidad. Verranno trucidati dagli indios, in una vicenda di soprusi e barbarie difficile da chiarire, innescata, con molta probabilità, dall’avidità degli spagnoli, che ci appare oggi, tristemente, il primo anello di una catena di violenze e spargimenti di sangue. Tramite la fonte primaria della Storia d’America del Robertson, Giacomo Leopardi era al corrente di come si svolsero i fatti, di come le nefandezze e la degenerazione infangarono quasi immediatamente le utopie di Colombo, quell’ idillico primo incontro tra “selvaggi” e uomo (armati) sedicenti civili. Dall’ombra della storia, emerge un interrogativo inquietante, quando, sotto la luce dei riflettori, avanza quel personaggio di poche battute, legato più alla tradizione letteraria che a poche azioni nelle cronache, non privo, in poche battute di dialogo, di una pacata saggezza pratica, fedele all’ardimento con cui il suo capitano si getta tra le pieghe fascinose dell’infinito mare, sulla scorta di una ipotesi da verificare con la navigazione. Conclusione divagante una breve riflessione sul “dormire” di alcuni personaggi infissi nell’universo immaginario tra Alfieri, Leopardi e Manzoni che permettono di “esplorare” le enormi distanze (e anche alcune affinità) del punto di vista sulla letteratura come riflessione sul mondo dei maggiori artisti (se si eccettua Foscolo) tra ultimi anni del Settecento e prima metà dell’Ottocento.

Pierangeli, F. (2008). Esplorazioni leopardiane. Manziana : Vecchiarelli Editore.

Esplorazioni leopardiane

PIERANGELI, FABIO
2008-01-01

Abstract

Sia pur autonomi, i saggi leopardiani proposti nel volume (inediti, con due sole eccezioni, la prima parte del primo paragrafo della prima sezione e la seconda parte della prima parte della III sezione) si raccolgono intorno ad alcuni nuclei tematici fondanti. Nella prima sezione si ritorna ad un percorso ben delineato dagli studiosi, a partire da celebri espressioni di De Sanctis, individuando nella formula “negazione struggente” una possibile ipotesi di lavoro, verificata in particolare negli incipit e negli Inni (da Alla sua donna, a ritroso agli abbozzi degli Inni cristiani). Segno capovolto, la “lugubre preghiera”, come la definisce Lucio Felici, dell’inno ad Arimane introduce la seconda sezione, dedicata all’individuazione tra Alfieri e Leopardi della metafisica di un tiranno assoluto, nascosta sotto i versi (che di Arimane sono l’eco, secondo l’unanime consenso degli studiosi) «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera» di A se stesso. In questo chiave, si analizza un commento vibrante e l’adattamento scenico del Filippo di Alfieri da parte di Giovanni Testori e il commovente appressamento alla morte di Leopardi nella sua casa napoletana, raccontato senza pietà, e quindi con pietas estrema, in Giacomo, il prepotente di Giuseppe Manfridi, nel 1989. Le vere e proprie “esplorazioni” nello spazio geografico occupano la terza sezione, intorno alla figura ardimentosa di Cristoforo Colombo e quella dolente di Caino, insanguinato nomade costruttore del primo agglomerato umano, del primo nucleo di città-civiltà. Ma chi era Pietro-Pedro Gutierrez, il deuteroagonista della Operetta dedicata al tema del viaggio e del rischio nella persona dell’Ammiraglio genovese? Sicuramente una delle prime vittime-carnefice di quella che resterà una della pagine più insanguinate della storia dell’umanità: apparteneva infatti a quel non numeroso gruppo armato lasciato da Colombo nella fortezza di Navidad. Verranno trucidati dagli indios, in una vicenda di soprusi e barbarie difficile da chiarire, innescata, con molta probabilità, dall’avidità degli spagnoli, che ci appare oggi, tristemente, il primo anello di una catena di violenze e spargimenti di sangue. Tramite la fonte primaria della Storia d’America del Robertson, Giacomo Leopardi era al corrente di come si svolsero i fatti, di come le nefandezze e la degenerazione infangarono quasi immediatamente le utopie di Colombo, quell’ idillico primo incontro tra “selvaggi” e uomo (armati) sedicenti civili. Dall’ombra della storia, emerge un interrogativo inquietante, quando, sotto la luce dei riflettori, avanza quel personaggio di poche battute, legato più alla tradizione letteraria che a poche azioni nelle cronache, non privo, in poche battute di dialogo, di una pacata saggezza pratica, fedele all’ardimento con cui il suo capitano si getta tra le pieghe fascinose dell’infinito mare, sulla scorta di una ipotesi da verificare con la navigazione. Conclusione divagante una breve riflessione sul “dormire” di alcuni personaggi infissi nell’universo immaginario tra Alfieri, Leopardi e Manzoni che permettono di “esplorare” le enormi distanze (e anche alcune affinità) del punto di vista sulla letteratura come riflessione sul mondo dei maggiori artisti (se si eccettua Foscolo) tra ultimi anni del Settecento e prima metà dell’Ottocento.
2008
Settore L-FIL-LET/10 - LETTERATURA ITALIANA
Italian
Rilevanza nazionale
Monografia
Leopardi
Pierangeli, F. (2008). Esplorazioni leopardiane. Manziana : Vecchiarelli Editore.
Monografia
Pierangeli, F
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2108/40566
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact