A causa della diversità nel periodare, le traduzioni in inglese di libri scientifici pubblicati in italiano risultano spesso di difficile lettura, specialmente se ai traduttori viene chiesta aderenza al testo sorgente. Cosa che non avviene, invece, se dalla nostra lingua si tra- duce non solo in francese o in spagnolo ma anche, come nel caso di questo volume, in tedesco, il centesimo della prestigiosa collana «Studien und Materialien zur Geschichte der Philosophie», fondata nel 1966 da Heinz Heimsoeth, Giorgio Tonelli e Yvon Belaval e attualmente diretta da Bernd Dörflinger e Heiner F. Klemme. Si tratta di un volume molto ampio, al quale hanno collaborato studiosi italiani, tedeschi, americani e spagnoli che hanno aggiunto contributi originali in inglese e in tedesco a delle ottime traduzioni in tedesco di un primo nucleo apparso in italiano l’anno scorso a cura sempre di Edoardo Massimilla e Giovanni Morrone, La Germania e l’Oriente. Filologia, filosofia, scienze storiche della cultura (Liguori, Napoli 2020). Nel suo celebre Orientalism (Pantheon, New York 1978), Edward Said parlava del fenomeno dell’orientalismo affermatosi a partire dalla spedizione di Napoleone in Egit- to, dunque dal 1800, nella filosofia, nell’arte e nella letteratura dell’Occidente. Ma è vero che il discorso sull’Oriente imbastito da Said appare oggi superato per aver ignorato non solo gli studi di orientalisti italiani, olandesi, ungheresi e russi, per non aver dato spazio alcuno a voci del mondo ebraico, delle donne, degli stessi espatriati dal medio Oriente, e soprattutto per aver escluso l’orientalistica tedesca. Insomma, se non è vero che non sia esistito un unico discorso europeo sull’Oriente, non è nemmeno vero che l’orientalistica tedesca sia tanto eterogenea da sfuggire a ogni classificazione – così Suzanne Marchand nella premessa al volume (p. 7). Che il volume abbia preso l’avvio a Napoli, alla scuola di Pietro Piovani e di Fulvio Tessitore, lo si deve evidentemente ai lavori dedicati dallo stesso Tessitore (Schizzi e scheg- ge di storiografia arabo-islamica, Laterza, Bari 1995 e Contributi alla storiografia ara- bo-islamica in Italia tra Otto e Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008) alle figure di Michele Amari (1806-1889), Leone Caetani (1869-1935), Giorgio Levi Della Vida (1886-1967), Francesco Gabrieli (1904-1996) e Sabatino Moscati (1992-1997). Nella loro introduzione, i curatori prendono le mosse da due ricerche che fanno lo sta- to dell’arte: quella di Sabine Mangold (Eine ‘weltbürgerliche Wissenschaft’. Die deutsche Orientalistik im 19. Jahrhundert, Steiner, Stuttgart 2004) e quella di Suzanne Marchand (German Orientalism in the Age of Empire. Religion, Race and Scholarship, Cambridge University Press, Cambridge 2009). Fissato l’arco temporale tra l’inizio del diciannove- simo secolo e gli anni quaranta del ventesimo, diviene subito chiara la tensione tra le tendenze imperialistiche della Germania dopo l’unità raggiunta a Versailles nel 1870 e il radicamento degli studi di orientalistica, fin dai tempi di Martin Lutero, tra i cultori delle discipline teologiche e filologiche. Giustamente, i curatori mettono l’accento sull’in- teresse dei dotti tedeschi per l’indagine storico-teologica dell’Antico Testamento e per l’elaborazione teoretica e metodologica della storiografia e della filologia, così come sulla sensibilità verso l’Oriente tra i protagonisti della filosofia classica tedesca e della cultura romantica (p. 12). I tempi di produzione del volume, purtroppo, hanno fatto sì che né nell’introduzione né in alcuno dei singoli contributi si trovino riferimenti all’importante lavoro di Giovanni Bonacina (The Wahhabis Seen through European Eyes (1772-1830). Deists and Puritans of Islam, Brill, Leiden 2015), che avrebbe meritato una discussione approfondita. Si tratta, nei volumi citati, di superare l’idea che la storia della terminologia di cultura sia una sequenza di horti conclusi, per dirla con Tessitore, di specialismi che non comunicano tra loro, impresa non facile, appunto, e non priva di rischi. Claudio De Stefani presenta l’opera di Heinrich Leberecht Fischer (1801-1888), il più importante arabista tedesco del diciannovesimo secolo e il fondatore della Deutsche Mor- genländische Gesellschaft nel 1845, a Halle. Sabine Mangold si occupa invece di Abraham Geiger (1810-1874), che portò avanti il progetto della «Zeitschrift für die Wissenschaft des Judenthums», fondata nel 1822 a Berlino. Se Stefan Jordan mette a confronto le celebri posizioni espresse da G.W.F. Hegel (1770-1831) sull’Oriente con quelle espresse dall’ara- bista K.H.L. Pölitz (1772-1838), che fu discepolo di Kant, Fabio Ciracì ricostruisce l’in- tegrazione tra kantismo e orientalistica nell’opera di Arthur Schopenhauer (1788-1860). La variegata costellazione di pensatori che fa capo alla orientalistische Renaissance della prima metà del diciannovesimo secolo viene presentata da Santi Di Bella con particolare riferimento a Leopold von Ranke (1795-1886) e Jacob Burckhardt (1818-1897). Giuliano Sgrò rivisita il modo di produzione asiatico nell’interpretazione di Karl Marx (1818-1883), Giampiero Moretti si occupa di J.J. Bachofen (1815-1887), mentre Giancarlo Magnano San Lio ricostruisce il ruolo svolto da Wilhelm Dilthey (1833-1911) nel promuovere gli studi orientali nel quadro del nuovo paradigma delle Geisteswissenschaften. Se Bernhard Maier propone il profilo intellettuale dell’islamista Theodor Nöldeke (1836-1930), Aly Elrefaei presenta il lavoro sulla Volkskultur del teologo Julius Wellhausen (1844-1918), e David Moshfeg quello del padre riconosciuto dell’orientalismo scientifico, l’ungherese Ignác Goldziher (1850-1921). Gli sviluppi degli studi tedeschi di indologia tra il 1845 e il 1940 sono tracciati da Douglas McGethin, che si occupa anche delle radici culturali del suprematismo ariano. Delle posizio- ni di Max Weber (1864-1920) su ebraismo e islam si occupa Edoardo Massimilla, mentre Giovanni Morrone, nel suo primo contributo, riprende le posizioni espresse dall’etnologo Leo Frobenius (1873-1938) nel celebre Paideuma. Umrisse einer Kultur- und Seelenlehre (Beck, München 1921). Se Domenico Conte indaga il ruolo dell’Oriente nello Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte (2 voll., Braumüller, Wien und Leipzig 1918 e Beck, München 1922) di Oswald Spengler (1880-1936), nel suo secon- do contributo, Giovanni Morrone riprende le posizioni dell’islamista Carl Heinrich Becker (1886-1933), tra i primi a contribuire alla Encyclopedia of Islam (8 voll., Brill - Luzac, Lei- den - London 1913-1938; cfr. G. MORRONE, Incontri di civiltà. L’Islamwissenschaft di Carl Heinrich Becker, Liguori, Napoli 2006). Chiude il volume Claudio De Stefani con un contributo sul fondatore dell’arabistica formale Gotthelf Bergsträßer (1886-1933), autore della più autorevole tra le grammatiche dell’ebraico, la Hebräische Grammatik (Vogel, Berlin 1918) e grande coranista, che fu tra i primi ad occuparsi delle traduzioni in arabo di testi greci, argomento oggi di grande attua- lità a seguito degli importanti risultati raggiunti da Cristina D’Ancona nel suo progetto G2A (http://www.greekintoarabic.eu), dedicato all’allineamento della pseudo-aristotelica Theologia Aristotelis con una traduzione araba del nono secolo.
Pozzo, R. (2022). Recensione a EDOARDO MASSIMILLA - GIOVANNI MORRONE (hrsg.), Deutschland und der Orient. Philologie, Philosophie, historische Kulturwissenschaften, Olms, Hildesheim - Zürich - New York 2021. Un volume di pp. 435. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA, 114(3), 786-787.
Recensione a EDOARDO MASSIMILLA - GIOVANNI MORRONE (hrsg.), Deutschland und der Orient. Philologie, Philosophie, historische Kulturwissenschaften, Olms, Hildesheim - Zürich - New York 2021. Un volume di pp. 435.
Pozzo, Riccardo
2022-10-01
Abstract
A causa della diversità nel periodare, le traduzioni in inglese di libri scientifici pubblicati in italiano risultano spesso di difficile lettura, specialmente se ai traduttori viene chiesta aderenza al testo sorgente. Cosa che non avviene, invece, se dalla nostra lingua si tra- duce non solo in francese o in spagnolo ma anche, come nel caso di questo volume, in tedesco, il centesimo della prestigiosa collana «Studien und Materialien zur Geschichte der Philosophie», fondata nel 1966 da Heinz Heimsoeth, Giorgio Tonelli e Yvon Belaval e attualmente diretta da Bernd Dörflinger e Heiner F. Klemme. Si tratta di un volume molto ampio, al quale hanno collaborato studiosi italiani, tedeschi, americani e spagnoli che hanno aggiunto contributi originali in inglese e in tedesco a delle ottime traduzioni in tedesco di un primo nucleo apparso in italiano l’anno scorso a cura sempre di Edoardo Massimilla e Giovanni Morrone, La Germania e l’Oriente. Filologia, filosofia, scienze storiche della cultura (Liguori, Napoli 2020). Nel suo celebre Orientalism (Pantheon, New York 1978), Edward Said parlava del fenomeno dell’orientalismo affermatosi a partire dalla spedizione di Napoleone in Egit- to, dunque dal 1800, nella filosofia, nell’arte e nella letteratura dell’Occidente. Ma è vero che il discorso sull’Oriente imbastito da Said appare oggi superato per aver ignorato non solo gli studi di orientalisti italiani, olandesi, ungheresi e russi, per non aver dato spazio alcuno a voci del mondo ebraico, delle donne, degli stessi espatriati dal medio Oriente, e soprattutto per aver escluso l’orientalistica tedesca. Insomma, se non è vero che non sia esistito un unico discorso europeo sull’Oriente, non è nemmeno vero che l’orientalistica tedesca sia tanto eterogenea da sfuggire a ogni classificazione – così Suzanne Marchand nella premessa al volume (p. 7). Che il volume abbia preso l’avvio a Napoli, alla scuola di Pietro Piovani e di Fulvio Tessitore, lo si deve evidentemente ai lavori dedicati dallo stesso Tessitore (Schizzi e scheg- ge di storiografia arabo-islamica, Laterza, Bari 1995 e Contributi alla storiografia ara- bo-islamica in Italia tra Otto e Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2008) alle figure di Michele Amari (1806-1889), Leone Caetani (1869-1935), Giorgio Levi Della Vida (1886-1967), Francesco Gabrieli (1904-1996) e Sabatino Moscati (1992-1997). Nella loro introduzione, i curatori prendono le mosse da due ricerche che fanno lo sta- to dell’arte: quella di Sabine Mangold (Eine ‘weltbürgerliche Wissenschaft’. Die deutsche Orientalistik im 19. Jahrhundert, Steiner, Stuttgart 2004) e quella di Suzanne Marchand (German Orientalism in the Age of Empire. Religion, Race and Scholarship, Cambridge University Press, Cambridge 2009). Fissato l’arco temporale tra l’inizio del diciannove- simo secolo e gli anni quaranta del ventesimo, diviene subito chiara la tensione tra le tendenze imperialistiche della Germania dopo l’unità raggiunta a Versailles nel 1870 e il radicamento degli studi di orientalistica, fin dai tempi di Martin Lutero, tra i cultori delle discipline teologiche e filologiche. Giustamente, i curatori mettono l’accento sull’in- teresse dei dotti tedeschi per l’indagine storico-teologica dell’Antico Testamento e per l’elaborazione teoretica e metodologica della storiografia e della filologia, così come sulla sensibilità verso l’Oriente tra i protagonisti della filosofia classica tedesca e della cultura romantica (p. 12). I tempi di produzione del volume, purtroppo, hanno fatto sì che né nell’introduzione né in alcuno dei singoli contributi si trovino riferimenti all’importante lavoro di Giovanni Bonacina (The Wahhabis Seen through European Eyes (1772-1830). Deists and Puritans of Islam, Brill, Leiden 2015), che avrebbe meritato una discussione approfondita. Si tratta, nei volumi citati, di superare l’idea che la storia della terminologia di cultura sia una sequenza di horti conclusi, per dirla con Tessitore, di specialismi che non comunicano tra loro, impresa non facile, appunto, e non priva di rischi. Claudio De Stefani presenta l’opera di Heinrich Leberecht Fischer (1801-1888), il più importante arabista tedesco del diciannovesimo secolo e il fondatore della Deutsche Mor- genländische Gesellschaft nel 1845, a Halle. Sabine Mangold si occupa invece di Abraham Geiger (1810-1874), che portò avanti il progetto della «Zeitschrift für die Wissenschaft des Judenthums», fondata nel 1822 a Berlino. Se Stefan Jordan mette a confronto le celebri posizioni espresse da G.W.F. Hegel (1770-1831) sull’Oriente con quelle espresse dall’ara- bista K.H.L. Pölitz (1772-1838), che fu discepolo di Kant, Fabio Ciracì ricostruisce l’in- tegrazione tra kantismo e orientalistica nell’opera di Arthur Schopenhauer (1788-1860). La variegata costellazione di pensatori che fa capo alla orientalistische Renaissance della prima metà del diciannovesimo secolo viene presentata da Santi Di Bella con particolare riferimento a Leopold von Ranke (1795-1886) e Jacob Burckhardt (1818-1897). Giuliano Sgrò rivisita il modo di produzione asiatico nell’interpretazione di Karl Marx (1818-1883), Giampiero Moretti si occupa di J.J. Bachofen (1815-1887), mentre Giancarlo Magnano San Lio ricostruisce il ruolo svolto da Wilhelm Dilthey (1833-1911) nel promuovere gli studi orientali nel quadro del nuovo paradigma delle Geisteswissenschaften. Se Bernhard Maier propone il profilo intellettuale dell’islamista Theodor Nöldeke (1836-1930), Aly Elrefaei presenta il lavoro sulla Volkskultur del teologo Julius Wellhausen (1844-1918), e David Moshfeg quello del padre riconosciuto dell’orientalismo scientifico, l’ungherese Ignác Goldziher (1850-1921). Gli sviluppi degli studi tedeschi di indologia tra il 1845 e il 1940 sono tracciati da Douglas McGethin, che si occupa anche delle radici culturali del suprematismo ariano. Delle posizio- ni di Max Weber (1864-1920) su ebraismo e islam si occupa Edoardo Massimilla, mentre Giovanni Morrone, nel suo primo contributo, riprende le posizioni espresse dall’etnologo Leo Frobenius (1873-1938) nel celebre Paideuma. Umrisse einer Kultur- und Seelenlehre (Beck, München 1921). Se Domenico Conte indaga il ruolo dell’Oriente nello Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte (2 voll., Braumüller, Wien und Leipzig 1918 e Beck, München 1922) di Oswald Spengler (1880-1936), nel suo secon- do contributo, Giovanni Morrone riprende le posizioni dell’islamista Carl Heinrich Becker (1886-1933), tra i primi a contribuire alla Encyclopedia of Islam (8 voll., Brill - Luzac, Lei- den - London 1913-1938; cfr. G. MORRONE, Incontri di civiltà. L’Islamwissenschaft di Carl Heinrich Becker, Liguori, Napoli 2006). Chiude il volume Claudio De Stefani con un contributo sul fondatore dell’arabistica formale Gotthelf Bergsträßer (1886-1933), autore della più autorevole tra le grammatiche dell’ebraico, la Hebräische Grammatik (Vogel, Berlin 1918) e grande coranista, che fu tra i primi ad occuparsi delle traduzioni in arabo di testi greci, argomento oggi di grande attua- lità a seguito degli importanti risultati raggiunti da Cristina D’Ancona nel suo progetto G2A (http://www.greekintoarabic.eu), dedicato all’allineamento della pseudo-aristotelica Theologia Aristotelis con una traduzione araba del nono secolo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.