Il lavoro di Marina Abramovic´ è intimamente connesso alla questione della presenza, al qui e ora in cui l’azione artistica si realizza nella forma di una relazione aperta e dall’esito non predeterminabile. All’inizio degli anni Settanta la giovane artista di Belgrado presenta performance che rompono in modo radicale con il concetto tradizionale di opera d’arte e si propongono come eventi che esistono solo nel tempo del loro accadere strettamente legato al materiale effimero e mutevole che è il corpo dell’artista. Si apre la prima fase della sua attività che durerà fino all’incontro con Ulay avvenuto alla fine del 1975. Una fase che lei stessa descriverà come dominata da un approccio “maschile” ed “eroico”, perché fortemente caratterizzata dal confronto continuo con il limite e il pericolo. “Non ci sono prove, né repliche, né finali preannunciati”, affermerà più tardi ricordando i propri esordi. Nella performance Rhythm 5, eseguita presso lo Studenski Kulturni Centar di Belgrado nel 1974, Abramovic´ rischia addirittura la vita: dopo essersi sdraiata nello spazio interno di una stella a cinque punte cui aveva precedentemente dato fuoco, perde conoscenza per la mancanza di ossigeno e viene salvata dall’intervento di due partecipanti che comprendono subito quanto stava accadendo. Ma questo non provoca un cambio di direzione, semmai una precisazione nel metodo di esecuzione e di definizione del setting delle azioni.

Gusman, T. (2014). Ciò che resta della ‘presenza’: Marina Abramovic tra unicità e ripetizione. In L.P. R. Carpani (a cura di), Scena madre. Donne, personaggi e interpreti della realtà (pp. 377-382). Milano : Vita e Pensiero.

Ciò che resta della ‘presenza’: Marina Abramovic tra unicità e ripetizione

Gusman t.
2014-01-01

Abstract

Il lavoro di Marina Abramovic´ è intimamente connesso alla questione della presenza, al qui e ora in cui l’azione artistica si realizza nella forma di una relazione aperta e dall’esito non predeterminabile. All’inizio degli anni Settanta la giovane artista di Belgrado presenta performance che rompono in modo radicale con il concetto tradizionale di opera d’arte e si propongono come eventi che esistono solo nel tempo del loro accadere strettamente legato al materiale effimero e mutevole che è il corpo dell’artista. Si apre la prima fase della sua attività che durerà fino all’incontro con Ulay avvenuto alla fine del 1975. Una fase che lei stessa descriverà come dominata da un approccio “maschile” ed “eroico”, perché fortemente caratterizzata dal confronto continuo con il limite e il pericolo. “Non ci sono prove, né repliche, né finali preannunciati”, affermerà più tardi ricordando i propri esordi. Nella performance Rhythm 5, eseguita presso lo Studenski Kulturni Centar di Belgrado nel 1974, Abramovic´ rischia addirittura la vita: dopo essersi sdraiata nello spazio interno di una stella a cinque punte cui aveva precedentemente dato fuoco, perde conoscenza per la mancanza di ossigeno e viene salvata dall’intervento di due partecipanti che comprendono subito quanto stava accadendo. Ma questo non provoca un cambio di direzione, semmai una precisazione nel metodo di esecuzione e di definizione del setting delle azioni.
2014
Settore L-ART/05 - DISCIPLINE DELLO SPETTACOLO
Italian
Rilevanza nazionale
Capitolo o saggio
Marina Abramovic; Performance Art; Reenactment; Ulay; Documentazione della performance art;
Gusman, T. (2014). Ciò che resta della ‘presenza’: Marina Abramovic tra unicità e ripetizione. In L.P. R. Carpani (a cura di), Scena madre. Donne, personaggi e interpreti della realtà (pp. 377-382). Milano : Vita e Pensiero.
Gusman, T
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