Il dolore vertebrale lombare su base degenerativa ha un alto onere finanziario per la società e compromette seriamente l’attività lavorativa e la qualità della vita delle persone. Il comune “mal di schiena”, o più tecnicamente la “lombalgia” è stimato avere una prevalenza del 60% – 80% tra la popolazione mondiale, con sintomi che persistono più di tre mesi nel 10% dei casi, e rappresenta una delle cause più comuni di compromissione della salute (Daniell et al. 2018) che spesso viene trattata con artrodesi. Zaina F. et al. (2016) in una revisione della letteratura hanno evidenziato come molte ricerche scientifiche cliniche che confrontano i risultati del trattamento di alcune forme di lombalgia su base degenerativa (le stenosi vertebrali), sulla scelta dell’approccio, conservativo o chirurgico, non esprimono un consenso univoco. Molteplici considerazioni sono alla base della scelta terapeutica in un campo complesso come quello della patologia vertebrale. Per quanto riguarda l’opzione chirurgica per esempio, non si può sottovalutare il problema relativo alle complicazioni, a volte molto gravi, che essa inevitabilmente può comportare: la sindrome dolorosa post-chirurgia vertebrale, anche nota con il termine anglosassone “Failed back surgery syndrome” per esempio, è una condizione caratterizzata dalla persistenza e/o recidiva del dolore dopo intervento chirurgico. Non sarà stato un caso se negli USA, Keller et al. (1999) hanno osservato come, in generale, la chirurgia vertebrale ottiene risultati migliori in termini di riduzione del dolore e funzionalità nelle regioni con bassa prevalenza di attività chirurgica. Nella pratica medica non è inconsueta l’osservazione di pazienti che assumono cronicamente farmaci antidolorifici dopo intervento di artrodesi. In letteratura, le ricerche che indagano l’assunzione cronica di antidolorifici dopo intervento di artrodesi sono carenti: secondo Yoshihara (2015) infatti, l’uso di antidolorifici dopo chirurgia della colonna vertebrale è stato considerato soltanto nel 15% degli studi pubblicati dal 2000 al 2009 (990 articoli). Secondo alcune fonti giornalistiche, che hanno avuto accesso ai dati ministeriali relativi al numero degli interventi classificati come artrodesi vertebrale (la fusione di due o più vertebre), la Lombardia è la regione con il maggior numero di interventi di questo tipo, con una grande prevalenza eseguiti nelle strutture convenzionate (su 100 interventi, 68 sono eseguiti nelle strutture convenzionate, con un incremento del 12% (da 4.501 a 5.035). Sul territorio nazionale l’incremento nel 2018 è stato del 21% nel privato e nel 9% nel pubblico (Corriere.it, 2019). Sono dati importanti, che non possono essere ignorati ma devono essere analizzati con grande scrupolo e competenza per non incappare in errori grossolani. Le priorità delle diverse strutture sanitarie spesso sono differenti: per esempio, un ospedale con un pronto soccorso con un ampio bacino di utenza, più difficilmente avrà la disponibilità di sale operatorie per una chirurgia lunga e complessa, “di elezione”, quindi non urgente, che impegna il chirurgo per molte ore. Di conseguenza i pazienti con il “mal di schiena” si orienteranno verso le strutture convenzionate prive di pronto soccorso, con liste di attesa più brevi, che diventeranno di riflesso più popolari tra gli utenti con problemi analoghi. D’altronde se in Lombardia il tasso di incidenza degli interventi al rachide è aumentato – Cortesi et al. (2017) riportano un incremento degli interventi da 11,5 a 18,5 per 100.000 persone all’anno tra il 2001 e il 2006) – si deve considerare che il numero di artrodesi vertebrali lombari è incrementato esponenzialmente anche in altri paesi dove si adottano organizzazioni di previdenza sanitaria notoriamente molto differenti dalla nostra: negli Stati Uniti, per esempio, tra il 1998 e il 2008 il numero annuale di interventi di artrodesi vertebrale lombare è aumentato da 174,223 a 413,171 (137%) (Rajaee et al. 2012). La chirurgia del “mal di schiena” a livello internazionale è sotto osservazione degli esperti già da tempo: rispetto ai dati “grezzi” del Ministero, oltre ad un atteggiamento saggiamente prudente e riflessivo da parte delle amministrazioni responsabili della ripartizione delle disponibilità della sanità, è auspicabile una focalizzazione delle risorse verso la ricerca clinica indipendente senza la quale ogni giudizio conclusivo è precluso.
Monteleone, G. (2019). Artrodesi vertebrale per il “mal di schiena”. Uno sguardo alla ricerca scientifica internazionale [Sito web].
Artrodesi vertebrale per il “mal di schiena”. Uno sguardo alla ricerca scientifica internazionale
MONTELEONE GIOVANNI
2019-12-09
Abstract
Il dolore vertebrale lombare su base degenerativa ha un alto onere finanziario per la società e compromette seriamente l’attività lavorativa e la qualità della vita delle persone. Il comune “mal di schiena”, o più tecnicamente la “lombalgia” è stimato avere una prevalenza del 60% – 80% tra la popolazione mondiale, con sintomi che persistono più di tre mesi nel 10% dei casi, e rappresenta una delle cause più comuni di compromissione della salute (Daniell et al. 2018) che spesso viene trattata con artrodesi. Zaina F. et al. (2016) in una revisione della letteratura hanno evidenziato come molte ricerche scientifiche cliniche che confrontano i risultati del trattamento di alcune forme di lombalgia su base degenerativa (le stenosi vertebrali), sulla scelta dell’approccio, conservativo o chirurgico, non esprimono un consenso univoco. Molteplici considerazioni sono alla base della scelta terapeutica in un campo complesso come quello della patologia vertebrale. Per quanto riguarda l’opzione chirurgica per esempio, non si può sottovalutare il problema relativo alle complicazioni, a volte molto gravi, che essa inevitabilmente può comportare: la sindrome dolorosa post-chirurgia vertebrale, anche nota con il termine anglosassone “Failed back surgery syndrome” per esempio, è una condizione caratterizzata dalla persistenza e/o recidiva del dolore dopo intervento chirurgico. Non sarà stato un caso se negli USA, Keller et al. (1999) hanno osservato come, in generale, la chirurgia vertebrale ottiene risultati migliori in termini di riduzione del dolore e funzionalità nelle regioni con bassa prevalenza di attività chirurgica. Nella pratica medica non è inconsueta l’osservazione di pazienti che assumono cronicamente farmaci antidolorifici dopo intervento di artrodesi. In letteratura, le ricerche che indagano l’assunzione cronica di antidolorifici dopo intervento di artrodesi sono carenti: secondo Yoshihara (2015) infatti, l’uso di antidolorifici dopo chirurgia della colonna vertebrale è stato considerato soltanto nel 15% degli studi pubblicati dal 2000 al 2009 (990 articoli). Secondo alcune fonti giornalistiche, che hanno avuto accesso ai dati ministeriali relativi al numero degli interventi classificati come artrodesi vertebrale (la fusione di due o più vertebre), la Lombardia è la regione con il maggior numero di interventi di questo tipo, con una grande prevalenza eseguiti nelle strutture convenzionate (su 100 interventi, 68 sono eseguiti nelle strutture convenzionate, con un incremento del 12% (da 4.501 a 5.035). Sul territorio nazionale l’incremento nel 2018 è stato del 21% nel privato e nel 9% nel pubblico (Corriere.it, 2019). Sono dati importanti, che non possono essere ignorati ma devono essere analizzati con grande scrupolo e competenza per non incappare in errori grossolani. Le priorità delle diverse strutture sanitarie spesso sono differenti: per esempio, un ospedale con un pronto soccorso con un ampio bacino di utenza, più difficilmente avrà la disponibilità di sale operatorie per una chirurgia lunga e complessa, “di elezione”, quindi non urgente, che impegna il chirurgo per molte ore. Di conseguenza i pazienti con il “mal di schiena” si orienteranno verso le strutture convenzionate prive di pronto soccorso, con liste di attesa più brevi, che diventeranno di riflesso più popolari tra gli utenti con problemi analoghi. D’altronde se in Lombardia il tasso di incidenza degli interventi al rachide è aumentato – Cortesi et al. (2017) riportano un incremento degli interventi da 11,5 a 18,5 per 100.000 persone all’anno tra il 2001 e il 2006) – si deve considerare che il numero di artrodesi vertebrali lombari è incrementato esponenzialmente anche in altri paesi dove si adottano organizzazioni di previdenza sanitaria notoriamente molto differenti dalla nostra: negli Stati Uniti, per esempio, tra il 1998 e il 2008 il numero annuale di interventi di artrodesi vertebrale lombare è aumentato da 174,223 a 413,171 (137%) (Rajaee et al. 2012). La chirurgia del “mal di schiena” a livello internazionale è sotto osservazione degli esperti già da tempo: rispetto ai dati “grezzi” del Ministero, oltre ad un atteggiamento saggiamente prudente e riflessivo da parte delle amministrazioni responsabili della ripartizione delle disponibilità della sanità, è auspicabile una focalizzazione delle risorse verso la ricerca clinica indipendente senza la quale ogni giudizio conclusivo è precluso.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.