In questo volume, Francesco Coniglione presenta al pubblico italiano i saggi dell’epistemologo polacco Ludwig Fleck (1896-1961), un batteriologo cresciuto nella Polonia delle scuole filosofiche di Kazimierz Twardowski (del quale fu allievo e diretto), e di Jan Łukasiewicz, e Kazimierz Ajdukiewicz (con i quali fu in contatto). A Fleck si devono delle riflessioni assai originali sul carattere costruttivo della ricerca scientifica, riflessioni che mostrano una decisa e stimolante autonomia rispetto a quella che nel 1962 Hilary Putnam chiamava la received view della tradizione dell’empirismo logico. Fleck sostiene che la teoria della conoscenza dovrebbe indagare ciò che la scienza è realmente, considerando l’intero spettro che implica della processualità storica, i modi di pensiero, gli stili linguistici, le organizzazioni sociali, i canali istituzionali e di collaborazione e pubblicazione, nonché le relazioni con la comunità più ampia dalla quale – parafrasando Stephen Toulmin – emergono le scoperte e le verità scientifiche che vengono accreditate come fatti (p. 21). Negli anni trenta del secolo scorso, Fleck non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro: «Lo sviluppo dei concetti percorre proprie strade, ha i suoi condizionamenti storici, non logici, è – per così dire – passivo, non attivo. La nostra conoscenza contiene certi elementi che non sono né speculativi, né empirici, ma provengono ab evolutione historica» (p. 229). Cosa si debba esattamente intendere per storicità delle idee e dei fatti scientifici viene spiegato da Fleck con notevole originalità introducendo il concetto chiave della sua epistemologia: lo stile collettivo di pensiero (p. 249). Per Fleck, il vero e il falso non scaturiscono da una relazione tra il giudizio e lo stato di cose, ma da una relazione ternaria nella quale entra a far parte l’attuale stato delle conoscenze scientifiche e della cultura in generale, appunto lo stile di pensiero all’interno del quale il singolo ricercatore si colloca. Da questo punto di vista, il progetto di Oskar Neurath di una International Encyclopedia of Unified Science non poteva non essere inteso che come un pericoloso invito a un totalitarismo scientifico (p. 68). Fleck lo chiama irrispettosamente Codex Pansophiae (p. 238). Fleck cerca di mostrare come lo stile collettivo di pensiero determini non solo lo sviluppo di idee complesse, problemi e standard, ma anche i contenuti concreti e le limitazioni di un’osservazione (p. 278). La sua personale movimentata biografia lo vide internato prima ad Auschwitz e poi a Buchenwald. Fleck sopravvisse, ma comprese che un essere umano singolo, isolato, sarebbe condannato alla sterilità mentale. A Buchenwald, tra il gennaio 1944 e l’aprile 1945, ebbe «la rara possibilità di osservare per quasi due anni il lavoro scientifico di un collettivo composto da soli profani. […] Il collettivo ha lavorato su complicati problemi nel campo del tifo petecchiale e disponeva di laboratori completamente attrezzati, una gran quantità di animali da esperimento e una vasta letteratura specialistica. Si era nel campo di concentramento di Buchenwald (Turingia), per cui v’era una tragica responsabilità per i risultati e chi vi lavorava doveva contare completamente su se stesso in quanto il Leiter tedesco aveva sì un diploma di guerra in medicina, ma era completamente privo di preparazione specialistica. Al collettivo appartenevano: 1) un giovane medico polacco privo di formazione specialistica, che aveva il ruolo di direttore del collettivo, 2) un dottore in legge e filosofia, eminente figura politica austriaca, 3) un operaio di una fabbrica di prodotti in gomma, attivista comunista tedesco, 4) un giovane medico ceco, con rudimenti di preparazione batteriologica, 5) un veterinario ceco praticante, senza formazione batteriologica, 6) uno studente olandese in biologia con il suo aiutante, studente del 3° o 4° anno di medicina, 7) un pasticciere viennese. […] nel collettivo assetato di risultati la notizia si diffuse: si erano trovate infine le Rickettsie nei preparati ottenuti dai polmoni dei conigli. […] Lo sviluppo di questo sapere non procedette affatto in modo troppo sconsiderato – al contrario non ci si risparmiavano lunghe discussioni e la ripetizione delle prove. A volte si rigettavano certe tesi, vale a dire non si esitava ad ammettere errori» (p. 240-243). Questo apologo per suggerire come la teoria della scienza sia una scienza a parte, fondata sull’osservazione e l’esperimento, ma altrettanto su ricerche storiche e sociologiche. Per dirla con Fleck, la teoria della scienza «è parte della scienza degli stili di pensiero» (p. 250).

Pozzo, R. (2020). Recensione a Ludwig Fleck, Stili di pensiero. La conoscenza scientifica come creazione sociale, a cura di F. Coniglione, Mimesis, Milano - Udine 2019. Un volume di pp. 299. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA, 112 (2020)(4), 1171-1172.

Recensione a Ludwig Fleck, Stili di pensiero. La conoscenza scientifica come creazione sociale, a cura di F. Coniglione, Mimesis, Milano - Udine 2019. Un volume di pp. 299.

POZZO, Riccardo
2020-12-31

Abstract

In questo volume, Francesco Coniglione presenta al pubblico italiano i saggi dell’epistemologo polacco Ludwig Fleck (1896-1961), un batteriologo cresciuto nella Polonia delle scuole filosofiche di Kazimierz Twardowski (del quale fu allievo e diretto), e di Jan Łukasiewicz, e Kazimierz Ajdukiewicz (con i quali fu in contatto). A Fleck si devono delle riflessioni assai originali sul carattere costruttivo della ricerca scientifica, riflessioni che mostrano una decisa e stimolante autonomia rispetto a quella che nel 1962 Hilary Putnam chiamava la received view della tradizione dell’empirismo logico. Fleck sostiene che la teoria della conoscenza dovrebbe indagare ciò che la scienza è realmente, considerando l’intero spettro che implica della processualità storica, i modi di pensiero, gli stili linguistici, le organizzazioni sociali, i canali istituzionali e di collaborazione e pubblicazione, nonché le relazioni con la comunità più ampia dalla quale – parafrasando Stephen Toulmin – emergono le scoperte e le verità scientifiche che vengono accreditate come fatti (p. 21). Negli anni trenta del secolo scorso, Fleck non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro: «Lo sviluppo dei concetti percorre proprie strade, ha i suoi condizionamenti storici, non logici, è – per così dire – passivo, non attivo. La nostra conoscenza contiene certi elementi che non sono né speculativi, né empirici, ma provengono ab evolutione historica» (p. 229). Cosa si debba esattamente intendere per storicità delle idee e dei fatti scientifici viene spiegato da Fleck con notevole originalità introducendo il concetto chiave della sua epistemologia: lo stile collettivo di pensiero (p. 249). Per Fleck, il vero e il falso non scaturiscono da una relazione tra il giudizio e lo stato di cose, ma da una relazione ternaria nella quale entra a far parte l’attuale stato delle conoscenze scientifiche e della cultura in generale, appunto lo stile di pensiero all’interno del quale il singolo ricercatore si colloca. Da questo punto di vista, il progetto di Oskar Neurath di una International Encyclopedia of Unified Science non poteva non essere inteso che come un pericoloso invito a un totalitarismo scientifico (p. 68). Fleck lo chiama irrispettosamente Codex Pansophiae (p. 238). Fleck cerca di mostrare come lo stile collettivo di pensiero determini non solo lo sviluppo di idee complesse, problemi e standard, ma anche i contenuti concreti e le limitazioni di un’osservazione (p. 278). La sua personale movimentata biografia lo vide internato prima ad Auschwitz e poi a Buchenwald. Fleck sopravvisse, ma comprese che un essere umano singolo, isolato, sarebbe condannato alla sterilità mentale. A Buchenwald, tra il gennaio 1944 e l’aprile 1945, ebbe «la rara possibilità di osservare per quasi due anni il lavoro scientifico di un collettivo composto da soli profani. […] Il collettivo ha lavorato su complicati problemi nel campo del tifo petecchiale e disponeva di laboratori completamente attrezzati, una gran quantità di animali da esperimento e una vasta letteratura specialistica. Si era nel campo di concentramento di Buchenwald (Turingia), per cui v’era una tragica responsabilità per i risultati e chi vi lavorava doveva contare completamente su se stesso in quanto il Leiter tedesco aveva sì un diploma di guerra in medicina, ma era completamente privo di preparazione specialistica. Al collettivo appartenevano: 1) un giovane medico polacco privo di formazione specialistica, che aveva il ruolo di direttore del collettivo, 2) un dottore in legge e filosofia, eminente figura politica austriaca, 3) un operaio di una fabbrica di prodotti in gomma, attivista comunista tedesco, 4) un giovane medico ceco, con rudimenti di preparazione batteriologica, 5) un veterinario ceco praticante, senza formazione batteriologica, 6) uno studente olandese in biologia con il suo aiutante, studente del 3° o 4° anno di medicina, 7) un pasticciere viennese. […] nel collettivo assetato di risultati la notizia si diffuse: si erano trovate infine le Rickettsie nei preparati ottenuti dai polmoni dei conigli. […] Lo sviluppo di questo sapere non procedette affatto in modo troppo sconsiderato – al contrario non ci si risparmiavano lunghe discussioni e la ripetizione delle prove. A volte si rigettavano certe tesi, vale a dire non si esitava ad ammettere errori» (p. 240-243). Questo apologo per suggerire come la teoria della scienza sia una scienza a parte, fondata sull’osservazione e l’esperimento, ma altrettanto su ricerche storiche e sociologiche. Per dirla con Fleck, la teoria della scienza «è parte della scienza degli stili di pensiero» (p. 250).
31-dic-2020
Pubblicato
Rilevanza internazionale
Recensione
Comitato scientifico
Settore M-FIL/06 - STORIA DELLA FILOSOFIA
Italian
18277926 (digital)
Pozzo, R. (2020). Recensione a Ludwig Fleck, Stili di pensiero. La conoscenza scientifica come creazione sociale, a cura di F. Coniglione, Mimesis, Milano - Udine 2019. Un volume di pp. 299. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA, 112 (2020)(4), 1171-1172.
Pozzo, R
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