La guerra che porta alla liberazione dell’Italia è una guerra di territorio. Le reti, stradale e ferroviaria, sono obiettivi strategici, sia per le truppe in ritirata che per quelle avanzanti. Migliaia di ponti sono danneggiati e distrutti, tonnellate di ferro, mattoni e cemento annegate nei fiumi. Il “pronto soccorso” alle strutture, guidato dal Genio Alleato, si basa sul “recupero del recuperabile”. Con improvvisazione, intuito e coraggio le procedure “standard” dei manuali americani si combinano con l’esperienza del cantiere artigianale nazionale. Si interviene “chirurgicamente” sulle strutture bombardate o fatte saltare: sollevando, ripulendo, combinando insolitamente materiali e schemi strutturali. Il metodo americano e il “saper fare” dei tecnici italiani si contaminano: nel linguaggio dei suppers compaiono i neologismi “strutturing” e “centering” (usati per codificare procedure inusuali per la stabilizzazione dei viadotti ad archi in muratura o l’uso di centine di emergenza per sostenere gli archi particolarmente danneggiati) mentre nei manuali si aggiunge un’appendice di “Unusal methods”. Qui si annota, ad esempio, come estendere il materiale da ponte con pezzi “di recupero” e si descrivono dettagliatamente procedure non ortodosse di varo, come il “varo continuo all’Italiana” (che prevede di varare un “treno” di travi, irrigidendo le travi di testa per evitare l’allestimento dei rostri temporanei). La Ricostruzione, successiva di pochi mesi e poi sostanziata dagli aiuti economici degli Stati Uniti, è un’impresa senza precedenti per gli ingegneri e le imprese italiane. Occorre rimettere in funzione la rete ferroviaria e potenziare quella stradale, al passo con la ripresa economica del Paese. È così che le sperimentazioni azzardate negli anni precedenti maturano in una dimensione professionale e collettiva. Mentre il Comitato di Liberazione Nazionale assume pieni poteri, i fronti, abbandonati dalle truppe Alleate, si animano di un nuovo fermento. Le imprese rispondono agli appalti del Ministero dei Lavori Pubblici con grande entusiasmo. E chiamano a collaborare gli ingegneri. E’ l’occasione per dimostrare, da liberi (professionisti), le proprie capacità tecniche e l’abilità di esecuzione. Economia dei costi (i fondi disponibili sono ancora esclusivamente quelli “passati” dall’AMG), ristrettezza dei mezzi di cantiere, impiego del cemento, unico materiale per il quale il governo alleato è in grado di assicurare la fornitura (il ferro è ancora requisito dai reparti militari per le necessità della campagna) si strutturano, così, nelle “travate contrappesate” di Riccardo Morandi sul Liri, nelle “variazioni Maillart” di Arrigo Carè e Giorgio Giannelli sul Nera e sul Frigido, nei “volti senza ferro” di Cestelli Guidi sull’Arno, negli “archi rotanti” di Giulio Krall sul Calore. Poi, proclamata la Repubblica, si cominciano a ricostruire le città e i loro ponti. Qui economia dei costi e ristrettezza dei mezzi si combinano con “esigenze estetiche notevolissime”: Morandi e Krall, rispettivamente a Firenze e a Pisa, progettano due archi ribassati in cemento armato, “adatti a inquadrare i colli e la città”, “armonizzare con i monumenti”. Si avvia la ricostruzione definitiva dei ponti sul Po. E’ un’impresa collettiva che, segnando il passaggio di consegne, richiede la collaborazione di tutti. A Cremona, l’ILVA lavora alla produzione delle nuove travi, mentre la Mottura e Zaccheo, una fonderia di Milano, si impegna nel recupero del ferro delle travate abbattute nell’alveo del fiume, la costruzione di una gru galleggiante per la movimentazione delle macerie e per il varo delle nuove travi. A Piacenza, la Dalmine firma la singolare proposta di assemblare travi di tubi in acciaio (montanti e diagonali in tubi quadri, e controventi in tubi tondi), con una notevole economia di materiale. Nel 1948, con il Piano Marshall, 300 miliardi di lire di ricavi ottenuti dalla vendita di aiuti in arrivo dagli Stati Uniti, messi in bilancio sul Fondo Lire, costituiscono la base di un finanziamento "a sportello" per i comuni e le imprese. L’infrastruttura costituisce il cuore del Piano per la ripresa economica del Paese, permettendo fisicamente lo smistamento degli aiuti sul territorio. Così, con il “ponte nuovo” che tra il 1948 e il 1952 compare in tutti i Comuni, si crea occupazione immettendo nuovi salari sul mercato dei consumi, e si agevola il trasporto dei beni. I cantieri, si moltiplicano, sono “cantieri scuola”, “cantieri del lavoro” (richiesti delle Cooperative Operaie ai Provveditorati alle Opere Pubbliche); a sperimentazione si concentra sul ponte in cemento armato, che con soluzioni strutturali più o meno ardite può essere realizzato dalle imprese locali con manodopera non specializzata. Nel 1951 sul torrente Calignaia, a sud di Livorno, si costruisce il più grande arco in cemento armato (102 m di luce) mai realizzato in Italia. Il progetto fa parte del potenziamento della via Aurelia (arteria sostanziale per lo smistamento e lo smercio dei prodotti in arrivo dall’America nei porti del Tirreno). E’ il primo di nuova generazione di cantieri che segnano il passaggio dall’emergenza allo sviluppo, anche turistico. In soli tre anni, la faticosa risalita dei suppers è solo un ricordo: sui nuovi grandi archi ormai scoppiano solo i motori delle FIAT in viaggio verso il boom.

Giannetti, I. (2015). Bridging Italy 1943-1952. Diario della Ricostruzione - Bridging Italy 1943-1952,. In S.P. T. Iori (a cura di), SIXXI 3. Storia dell'ingegneria strutturale in Italia (pp. 62-85). Roma : Gangemi.

Bridging Italy 1943-1952. Diario della Ricostruzione - Bridging Italy 1943-1952,

Giannetti, Ilaria
2015-01-01

Abstract

La guerra che porta alla liberazione dell’Italia è una guerra di territorio. Le reti, stradale e ferroviaria, sono obiettivi strategici, sia per le truppe in ritirata che per quelle avanzanti. Migliaia di ponti sono danneggiati e distrutti, tonnellate di ferro, mattoni e cemento annegate nei fiumi. Il “pronto soccorso” alle strutture, guidato dal Genio Alleato, si basa sul “recupero del recuperabile”. Con improvvisazione, intuito e coraggio le procedure “standard” dei manuali americani si combinano con l’esperienza del cantiere artigianale nazionale. Si interviene “chirurgicamente” sulle strutture bombardate o fatte saltare: sollevando, ripulendo, combinando insolitamente materiali e schemi strutturali. Il metodo americano e il “saper fare” dei tecnici italiani si contaminano: nel linguaggio dei suppers compaiono i neologismi “strutturing” e “centering” (usati per codificare procedure inusuali per la stabilizzazione dei viadotti ad archi in muratura o l’uso di centine di emergenza per sostenere gli archi particolarmente danneggiati) mentre nei manuali si aggiunge un’appendice di “Unusal methods”. Qui si annota, ad esempio, come estendere il materiale da ponte con pezzi “di recupero” e si descrivono dettagliatamente procedure non ortodosse di varo, come il “varo continuo all’Italiana” (che prevede di varare un “treno” di travi, irrigidendo le travi di testa per evitare l’allestimento dei rostri temporanei). La Ricostruzione, successiva di pochi mesi e poi sostanziata dagli aiuti economici degli Stati Uniti, è un’impresa senza precedenti per gli ingegneri e le imprese italiane. Occorre rimettere in funzione la rete ferroviaria e potenziare quella stradale, al passo con la ripresa economica del Paese. È così che le sperimentazioni azzardate negli anni precedenti maturano in una dimensione professionale e collettiva. Mentre il Comitato di Liberazione Nazionale assume pieni poteri, i fronti, abbandonati dalle truppe Alleate, si animano di un nuovo fermento. Le imprese rispondono agli appalti del Ministero dei Lavori Pubblici con grande entusiasmo. E chiamano a collaborare gli ingegneri. E’ l’occasione per dimostrare, da liberi (professionisti), le proprie capacità tecniche e l’abilità di esecuzione. Economia dei costi (i fondi disponibili sono ancora esclusivamente quelli “passati” dall’AMG), ristrettezza dei mezzi di cantiere, impiego del cemento, unico materiale per il quale il governo alleato è in grado di assicurare la fornitura (il ferro è ancora requisito dai reparti militari per le necessità della campagna) si strutturano, così, nelle “travate contrappesate” di Riccardo Morandi sul Liri, nelle “variazioni Maillart” di Arrigo Carè e Giorgio Giannelli sul Nera e sul Frigido, nei “volti senza ferro” di Cestelli Guidi sull’Arno, negli “archi rotanti” di Giulio Krall sul Calore. Poi, proclamata la Repubblica, si cominciano a ricostruire le città e i loro ponti. Qui economia dei costi e ristrettezza dei mezzi si combinano con “esigenze estetiche notevolissime”: Morandi e Krall, rispettivamente a Firenze e a Pisa, progettano due archi ribassati in cemento armato, “adatti a inquadrare i colli e la città”, “armonizzare con i monumenti”. Si avvia la ricostruzione definitiva dei ponti sul Po. E’ un’impresa collettiva che, segnando il passaggio di consegne, richiede la collaborazione di tutti. A Cremona, l’ILVA lavora alla produzione delle nuove travi, mentre la Mottura e Zaccheo, una fonderia di Milano, si impegna nel recupero del ferro delle travate abbattute nell’alveo del fiume, la costruzione di una gru galleggiante per la movimentazione delle macerie e per il varo delle nuove travi. A Piacenza, la Dalmine firma la singolare proposta di assemblare travi di tubi in acciaio (montanti e diagonali in tubi quadri, e controventi in tubi tondi), con una notevole economia di materiale. Nel 1948, con il Piano Marshall, 300 miliardi di lire di ricavi ottenuti dalla vendita di aiuti in arrivo dagli Stati Uniti, messi in bilancio sul Fondo Lire, costituiscono la base di un finanziamento "a sportello" per i comuni e le imprese. L’infrastruttura costituisce il cuore del Piano per la ripresa economica del Paese, permettendo fisicamente lo smistamento degli aiuti sul territorio. Così, con il “ponte nuovo” che tra il 1948 e il 1952 compare in tutti i Comuni, si crea occupazione immettendo nuovi salari sul mercato dei consumi, e si agevola il trasporto dei beni. I cantieri, si moltiplicano, sono “cantieri scuola”, “cantieri del lavoro” (richiesti delle Cooperative Operaie ai Provveditorati alle Opere Pubbliche); a sperimentazione si concentra sul ponte in cemento armato, che con soluzioni strutturali più o meno ardite può essere realizzato dalle imprese locali con manodopera non specializzata. Nel 1951 sul torrente Calignaia, a sud di Livorno, si costruisce il più grande arco in cemento armato (102 m di luce) mai realizzato in Italia. Il progetto fa parte del potenziamento della via Aurelia (arteria sostanziale per lo smistamento e lo smercio dei prodotti in arrivo dall’America nei porti del Tirreno). E’ il primo di nuova generazione di cantieri che segnano il passaggio dall’emergenza allo sviluppo, anche turistico. In soli tre anni, la faticosa risalita dei suppers è solo un ricordo: sui nuovi grandi archi ormai scoppiano solo i motori delle FIAT in viaggio verso il boom.
2015
Settore ICAR/10 - ARCHITETTURA TECNICA
English
Italian
Rilevanza nazionale
Capitolo o saggio
Storia dell'ingegneria strutturale, ingegneria per l'emergenza, Piano Marshall, Italia, Ricostruzione
Giannetti, I. (2015). Bridging Italy 1943-1952. Diario della Ricostruzione - Bridging Italy 1943-1952,. In S.P. T. Iori (a cura di), SIXXI 3. Storia dell'ingegneria strutturale in Italia (pp. 62-85). Roma : Gangemi.
Giannetti, I
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2108/215973
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