Lo scritto analizza una recente pronuncia della Corte costituzionale (ordinanza n. 207/2018 sul “caso Cappato”) relativa al reato di aiuto al suicidio (art. 580 codice penale), evidenziando i profili che riguardano la disciplina costituzionale sul diritto alla salute (art. 32 Cost.). Gli aspetti presi in considerazione sono principalmente tre. Anzitutto, si apprezza la scelta della Corte di affermare in modo esplicito la libertà di curarsi e di rifiutare i trattamenti sanitari anche quando siano necessari per il mantenimento in vita. In secondo luogo, si sottolinea come, in modo altrettanto condivisibile, l’ordinanza lasci trasparire l’idea che il concetto di cura vada inteso estensivamente e includa anche la terapia del dolore e i trattamenti di sostegno vitale; pertanto, anche qualora il paziente rifiuti un trattamento “salva-vita”, egli non perde il diritto a ricevere gli ulteriori trattamenti necessari per lenire le sofferenze. Infine, è oggetto di critica l’equivalenza, ravvisata dalla Corte, tra diritto a rifiutare i trattamenti sanitari e diritto a ricevere, a certe condizioni, la somministrazione di sostanze che determinino la morte: si tratta, infatti, di una equivalenza strutturalmente erronea, poiché il concetto di cura (terapia) ben difficilmente può essere esteso fino a includere qualcosa di radicalmente diverso, ossia la produzione della morte. Si ammette, comunque, che spetti alla discrezionalità del legislatore regolare la possibilità di congedarsi dalla vita in maniera dignitosa, senza coinvolgere il diritto alla salute.
Morana, D. (2019). L’ordinanza n. 207/2018 sul “caso Cappato” dal punto di vista del diritto alla salute: brevi note sul rifiuto di trattamenti sanitari. In F.S. Marini, C. Cupelli (a cura di), Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018 (pp. 229-241). Napoli : Edizioni Scientifiche Italiane spa.
L’ordinanza n. 207/2018 sul “caso Cappato” dal punto di vista del diritto alla salute: brevi note sul rifiuto di trattamenti sanitari
Morana, D
2019-01-01
Abstract
Lo scritto analizza una recente pronuncia della Corte costituzionale (ordinanza n. 207/2018 sul “caso Cappato”) relativa al reato di aiuto al suicidio (art. 580 codice penale), evidenziando i profili che riguardano la disciplina costituzionale sul diritto alla salute (art. 32 Cost.). Gli aspetti presi in considerazione sono principalmente tre. Anzitutto, si apprezza la scelta della Corte di affermare in modo esplicito la libertà di curarsi e di rifiutare i trattamenti sanitari anche quando siano necessari per il mantenimento in vita. In secondo luogo, si sottolinea come, in modo altrettanto condivisibile, l’ordinanza lasci trasparire l’idea che il concetto di cura vada inteso estensivamente e includa anche la terapia del dolore e i trattamenti di sostegno vitale; pertanto, anche qualora il paziente rifiuti un trattamento “salva-vita”, egli non perde il diritto a ricevere gli ulteriori trattamenti necessari per lenire le sofferenze. Infine, è oggetto di critica l’equivalenza, ravvisata dalla Corte, tra diritto a rifiutare i trattamenti sanitari e diritto a ricevere, a certe condizioni, la somministrazione di sostanze che determinino la morte: si tratta, infatti, di una equivalenza strutturalmente erronea, poiché il concetto di cura (terapia) ben difficilmente può essere esteso fino a includere qualcosa di radicalmente diverso, ossia la produzione della morte. Si ammette, comunque, che spetti alla discrezionalità del legislatore regolare la possibilità di congedarsi dalla vita in maniera dignitosa, senza coinvolgere il diritto alla salute.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.