Il presente contributo riguarda il manoscritto Hierosol. S. Sepulcri 29 (= Taphou 29: XII-XIII sec.), un codice agiografico-omiletico greco poco studiato che si conserva presso la Biblioteca del Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme. Di esso si fornisce qui una descrizione analitica che ne chiarisce le modalità di confezione e distingue le varie mani degli amanuensi greci – tra cui figura un altrimenti sconosciuto Leone diacono di Nissa –, aggiungendo così questo codice al dossier dei manoscritti greci medievali prodotti nell'Anatolia meridionale. L’articolo si concentra però soprattutto sulla versione armena dell'Or. 38 di Gregorio Nazianzeno che un anonimo lettore medievale trascrisse nel corso del XIII secolo a margine del testo greco ai ff. 43r-53r, e la analizza dal punto di vista sia del testo armeno che della scrittura armena impiegata. La versione armena corrisponde, in effetti, all'antica traduzione che si ritiene eseguita verso la fine del V secolo ed è trasmessa da numerosi codici; essa però appare qui modificata in più punti al fine di renderla meglio corrispondente al testo greco che l'annotatore armeno del XIII secolo si trovava davanti in questo specifico manoscritto. Inoltre, la scrittura armena da lui utilizzata passa progressivamente dalla minuscola libraria formale (bolorgir), inizialmente da lui impiegata, a una corsiva armena (šlagir) che pare attestata in forma identica anche in un altro manoscritto greco iù antico, in cui la stessa mano sembra aver aggiunto la tarduzione armena di un carme bizantino in onore degli evangelisti (Vat. gr. 1445, f. 2r). La šlagir è, peraltro, una tipologia grafica finora scarsamente documentata nella sua fase medievale, e comunque poco attestata o individuata per un’epoca così precoce nell'ambito della produzione libraria o della trascrizione di testi paraletterari. La testimonianza del Taphou 29 risulta allora particolarmente interessante perché, tra l’altro, conferma la ricostruzione dell’evoluzione della scrittura armena medievale proposta da studiosi come Hrac‘eay Acarean e Yakovbos Tašean: tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, infatti, questi illustri studiosi avevano già ipotizzato che la corsiva armena (šlagir) derivasse direttamente dalla minuscola calligrafica (bolorgir), piuttosto che dalla seriore «scrittura notarile» (notrgir) che la ‘communis opinio’ ha invece voluto considerare come una forma intermedia fra le due.
Sirinian, A., D'Aiuto, F. (2023). Un lettore armeno di Gregorio di Nazianzo in un manoscritto greco di Gerusalemme (Hierosol. S. Sepulcri 29). ORIENTALIA CHRISTIANA PERIODICA, 89(2), 557-605.
Un lettore armeno di Gregorio di Nazianzo in un manoscritto greco di Gerusalemme (Hierosol. S. Sepulcri 29)
D'Aiuto, Francesco
2023-01-01
Abstract
Il presente contributo riguarda il manoscritto Hierosol. S. Sepulcri 29 (= Taphou 29: XII-XIII sec.), un codice agiografico-omiletico greco poco studiato che si conserva presso la Biblioteca del Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme. Di esso si fornisce qui una descrizione analitica che ne chiarisce le modalità di confezione e distingue le varie mani degli amanuensi greci – tra cui figura un altrimenti sconosciuto Leone diacono di Nissa –, aggiungendo così questo codice al dossier dei manoscritti greci medievali prodotti nell'Anatolia meridionale. L’articolo si concentra però soprattutto sulla versione armena dell'Or. 38 di Gregorio Nazianzeno che un anonimo lettore medievale trascrisse nel corso del XIII secolo a margine del testo greco ai ff. 43r-53r, e la analizza dal punto di vista sia del testo armeno che della scrittura armena impiegata. La versione armena corrisponde, in effetti, all'antica traduzione che si ritiene eseguita verso la fine del V secolo ed è trasmessa da numerosi codici; essa però appare qui modificata in più punti al fine di renderla meglio corrispondente al testo greco che l'annotatore armeno del XIII secolo si trovava davanti in questo specifico manoscritto. Inoltre, la scrittura armena da lui utilizzata passa progressivamente dalla minuscola libraria formale (bolorgir), inizialmente da lui impiegata, a una corsiva armena (šlagir) che pare attestata in forma identica anche in un altro manoscritto greco iù antico, in cui la stessa mano sembra aver aggiunto la tarduzione armena di un carme bizantino in onore degli evangelisti (Vat. gr. 1445, f. 2r). La šlagir è, peraltro, una tipologia grafica finora scarsamente documentata nella sua fase medievale, e comunque poco attestata o individuata per un’epoca così precoce nell'ambito della produzione libraria o della trascrizione di testi paraletterari. La testimonianza del Taphou 29 risulta allora particolarmente interessante perché, tra l’altro, conferma la ricostruzione dell’evoluzione della scrittura armena medievale proposta da studiosi come Hrac‘eay Acarean e Yakovbos Tašean: tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, infatti, questi illustri studiosi avevano già ipotizzato che la corsiva armena (šlagir) derivasse direttamente dalla minuscola calligrafica (bolorgir), piuttosto che dalla seriore «scrittura notarile» (notrgir) che la ‘communis opinio’ ha invece voluto considerare come una forma intermedia fra le due.File | Dimensione | Formato | |
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