Alla base dell’inarrestabile processo che vede il cuore della città cristallizzarsi come una grande vetrina fruibile eccezionalmente, ma scomoda alla vita reale e quotidiana, forse c’è un’interpretazione errata del concetto di patrimonio. In tal senso le parole di Sergio Paci esprimono questa “alienazione”, architettonica quanto sociale, in modo esaustivo e ci inducono a numerose riflessioni sul come e sul cosa intendiamo oggi per centro storico, definizione già di per sé ambigua: “Il passato si allontana e diventa antico, […] costretto dal presente a una dimensione antiquaria che via via lo isola e in taluni casi persino lo imbalsama pur con tutti gli onori. […] Allo stesso tempo la città moderna continua a crescere pressoché indipendente custodendo al suo centro, nel suo cuore, le reliquie di un tempo che gradualmente acquisiscono i caratteri della vetustà, e quindi dell’onorabilità, in qualità di deposito stratificato di memorie e identità collettive. I due sistemi convivono, cioè vivono insieme in senso letterale, non necessariamente integrandosi” . Da sempre nella storia il nuovo e l’antico si sono avvicendati, compenetrati, ibridati, in taluni casi purtroppo con una distratta noncuranza delle grandi opere del passato, ma in molti altri consentendo la continuità e la vita di numerosi manufatti della memoria che altrimenti sarebbero andati perduti. Per secoli nuove città si sono sedimentate su altre, consentendo un continuum temporale di cui oggi possiamo leggerne ancora le tracce. E questo perché come ci dice Giò Ponti: “Nella cultura tutto è contemporaneo, tutto è simultaneo. Esiste solo il presente, nella rappresentazione che ci facciamo del passato e nell’intuizione del futuro” . Dovremmo forse quindi capire, nel rispetto e nella tutela di ciò che preziosamente riceviamo dal passato, che più che monumentalizzare è necessario riabilitare il patrimonio storico alle esigenze e alle trasformazioni contemporanee, lasciando alle architetture la possibilità di vivere oggi, proprio grazie alla necessità intrinseca di essere ancora vissute, nel modo migliore, nel modo più autentico. L’attuale crisi dei centri storici è oggetto di studi di lunga data, ma essi continuano a vivere ancora oggi sospesi tra due concomitanti urgenze: l’emergenza continua di interventi di conservazione da un lato e l’assoluta necessità di rivitalizzazione e di adeguamento funzionale dall’altro. Il contributo qui proposto nasce dall’intenzione, attraverso la comparazione di tre casi-studio, di delineare delle strategie d’azione che possano restituire, in termini progettuali, possibili scenari di rigenerazione e valorizzazione della città storica. E la ricerca procede in quest’ottica con un intento specifico: la trattazione delle mura cittadine come architetture del limite tra città e paesaggio.
Fiorelli, A. (2020). La valorizzazione dei centri storici e il ruolo delle cinte murarie. In Progettare tra emergenze e futuro per le necessità dei territori (pp. 41-70). Roma : Gangemi.
La valorizzazione dei centri storici e il ruolo delle cinte murarie
Angela Fiorelli
2020-01-01
Abstract
Alla base dell’inarrestabile processo che vede il cuore della città cristallizzarsi come una grande vetrina fruibile eccezionalmente, ma scomoda alla vita reale e quotidiana, forse c’è un’interpretazione errata del concetto di patrimonio. In tal senso le parole di Sergio Paci esprimono questa “alienazione”, architettonica quanto sociale, in modo esaustivo e ci inducono a numerose riflessioni sul come e sul cosa intendiamo oggi per centro storico, definizione già di per sé ambigua: “Il passato si allontana e diventa antico, […] costretto dal presente a una dimensione antiquaria che via via lo isola e in taluni casi persino lo imbalsama pur con tutti gli onori. […] Allo stesso tempo la città moderna continua a crescere pressoché indipendente custodendo al suo centro, nel suo cuore, le reliquie di un tempo che gradualmente acquisiscono i caratteri della vetustà, e quindi dell’onorabilità, in qualità di deposito stratificato di memorie e identità collettive. I due sistemi convivono, cioè vivono insieme in senso letterale, non necessariamente integrandosi” . Da sempre nella storia il nuovo e l’antico si sono avvicendati, compenetrati, ibridati, in taluni casi purtroppo con una distratta noncuranza delle grandi opere del passato, ma in molti altri consentendo la continuità e la vita di numerosi manufatti della memoria che altrimenti sarebbero andati perduti. Per secoli nuove città si sono sedimentate su altre, consentendo un continuum temporale di cui oggi possiamo leggerne ancora le tracce. E questo perché come ci dice Giò Ponti: “Nella cultura tutto è contemporaneo, tutto è simultaneo. Esiste solo il presente, nella rappresentazione che ci facciamo del passato e nell’intuizione del futuro” . Dovremmo forse quindi capire, nel rispetto e nella tutela di ciò che preziosamente riceviamo dal passato, che più che monumentalizzare è necessario riabilitare il patrimonio storico alle esigenze e alle trasformazioni contemporanee, lasciando alle architetture la possibilità di vivere oggi, proprio grazie alla necessità intrinseca di essere ancora vissute, nel modo migliore, nel modo più autentico. L’attuale crisi dei centri storici è oggetto di studi di lunga data, ma essi continuano a vivere ancora oggi sospesi tra due concomitanti urgenze: l’emergenza continua di interventi di conservazione da un lato e l’assoluta necessità di rivitalizzazione e di adeguamento funzionale dall’altro. Il contributo qui proposto nasce dall’intenzione, attraverso la comparazione di tre casi-studio, di delineare delle strategie d’azione che possano restituire, in termini progettuali, possibili scenari di rigenerazione e valorizzazione della città storica. E la ricerca procede in quest’ottica con un intento specifico: la trattazione delle mura cittadine come architetture del limite tra città e paesaggio.File | Dimensione | Formato | |
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