Esasperare lo stretching aggrava l’insulto meccanico. L’esordio del conflitto femoroacetabolare a volte è rappresentato da lieve coxalgia nei movimenti di flessione dell’anca ai massimi gradi, come quando si portano le ginocchia al petto, oppure, negli sport di combattimento, quando si esegue una tecnica di calcio alto. Segue prima una perdita della fluidità dei movimenti dell’anca, poi una progressiva diminuzione dell’ampiezza del movimento articolare, specie in flessione e intrarotazione. Inconsapevolmente si accorcia il passo nella corsa. Il dolore può diventare acuto compiendo certi movimenti. Ne soffrono spesso sportivi incalliti, giovani e meno giovani, in genere agonisti in discipline che comportano repentine sollecitazioni dell’anca, in massima flessione o abduzione, o contro resistenza: grandi campioni dello sport dell’hockey su ghiaccio, del calcio, e del tennis in particolare, ne hanno accusata l’insorgenza. Nel 1935, Smith-Petersen1 per primo, riconobbe e descrisse una rarissima anomalia dei rapporti del collo femorale con l’acetabolo che determinava un impatto del collo femorale sul margine anteriore dell’acetabolo. Quella anomalia, oggi la si può individuare nel conflitto femoroacetabolare (femoral acetabolar impingement – FAI): il risultato di un’incongruenza tra l’acetabolo e la giunzione testa-collo del femore, che determina una collisione secondaria e una lesione delle superfici articolari dell’articolazione coxofemorale. Patogenesi e aspetti clinici Nella patogenesi del conflitto possono essere distinte tre deformità predisponenti: una dell’acetabolo (la deformità tipo “tenaglia” – pincer-type), l’altra dell’estremità prossimale del femore (la deformità “a camma” o a impugnatura di pistola – cam-type) e una forma mista nella quale si identificano i caratteri delle altre due deformità2. La lesione si può aggravare progressivamente, in seguito ai continui microtraumi provocati dallo stesso movimento dei capi articolari, in particolare quando i movimenti sono eseguiti ai massimi gradi di flessione o intrarotazione. Pregresse lesioni o micro lesioni, anche asintomatiche del cercine acetabolare, e ripetitive sollecitazioni muscoloscheletriche impatto simili, subite dagli atleti durante l’età dell’accrescimento, sono fattori chiamati in causa nella patogenesi del conflitto femoroacetabolare 3,4. La diagnosi è difficoltosa in quanto anomalie simili alle deformità menzionate possono essere riscontrate con l’esame radiografico in soggetti completamente asintomatici5,6: il consulto di un medico specialista con esperienza nel campo delle malattie sportive dell’apparato muscoloscheletrico è pertanto indispensabile. Controproducente risulta esasperare lo stretching e gli esercizi di mobilità articolare a dispetto del dolore, nel vano tentativo di recuperare la mobilità articolare dell’anca: l’insulto meccanico che ne deriva aumenta quindi la reazione infiammatoria dei tessuti molli ed aggrava il danno articolare. Sono possibili terapie conservative con protocolli fisioterapici personalizzati7 e terapie chirurgiche: a breve termine la terapia chirurgica in artroscopia risulterebbe quindi più efficace benché i suoi vantaggi a lungo termine siano ben lungi dall’essere appurati8.
Monteleone, G. (2020). Conflitto femoroacetabolare: proibito lo stretching dell’anca. [Sito web].
Conflitto femoroacetabolare: proibito lo stretching dell’anca.
Monteleone Giovanni
2020-05-29
Abstract
Esasperare lo stretching aggrava l’insulto meccanico. L’esordio del conflitto femoroacetabolare a volte è rappresentato da lieve coxalgia nei movimenti di flessione dell’anca ai massimi gradi, come quando si portano le ginocchia al petto, oppure, negli sport di combattimento, quando si esegue una tecnica di calcio alto. Segue prima una perdita della fluidità dei movimenti dell’anca, poi una progressiva diminuzione dell’ampiezza del movimento articolare, specie in flessione e intrarotazione. Inconsapevolmente si accorcia il passo nella corsa. Il dolore può diventare acuto compiendo certi movimenti. Ne soffrono spesso sportivi incalliti, giovani e meno giovani, in genere agonisti in discipline che comportano repentine sollecitazioni dell’anca, in massima flessione o abduzione, o contro resistenza: grandi campioni dello sport dell’hockey su ghiaccio, del calcio, e del tennis in particolare, ne hanno accusata l’insorgenza. Nel 1935, Smith-Petersen1 per primo, riconobbe e descrisse una rarissima anomalia dei rapporti del collo femorale con l’acetabolo che determinava un impatto del collo femorale sul margine anteriore dell’acetabolo. Quella anomalia, oggi la si può individuare nel conflitto femoroacetabolare (femoral acetabolar impingement – FAI): il risultato di un’incongruenza tra l’acetabolo e la giunzione testa-collo del femore, che determina una collisione secondaria e una lesione delle superfici articolari dell’articolazione coxofemorale. Patogenesi e aspetti clinici Nella patogenesi del conflitto possono essere distinte tre deformità predisponenti: una dell’acetabolo (la deformità tipo “tenaglia” – pincer-type), l’altra dell’estremità prossimale del femore (la deformità “a camma” o a impugnatura di pistola – cam-type) e una forma mista nella quale si identificano i caratteri delle altre due deformità2. La lesione si può aggravare progressivamente, in seguito ai continui microtraumi provocati dallo stesso movimento dei capi articolari, in particolare quando i movimenti sono eseguiti ai massimi gradi di flessione o intrarotazione. Pregresse lesioni o micro lesioni, anche asintomatiche del cercine acetabolare, e ripetitive sollecitazioni muscoloscheletriche impatto simili, subite dagli atleti durante l’età dell’accrescimento, sono fattori chiamati in causa nella patogenesi del conflitto femoroacetabolare 3,4. La diagnosi è difficoltosa in quanto anomalie simili alle deformità menzionate possono essere riscontrate con l’esame radiografico in soggetti completamente asintomatici5,6: il consulto di un medico specialista con esperienza nel campo delle malattie sportive dell’apparato muscoloscheletrico è pertanto indispensabile. Controproducente risulta esasperare lo stretching e gli esercizi di mobilità articolare a dispetto del dolore, nel vano tentativo di recuperare la mobilità articolare dell’anca: l’insulto meccanico che ne deriva aumenta quindi la reazione infiammatoria dei tessuti molli ed aggrava il danno articolare. Sono possibili terapie conservative con protocolli fisioterapici personalizzati7 e terapie chirurgiche: a breve termine la terapia chirurgica in artroscopia risulterebbe quindi più efficace benché i suoi vantaggi a lungo termine siano ben lungi dall’essere appurati8.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.