«Mi ricordo di aver veduto in una antica pianta l'area delle terme di Diocleziano indicata col titolo di cava de la tevolozza»: l’aggettivazione tutta romana di tevolozze allude a mattoni, interi o in frammenti, recuperati dalla demolizione di fabbriche antiche o edifici in disuso. Ancora alla metà del XIX secolo, come da plurisecolare tradizione, teorici dell’architettura e tecnici dell’edilizia raccomandavano l’impiego delle tevolozze in compagini murarie commiste a laterizi interi, negli aggetti rustici di ornati architettonici, o anche come coementa per conglomerati. Tale ampio e prolungato consenso si deve alle ottime proprietà idrauliche e alla buona resistenza a compressione guadagnate dalle tevolozze con la prolungata stagionatura. Quest’ultima fornisce effetti assimilabili a quelli prodotti in fornace da cotture lente e uniformi, in grado di occludere le porosità naturali del laterizio e conferire all’impasto compattezza e solidità. Per tali caratteristiche, non necessariamente correlate all’economicità, le tevolozze risultano diffusamente impiegate nelle fabbriche romane cinque e seicentesche, come provano diverse «Misure e stime» sottoscritte dai mastri muratori, ma anche in diversi cantieri di provincia romana, specie in prossimità di insediamenti antichi. Tale consuetudine operativa è documentata, tra le altre, nelle fabbriche della cappella Paolina nella Basilica di Santa Maria Maggiore, ove consistenti quantità di tevolozze innervano le strutture voltate del piano fondale e i rinfianchi degli arconi di sostegno alla cupola, e della chiesa di Sant’Agnese in Agone, ove infiltrazioni d’acqua piovana e quelle dovute alle inondazioni tiberine furono arginate con colmate di tevolozze e brecciame di pietra, innalzate fino al livello del pavimento. La collazione di informazioni desunte da un ampio repertorio di exempla (fine XVI - prima metà XVII secolo) consente una lettura comparata dell’impiego di tevolozze nell’edilizia barocca romana, nelle sue molte e sfaccettate declinazioni, di cui si intende dar conto al convegno: dalle prescrizioni della letteratura tecnica agli esempi costruiti, dalle tecniche esecutive a eventuali provenienze documentate, fino ai particolari criteri adottati nella misurazione e nella valutazione economica degli apparecchi realizzati in tevolozze.
Marconi, N. (2021). “Muro fatto di tevolozze”: laterizi di reimpiego nei cantieri di Roma barocca. In A.P. Evelyne Bukowiecki (a cura di), Demolire, riciclare, reinventare. La lunga vita e l’eredità del laterizio romano nella storia dell’architettura, atti del III CONVEGNO INTERNAZIONALE “LATERIZIO” (ROMA, 6-8 MARZO 2019) (pp. 65-75). Roma : Quasar.
“Muro fatto di tevolozze”: laterizi di reimpiego nei cantieri di Roma barocca
Marconi
2021-03-01
Abstract
«Mi ricordo di aver veduto in una antica pianta l'area delle terme di Diocleziano indicata col titolo di cava de la tevolozza»: l’aggettivazione tutta romana di tevolozze allude a mattoni, interi o in frammenti, recuperati dalla demolizione di fabbriche antiche o edifici in disuso. Ancora alla metà del XIX secolo, come da plurisecolare tradizione, teorici dell’architettura e tecnici dell’edilizia raccomandavano l’impiego delle tevolozze in compagini murarie commiste a laterizi interi, negli aggetti rustici di ornati architettonici, o anche come coementa per conglomerati. Tale ampio e prolungato consenso si deve alle ottime proprietà idrauliche e alla buona resistenza a compressione guadagnate dalle tevolozze con la prolungata stagionatura. Quest’ultima fornisce effetti assimilabili a quelli prodotti in fornace da cotture lente e uniformi, in grado di occludere le porosità naturali del laterizio e conferire all’impasto compattezza e solidità. Per tali caratteristiche, non necessariamente correlate all’economicità, le tevolozze risultano diffusamente impiegate nelle fabbriche romane cinque e seicentesche, come provano diverse «Misure e stime» sottoscritte dai mastri muratori, ma anche in diversi cantieri di provincia romana, specie in prossimità di insediamenti antichi. Tale consuetudine operativa è documentata, tra le altre, nelle fabbriche della cappella Paolina nella Basilica di Santa Maria Maggiore, ove consistenti quantità di tevolozze innervano le strutture voltate del piano fondale e i rinfianchi degli arconi di sostegno alla cupola, e della chiesa di Sant’Agnese in Agone, ove infiltrazioni d’acqua piovana e quelle dovute alle inondazioni tiberine furono arginate con colmate di tevolozze e brecciame di pietra, innalzate fino al livello del pavimento. La collazione di informazioni desunte da un ampio repertorio di exempla (fine XVI - prima metà XVII secolo) consente una lettura comparata dell’impiego di tevolozze nell’edilizia barocca romana, nelle sue molte e sfaccettate declinazioni, di cui si intende dar conto al convegno: dalle prescrizioni della letteratura tecnica agli esempi costruiti, dalle tecniche esecutive a eventuali provenienze documentate, fino ai particolari criteri adottati nella misurazione e nella valutazione economica degli apparecchi realizzati in tevolozze.File | Dimensione | Formato | |
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