Enfatizzata dalla tendenza alla spettacolarizzazione dei più eclatanti fatti di cronaca, la giustizia penale mediatica ha ormai un suo format, premiato dal pubblico, nel quale si mescolano elementi di informazione, inchiesta, spettacolo, dibattito, fiction (docufilm, talk-show, intrattenimento: si parla di infotainment giudiziario) e l’aula mediatica, priva dei principali guasti della giustizia ordinaria (è infatti veloce, non imbrigliata in regole e limiti procedurali), viene eletta a foro alternativo. Le indagini e poi il processo si svolgono sui mezzi di informazione e sui social, prescindendo dalle regole del codice e privilegiando quelle dello show; la decisione popolare anticipa quella del giudice, destinata ad arrivare quando non vi è più alcun interesse a conoscerla. Una deriva che si fonda sulla impropria sovrapposizione di piani, quello dell’informazione e della giustizia, profondamente diversi quanto a tecniche espressive e tempi di reazione, che alimenta effetti perversi e criticità: dallo stravolgimento di categorie e funzioni del processo penale alla distorsione dei rapporti tra fonti giudiziarie e giornalisti, passando per l’inevitabile condizionamento dei soggetti coinvolti. Per invertire la tendenza occorre investire, in chiave sistemica e reticolare, sul “fattore culturale” in una duplice prospettiva: da un lato, incrementando la sensibilità tecnico-giuridica degli operatori dell’informazione giudiziaria; dall’altro, promuovendo la condivisione fra i protagonisti (magistrati, avvocati, giornalisti) di principi tutti egualmente importanti: il diritto/dovere di cronaca, certamente, ma anche l’obbligo di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui reputazione e presunzione di innocenza.
Cupelli, C. (2024). Il bilanciamento tra diritto di cronaca e dignità della persona: la dis-informazione giudiziaria e l'ingiustizia mediatica. DANNO E RESPONSABILITÀ(4), 409-420.
Il bilanciamento tra diritto di cronaca e dignità della persona: la dis-informazione giudiziaria e l'ingiustizia mediatica.
Cupelli, C
2024-01-01
Abstract
Enfatizzata dalla tendenza alla spettacolarizzazione dei più eclatanti fatti di cronaca, la giustizia penale mediatica ha ormai un suo format, premiato dal pubblico, nel quale si mescolano elementi di informazione, inchiesta, spettacolo, dibattito, fiction (docufilm, talk-show, intrattenimento: si parla di infotainment giudiziario) e l’aula mediatica, priva dei principali guasti della giustizia ordinaria (è infatti veloce, non imbrigliata in regole e limiti procedurali), viene eletta a foro alternativo. Le indagini e poi il processo si svolgono sui mezzi di informazione e sui social, prescindendo dalle regole del codice e privilegiando quelle dello show; la decisione popolare anticipa quella del giudice, destinata ad arrivare quando non vi è più alcun interesse a conoscerla. Una deriva che si fonda sulla impropria sovrapposizione di piani, quello dell’informazione e della giustizia, profondamente diversi quanto a tecniche espressive e tempi di reazione, che alimenta effetti perversi e criticità: dallo stravolgimento di categorie e funzioni del processo penale alla distorsione dei rapporti tra fonti giudiziarie e giornalisti, passando per l’inevitabile condizionamento dei soggetti coinvolti. Per invertire la tendenza occorre investire, in chiave sistemica e reticolare, sul “fattore culturale” in una duplice prospettiva: da un lato, incrementando la sensibilità tecnico-giuridica degli operatori dell’informazione giudiziaria; dall’altro, promuovendo la condivisione fra i protagonisti (magistrati, avvocati, giornalisti) di principi tutti egualmente importanti: il diritto/dovere di cronaca, certamente, ma anche l’obbligo di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo, tra cui reputazione e presunzione di innocenza.File | Dimensione | Formato | |
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