Negli anni venti del Seicento, il principe romano Francesco Colonna si adoperò con ogni mezzo per porre rimedio all’incombente rovina finanziaria della sua famiglia. Incalzato dai creditori, nel 1630 fu obbligato a vendere l’amatissimo feudo di Palestrina al pontefice allora regnante, Urbano VIII Barberini. La cifra pattuita fu esorbitante, 575.000 scudi, ma valse ai Barberini anche l’ambitissimo titolo principesco. Tra i feudi baronali dell’hinterland romano, necessaria emanazione del potere dinastico, Palestrina godeva del privilegio di antica sede vescovile suburbicaria. Tale prestigioso ruolo, unitamente al celebrato retaggio storico e antiquariale, nonché alla favorevole posizione di avamposto dell’Urbe, l’aveva consacrata tra i presidi di prima grandezza delle roccaforti laziali. Il 19 ottobre 1630, Urbano VIII entrò trionfante in Palestrina. Sei anni più tardi, Palestrina registrava una vivacissima attività edilizia indotta dalle fabbriche barberiniane, foriera di un lento ma costante processo di incremento demografico. I confini urbani si dilatarono fino a cingere il suburbio meridionale, nuovi tracciati viari favorirono tanto l’attraversamento longitudinale dell’abitato quanto le sue ramificate connessioni interne. Si apriva così un nuovo importante capitolo della storia della città, destinato a segnarne incisivamente immagine e struttura fino alla metà del Settecento, nonché ruolo politico e prestigio artistico, favoriti dal granitico legame con Roma e con il papato. Il principe Taddeo Barberini, suo figlio Maffeo e i cardinali loro consanguinei promossero strategici interventi edilizi tesi a favorire collegamenti e funzioni urbane in attuazione di quell’idea di Città del Sole teorizzata nell’Ars Poetica di Tommaso Campanella (1568-1639), apprezzata da Urbano VIII ed esplicitata dal simbolo del disco solare associato all’araldica barberiniana “de sole et api”. La città riaffermò la sua vocazione di nobile esplicitazione dell’ideologia di potere, di cui costituì persuasiva manifestazione mediante la riformulazione del tessuto connettivo, il restauro o l’adeguamento dei più importanti episodi monumentali e l’edificazione di nuove emergenze architettoniche, quali la chiesa di palazzo, dedicata a Santa Rosalia, la nuova Porta del Sole, il celebre Triangolo con annessi Casini e ancora monasteri, palazzi e ninfei. Con i Barberini, dunque, Palestrina fu elevata a vivace e prolifico centro del milieu culturale romano, registrando un sorprendente sviluppo architettonico e urbano che la elevò da feudo di provincia a centro strategico, saldamente correlato ai centri di potere romano ed europei, di cui questo contributo intende rendere conto.
Marconi, N. (2020). Principi e cardinali Barberini per la città di Palestrina (1630-1750): da feudo di provincia a “Città del Sole”. In R.T. M. Pretelli (a cura di), La città globale. La condizione urbana come fenomeno pervasivo/The Global City. The urban condition as a pervasive phenomenon (pp. 70-81). Torino : AISU International.
Principi e cardinali Barberini per la città di Palestrina (1630-1750): da feudo di provincia a “Città del Sole”
Marconi N.
2020-01-01
Abstract
Negli anni venti del Seicento, il principe romano Francesco Colonna si adoperò con ogni mezzo per porre rimedio all’incombente rovina finanziaria della sua famiglia. Incalzato dai creditori, nel 1630 fu obbligato a vendere l’amatissimo feudo di Palestrina al pontefice allora regnante, Urbano VIII Barberini. La cifra pattuita fu esorbitante, 575.000 scudi, ma valse ai Barberini anche l’ambitissimo titolo principesco. Tra i feudi baronali dell’hinterland romano, necessaria emanazione del potere dinastico, Palestrina godeva del privilegio di antica sede vescovile suburbicaria. Tale prestigioso ruolo, unitamente al celebrato retaggio storico e antiquariale, nonché alla favorevole posizione di avamposto dell’Urbe, l’aveva consacrata tra i presidi di prima grandezza delle roccaforti laziali. Il 19 ottobre 1630, Urbano VIII entrò trionfante in Palestrina. Sei anni più tardi, Palestrina registrava una vivacissima attività edilizia indotta dalle fabbriche barberiniane, foriera di un lento ma costante processo di incremento demografico. I confini urbani si dilatarono fino a cingere il suburbio meridionale, nuovi tracciati viari favorirono tanto l’attraversamento longitudinale dell’abitato quanto le sue ramificate connessioni interne. Si apriva così un nuovo importante capitolo della storia della città, destinato a segnarne incisivamente immagine e struttura fino alla metà del Settecento, nonché ruolo politico e prestigio artistico, favoriti dal granitico legame con Roma e con il papato. Il principe Taddeo Barberini, suo figlio Maffeo e i cardinali loro consanguinei promossero strategici interventi edilizi tesi a favorire collegamenti e funzioni urbane in attuazione di quell’idea di Città del Sole teorizzata nell’Ars Poetica di Tommaso Campanella (1568-1639), apprezzata da Urbano VIII ed esplicitata dal simbolo del disco solare associato all’araldica barberiniana “de sole et api”. La città riaffermò la sua vocazione di nobile esplicitazione dell’ideologia di potere, di cui costituì persuasiva manifestazione mediante la riformulazione del tessuto connettivo, il restauro o l’adeguamento dei più importanti episodi monumentali e l’edificazione di nuove emergenze architettoniche, quali la chiesa di palazzo, dedicata a Santa Rosalia, la nuova Porta del Sole, il celebre Triangolo con annessi Casini e ancora monasteri, palazzi e ninfei. Con i Barberini, dunque, Palestrina fu elevata a vivace e prolifico centro del milieu culturale romano, registrando un sorprendente sviluppo architettonico e urbano che la elevò da feudo di provincia a centro strategico, saldamente correlato ai centri di potere romano ed europei, di cui questo contributo intende rendere conto.File | Dimensione | Formato | |
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