Insolitamente fresco e ventilato, quest’anno ad Atene il mese di agosto si è rivelato propizio allo svolgimento del 23° Congresso mondiale di filosofia, che proprio nella capitale greca si è tenuto dal 4 al 10 di questo mese. Philosophy as Inquiry and Way of Life: questo il tema del Congresso, che rinviando a una dimensione altamente speculativa, il bios zetetikós, la vita come discussione e ricerca, si dava un compito nobile: ripensare i ruoli e le responsabilità della filosofia e dei filosofi nell’odierno mondo globale, così da individuare problemi, conflitti e iniquità legate allo sviluppo e alle trasformazioni di una civiltà ormai planetaria, interculturale e tecnologica. In un’Atene erosa dalla crisi, in cui ogni strada del centro è costellata di mendicanti di ogni età e bambini di quattro-cinque anni si piegano su fisarmoniche più grandi di loro in questua di qualche centesimo, si è capito in fretta quale sia la posta in gioco delle dinamiche culturali contemporanee. La capacità di pensare, di muoversi su scala globale è, anche, un antidoto contro la miseria. Certo, la filosofia greca ha dominato la scena con orgoglio. Il congresso è stato l’occasione per celebrare il 2400° anniversario della fondazione dell’Accademia di Platone; l’inaugurazione, forse la più suggestiva nella centenaria storia dei Congressi mondiali, ha avuto luogo nel meraviglioso anfiteatro di Erode Attico, ai piedi dell'Acropoli, e diverse sessioni si sono svolte nel quadro di siti archeologici unici al mondo: l’Accademia di Platone e nel Liceo di Aristotele, dove hanno parlato, tra gli altri, Enrico Berti, Nomuro Notomi e Dorothea Frede; la collina della Pnice, dove nacque la democrazia, e la chiesa di Aghia Fotinì, edificata sul luogo ove Platone ambientò il Fedro, sulle rive dell’Ilisso. Nonostante le difficoltà che ne hanno accompagnato la preparazione, i colleghi greci hanno efficientemente accolto e guidato gli oltre 3000 partecipanti, il maggior numero nella storia dei Congressi mondiali, inaugurati a Parigi nel 1900 (l’Italia è l’unica nazione ad averlo ospitato tre volte: a Bologna nel 1911, a Napoli nel 1924 e a Venezia nel 1958). Tra i relatori italiani presenti nelle sessioni plenarie, ricordiamo Evandro Agazzi, che ha presieduto la sessione d’apertura, e la filosofa della scienza Maria Carla Galavotti. In una sesssione particolarmente affollata, Jürgen Habermas ha discusso il problema di come si possa costituzionalizzare il diritto internazionale, mentre sul nuovo realismo portava la relazione di Umberto Eco: un tema, quest’ultimo, cui era dedicata anche una tavola rotonda proposta da Maurizio Ferraris e condotta da Mario Alai, Enrico Berti, Riccardo Dottori e Riccardo Pozzo. Tra i platonisti riuniti attorno all’International Plato Society, è stata notevole la presenza dell’italiano Mauro Tulli. Per la città il Congresso è stato anche un buon affare. “In cinque giorni”, ci dice uno degli innumerevoli tassisti che stazionano ogni giorno davanti all’ingresso della Facoltà di filosofia, “ho incassato oltre mille euro”: quasi il triplo della media abituale. Del resto, i manifesti del congresso erano visibili ovunque in città. Ma l’impatto di un incontro di questa portata non si riduce all’immediato beneficio per l’economia cittadina. Il Congresso mondiale è soprattutto un esercizio di apertura alla complessità filosofica, religiosa, culturale del mondo contemporaneo. I giornalisti locali ci chiedono in continuazione quale ne sia l’effetto pubblico, al di là della cerchia degli specialisti: la risposta è, come spesso accade in questi casi, difficile, ma appare con chiarezza se si pensa la Grecia come una parte dell’Europa. Ci si sorprende allora a costatare come i filosofi europei, pur presenti in massa, siano tuttavia minoranza di fronte alle centinaia di studiosi russi, cinesi, indiani, sudamericani, alle decine di filippini, sudafricani, coreani, thailandesi, giapponesi, nigeriani, kazaki, agli esponenti di comunità filosofiche cui non siamo ancora abituati a pensare come protagonisti del “campus globale” in cui avviene l’elaborazione del pensiero contemporaneo. Eppure, tra i più apprezzati interventi del Congresso vanno segnalati quelli della thailandese Suwanna Satha-Anand, dell’israeliana Anat Biletzki, del cinese Chen Lai. Sono state relazioni che hanno toccato, da punti di vista diversi ma complementari, temi universali quali la dialettica tra democrazia e religione, il “silenzio” come atto comunicativo, il confronto, a partire da un tema specifico, tra tradizioni filosofiche e culturali diverse… Ma, al di là di queste relazioni plenarie, una miriade di simposi, tavole rotonde, sessioni di ogni genere hanno fornito la misura del ruolo che le diverse tradizioni epistemiche, etiche, religiose, spirituali svolgono nell’elaborazione di un discorso culturale certo articolato ma ormai globale: temi che a lungo abbiamo considerato come appartenenti principalmente al pensiero occidentale appaiono sempre più come propri di tradizioni di pensiero affermate con forza da comunità intellettuali che emergono alla stessa velocità delle economie dei loro paesi. È mettendo in scena questa dimensione globale della riflessione filosofica che il Congresso ci invita ad abbandonare ogni prospettiva parziale e ad aprirci al resto del mondo. È un’esigenza che, come europei, ci tocca in modo particolare. Pensare, comunicare, e in particolare fare filosofia oggi non è più possibile se non si impara a farlo su scala globale, parlando a un pubblico (Aristotele avrebbe detto: a un uditorio) che spazia al di là della comunità e della tradizione filosofica nella quale ci si è formati. Il rischio in questi casi, e di quando in quando lo si è visto anche ad Atene, è quello di una standardizzazione del discorso teorico, di una riduzione di esso a una sorta di pidgin culturale in cui ci si muove su di un piano di superficialità che non giova né alla cultura né alla reciproca comprensione. Sta dunque ai nostri sistemi educativi, dalle scuole dell’obbligo in su, insegnare a considerare le altre culture non come qualcosa di esterno di cui assorbire al più alcune parole-chiave, ma come protagonisti alla pari di un processo comune di formazione, di una Bildung che insegni a maneggiare codici comunicativi, concetti, categorie, riferimenti culturali che possano essere recepiti da individui di ogni parte del mondo. Se di impatto pubblico del Congresso mondiale si può parlare, proprio questo ci pare esserne il motivo centrale. Nel contrasto tra la crescente miseria visibile nelle vie di Atene e le migliaia di filosofi venuti da ogni parte del mondo è visibile l’urgenza di imparare a muoversi su scala globale, a pensare in termini universali per abituarsi a interagire, anche a competere, in un mondo sempre più complesso, in cui l’incapacità a rapportarsi con l’altro, con la diversità etica, religiosa, linguistica comporta il rischio di un progressivo ma rapido, e in parte già in atto, scivolamento nel sottosviluppo. È visibile insomma un indiretto ma potente invito a rifiutare ogni forma di chiusura identitaria, di ripiego in un risentimento xenofobo o razzista. Questa spinta all’inclusione, alla condivisione, non ha preso solamente la forma di discorsi, che pure hanno ripetutamente insistito in questo senso (l’intervento di Habermas avveniva nel quadro di una tavola rotonda dedicata al cosmopolitismo), ma è stato percepibile nella concreta, tangibile, rappresentazione delle molteplici espressioni culturali che partecipano al dibattito globale contemporaneo: e proprio su questo fenomeno storico, ormai osservabile in misura quotidiana, si sono portate, tra l’altro, le attenzioni dei giornalisti presenti in rappresentanza di testate giornalistiche del mondo intero. In una successione che ricalca quella dei Giochi Olimpici, ad Atene succederà, nel 2018, il Congresso mondiale di Pechino. I preparativi sono già cominciati e con essi le prime difficoltà. Quale spazio verrà lasciato ai diritti umani, in che misura le discussioni potranno svolgersi in totale libertà e fino a che punto sarà assicurata libertà di partecipazione, senza alcuna restrizione di razza, nazionalità, genere, religione, opinioni politiche o altri motivi simili, come impongono le norme dei Congressi mondiali: è l’interrogativo e la sfida che ha accompagnato la decisione dell’Assemblea generale e del direttivo della Federazione internazionale delle società di filosofia (FISP), l’organismo responsabile della scelta e della preparazione dei Congressi mondiali. Il programma completo del Congresso di Atene è disponibile online all’indirizzo wcp2013.gr.

Pozzo, R., Scarantino, L. (2013). Lettera da Atene/Nell’agorà del pensiero globale. IL SOLE 24 ORE(25 agosto 2013), 22-22.

Lettera da Atene/Nell’agorà del pensiero globale

R. POZZO;
2013-01-01

Abstract

Insolitamente fresco e ventilato, quest’anno ad Atene il mese di agosto si è rivelato propizio allo svolgimento del 23° Congresso mondiale di filosofia, che proprio nella capitale greca si è tenuto dal 4 al 10 di questo mese. Philosophy as Inquiry and Way of Life: questo il tema del Congresso, che rinviando a una dimensione altamente speculativa, il bios zetetikós, la vita come discussione e ricerca, si dava un compito nobile: ripensare i ruoli e le responsabilità della filosofia e dei filosofi nell’odierno mondo globale, così da individuare problemi, conflitti e iniquità legate allo sviluppo e alle trasformazioni di una civiltà ormai planetaria, interculturale e tecnologica. In un’Atene erosa dalla crisi, in cui ogni strada del centro è costellata di mendicanti di ogni età e bambini di quattro-cinque anni si piegano su fisarmoniche più grandi di loro in questua di qualche centesimo, si è capito in fretta quale sia la posta in gioco delle dinamiche culturali contemporanee. La capacità di pensare, di muoversi su scala globale è, anche, un antidoto contro la miseria. Certo, la filosofia greca ha dominato la scena con orgoglio. Il congresso è stato l’occasione per celebrare il 2400° anniversario della fondazione dell’Accademia di Platone; l’inaugurazione, forse la più suggestiva nella centenaria storia dei Congressi mondiali, ha avuto luogo nel meraviglioso anfiteatro di Erode Attico, ai piedi dell'Acropoli, e diverse sessioni si sono svolte nel quadro di siti archeologici unici al mondo: l’Accademia di Platone e nel Liceo di Aristotele, dove hanno parlato, tra gli altri, Enrico Berti, Nomuro Notomi e Dorothea Frede; la collina della Pnice, dove nacque la democrazia, e la chiesa di Aghia Fotinì, edificata sul luogo ove Platone ambientò il Fedro, sulle rive dell’Ilisso. Nonostante le difficoltà che ne hanno accompagnato la preparazione, i colleghi greci hanno efficientemente accolto e guidato gli oltre 3000 partecipanti, il maggior numero nella storia dei Congressi mondiali, inaugurati a Parigi nel 1900 (l’Italia è l’unica nazione ad averlo ospitato tre volte: a Bologna nel 1911, a Napoli nel 1924 e a Venezia nel 1958). Tra i relatori italiani presenti nelle sessioni plenarie, ricordiamo Evandro Agazzi, che ha presieduto la sessione d’apertura, e la filosofa della scienza Maria Carla Galavotti. In una sesssione particolarmente affollata, Jürgen Habermas ha discusso il problema di come si possa costituzionalizzare il diritto internazionale, mentre sul nuovo realismo portava la relazione di Umberto Eco: un tema, quest’ultimo, cui era dedicata anche una tavola rotonda proposta da Maurizio Ferraris e condotta da Mario Alai, Enrico Berti, Riccardo Dottori e Riccardo Pozzo. Tra i platonisti riuniti attorno all’International Plato Society, è stata notevole la presenza dell’italiano Mauro Tulli. Per la città il Congresso è stato anche un buon affare. “In cinque giorni”, ci dice uno degli innumerevoli tassisti che stazionano ogni giorno davanti all’ingresso della Facoltà di filosofia, “ho incassato oltre mille euro”: quasi il triplo della media abituale. Del resto, i manifesti del congresso erano visibili ovunque in città. Ma l’impatto di un incontro di questa portata non si riduce all’immediato beneficio per l’economia cittadina. Il Congresso mondiale è soprattutto un esercizio di apertura alla complessità filosofica, religiosa, culturale del mondo contemporaneo. I giornalisti locali ci chiedono in continuazione quale ne sia l’effetto pubblico, al di là della cerchia degli specialisti: la risposta è, come spesso accade in questi casi, difficile, ma appare con chiarezza se si pensa la Grecia come una parte dell’Europa. Ci si sorprende allora a costatare come i filosofi europei, pur presenti in massa, siano tuttavia minoranza di fronte alle centinaia di studiosi russi, cinesi, indiani, sudamericani, alle decine di filippini, sudafricani, coreani, thailandesi, giapponesi, nigeriani, kazaki, agli esponenti di comunità filosofiche cui non siamo ancora abituati a pensare come protagonisti del “campus globale” in cui avviene l’elaborazione del pensiero contemporaneo. Eppure, tra i più apprezzati interventi del Congresso vanno segnalati quelli della thailandese Suwanna Satha-Anand, dell’israeliana Anat Biletzki, del cinese Chen Lai. Sono state relazioni che hanno toccato, da punti di vista diversi ma complementari, temi universali quali la dialettica tra democrazia e religione, il “silenzio” come atto comunicativo, il confronto, a partire da un tema specifico, tra tradizioni filosofiche e culturali diverse… Ma, al di là di queste relazioni plenarie, una miriade di simposi, tavole rotonde, sessioni di ogni genere hanno fornito la misura del ruolo che le diverse tradizioni epistemiche, etiche, religiose, spirituali svolgono nell’elaborazione di un discorso culturale certo articolato ma ormai globale: temi che a lungo abbiamo considerato come appartenenti principalmente al pensiero occidentale appaiono sempre più come propri di tradizioni di pensiero affermate con forza da comunità intellettuali che emergono alla stessa velocità delle economie dei loro paesi. È mettendo in scena questa dimensione globale della riflessione filosofica che il Congresso ci invita ad abbandonare ogni prospettiva parziale e ad aprirci al resto del mondo. È un’esigenza che, come europei, ci tocca in modo particolare. Pensare, comunicare, e in particolare fare filosofia oggi non è più possibile se non si impara a farlo su scala globale, parlando a un pubblico (Aristotele avrebbe detto: a un uditorio) che spazia al di là della comunità e della tradizione filosofica nella quale ci si è formati. Il rischio in questi casi, e di quando in quando lo si è visto anche ad Atene, è quello di una standardizzazione del discorso teorico, di una riduzione di esso a una sorta di pidgin culturale in cui ci si muove su di un piano di superficialità che non giova né alla cultura né alla reciproca comprensione. Sta dunque ai nostri sistemi educativi, dalle scuole dell’obbligo in su, insegnare a considerare le altre culture non come qualcosa di esterno di cui assorbire al più alcune parole-chiave, ma come protagonisti alla pari di un processo comune di formazione, di una Bildung che insegni a maneggiare codici comunicativi, concetti, categorie, riferimenti culturali che possano essere recepiti da individui di ogni parte del mondo. Se di impatto pubblico del Congresso mondiale si può parlare, proprio questo ci pare esserne il motivo centrale. Nel contrasto tra la crescente miseria visibile nelle vie di Atene e le migliaia di filosofi venuti da ogni parte del mondo è visibile l’urgenza di imparare a muoversi su scala globale, a pensare in termini universali per abituarsi a interagire, anche a competere, in un mondo sempre più complesso, in cui l’incapacità a rapportarsi con l’altro, con la diversità etica, religiosa, linguistica comporta il rischio di un progressivo ma rapido, e in parte già in atto, scivolamento nel sottosviluppo. È visibile insomma un indiretto ma potente invito a rifiutare ogni forma di chiusura identitaria, di ripiego in un risentimento xenofobo o razzista. Questa spinta all’inclusione, alla condivisione, non ha preso solamente la forma di discorsi, che pure hanno ripetutamente insistito in questo senso (l’intervento di Habermas avveniva nel quadro di una tavola rotonda dedicata al cosmopolitismo), ma è stato percepibile nella concreta, tangibile, rappresentazione delle molteplici espressioni culturali che partecipano al dibattito globale contemporaneo: e proprio su questo fenomeno storico, ormai osservabile in misura quotidiana, si sono portate, tra l’altro, le attenzioni dei giornalisti presenti in rappresentanza di testate giornalistiche del mondo intero. In una successione che ricalca quella dei Giochi Olimpici, ad Atene succederà, nel 2018, il Congresso mondiale di Pechino. I preparativi sono già cominciati e con essi le prime difficoltà. Quale spazio verrà lasciato ai diritti umani, in che misura le discussioni potranno svolgersi in totale libertà e fino a che punto sarà assicurata libertà di partecipazione, senza alcuna restrizione di razza, nazionalità, genere, religione, opinioni politiche o altri motivi simili, come impongono le norme dei Congressi mondiali: è l’interrogativo e la sfida che ha accompagnato la decisione dell’Assemblea generale e del direttivo della Federazione internazionale delle società di filosofia (FISP), l’organismo responsabile della scelta e della preparazione dei Congressi mondiali. Il programma completo del Congresso di Atene è disponibile online all’indirizzo wcp2013.gr.
2013
Pubblicato
Rilevanza nazionale
Articolo
Comitato scientifico
Settore M-FIL/06 - STORIA DELLA FILOSOFIA
Italian
Congressi mondiali di filosofia; Filosofia
http://www.ilsole24ore.com/
Pozzo, R., Scarantino, L. (2013). Lettera da Atene/Nell’agorà del pensiero globale. IL SOLE 24 ORE(25 agosto 2013), 22-22.
Pozzo, R; Scarantino, L
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