Nell’agosto del 2013, nel contesto del festival delle arti Ruhrtriennale, il gruppo tedesco Rimini Prokotoll presenta, alla Jahrhunderthalle di Bochum, un lavoro dalle caratteristiche mediali molto particolari: Situation Rooms. Tema del lavoro sono le armi e la guerra, o meglio venti storie di persone “reali” che da esse traggono profitto, o, al contrario, ne soffrono le conseguenze. All’inizio dello spettacolo ciascuno spettatore riceve un tablet e un paio di cuffie, ed entra in una sorta di set cinematografico, costituito da stanze in cui sono riprodotte ambientazioni particolari (dalla fiera delle tecnologie della sicurezza di Dubai, a una tenda di Medici senza frontiere in Sierra Leone). Guidato in questo percorso dalle indicazioni interattive che riceve dal supporto tecnologico, lo spettatore vede attivarsi sul proprio tablet un filmato registrato nella stanza in cui si trova in quel momento: uno dei venti protagonisti racconta la propria storia e lo invita a compiere azioni molto semplici, come indossare una giacca antiproiettile o sedersi ad un tavolo di una cucina. L’attenzione dello spettatore è quasi esclusivamente concentrata sul piccolo schermo del tablet, che si sovrappone alla realtà, offrendo un’immagine riprodotta di coloro che, in un tempo precedente, hanno percorso quelle stanze dando origine allo spettacolo. Nessun performer è fisicamente presente all’interno dello spettacolo, né vi sono attori in carne e ossa che raccontano o rappresentano delle scene. Produzione e ricezione avvengono in tempi diversi. Lo spazio dell’evento è abitato unicamente da spettatori che assumono il ruolo dei performer solo in senso lato, muovendosi attraverso il set, svolgendo compiti molto semplici e incrociando altri spettatori, che, guidati, compiono differenti azioni. Situation Rooms non sembra dunque possedere una delle caratteristiche considerate essenziali per il medium teatrale: la co-presenza fisica, in un tempo e in uno spazio comune, di attori e spettatori. Ciò nonostante esso viene recepito senza difficoltà come evento teatrale, tanto dal pubblico, quanto dalla critica teatrale che lo ha premiato indicandolo, attraverso l’invito al prestigioso Theatertreffen di Berlino, come una delle messinscene più significative del 2013. Che cosa rende Situation Rooms uno spettacolo teatrale e cosa lo differenzia da altre forme di interazione virtuale, in cui produzione e ricezione non avvengono nello stesso spazio e tempo? Soltanto il suo essere proposto all’interno del contesto “teatro”? O c’è qualcosa d’altro? Di fronte all’utilizzo sempre più sofisticato delle tecnologie digitali all’interno delle arti performative è ancora possibile cercare di porre una chiara linea di separazione tra spettacolo live ed eventi mediatizzati? Sulla scorta dell’analisi dello spettacolo, affronterò nel mio intervento questi interrogativi, riprendendo il dibattito sul concetto di liveness e presentando in particolare i modelli di risposta offerti da Philip Auslander (P. Auslander, Liveness, Routledge, London-New York, 1999 e 2008) ed Erika Fischer-Lichte (E. Fischer-Lichte, Estetica del performativo, Carocci, Roma 2014).
Gusman, T. (2015). Il concetto di liveness nell’era digitale. Situation Rooms dei Rimini Protokoll. In C.M. Laudando (a cura di), Reti performative. Letteratura, arte, teatro, nuovi media (pp. 151-164). Tangram Edizioni Scientifiche.
Il concetto di liveness nell’era digitale. Situation Rooms dei Rimini Protokoll
Gusman t
2015-01-01
Abstract
Nell’agosto del 2013, nel contesto del festival delle arti Ruhrtriennale, il gruppo tedesco Rimini Prokotoll presenta, alla Jahrhunderthalle di Bochum, un lavoro dalle caratteristiche mediali molto particolari: Situation Rooms. Tema del lavoro sono le armi e la guerra, o meglio venti storie di persone “reali” che da esse traggono profitto, o, al contrario, ne soffrono le conseguenze. All’inizio dello spettacolo ciascuno spettatore riceve un tablet e un paio di cuffie, ed entra in una sorta di set cinematografico, costituito da stanze in cui sono riprodotte ambientazioni particolari (dalla fiera delle tecnologie della sicurezza di Dubai, a una tenda di Medici senza frontiere in Sierra Leone). Guidato in questo percorso dalle indicazioni interattive che riceve dal supporto tecnologico, lo spettatore vede attivarsi sul proprio tablet un filmato registrato nella stanza in cui si trova in quel momento: uno dei venti protagonisti racconta la propria storia e lo invita a compiere azioni molto semplici, come indossare una giacca antiproiettile o sedersi ad un tavolo di una cucina. L’attenzione dello spettatore è quasi esclusivamente concentrata sul piccolo schermo del tablet, che si sovrappone alla realtà, offrendo un’immagine riprodotta di coloro che, in un tempo precedente, hanno percorso quelle stanze dando origine allo spettacolo. Nessun performer è fisicamente presente all’interno dello spettacolo, né vi sono attori in carne e ossa che raccontano o rappresentano delle scene. Produzione e ricezione avvengono in tempi diversi. Lo spazio dell’evento è abitato unicamente da spettatori che assumono il ruolo dei performer solo in senso lato, muovendosi attraverso il set, svolgendo compiti molto semplici e incrociando altri spettatori, che, guidati, compiono differenti azioni. Situation Rooms non sembra dunque possedere una delle caratteristiche considerate essenziali per il medium teatrale: la co-presenza fisica, in un tempo e in uno spazio comune, di attori e spettatori. Ciò nonostante esso viene recepito senza difficoltà come evento teatrale, tanto dal pubblico, quanto dalla critica teatrale che lo ha premiato indicandolo, attraverso l’invito al prestigioso Theatertreffen di Berlino, come una delle messinscene più significative del 2013. Che cosa rende Situation Rooms uno spettacolo teatrale e cosa lo differenzia da altre forme di interazione virtuale, in cui produzione e ricezione non avvengono nello stesso spazio e tempo? Soltanto il suo essere proposto all’interno del contesto “teatro”? O c’è qualcosa d’altro? Di fronte all’utilizzo sempre più sofisticato delle tecnologie digitali all’interno delle arti performative è ancora possibile cercare di porre una chiara linea di separazione tra spettacolo live ed eventi mediatizzati? Sulla scorta dell’analisi dello spettacolo, affronterò nel mio intervento questi interrogativi, riprendendo il dibattito sul concetto di liveness e presentando in particolare i modelli di risposta offerti da Philip Auslander (P. Auslander, Liveness, Routledge, London-New York, 1999 e 2008) ed Erika Fischer-Lichte (E. Fischer-Lichte, Estetica del performativo, Carocci, Roma 2014).File | Dimensione | Formato | |
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