The work is focused on the relationship existing between bankruptcy proceedings and fiscal law. Although are both branch of Italian regulations, each set of rules has its own aims and has been developed with different approaches and in different periods. As a consequence, I tried to point out the most evident divergences between them. First of all, I analyzed new provisions regarding bankruptcy proceedings and, particularly, recent institutes introduced to prevent a situation of crisis and to safe the assets of a company. In fact, the aim of the law is oriented not only to safeguard creditor’s rights, but also to realize a legal transaction finalized to preserve the value of the enterprise. It is particularly important, because companies are often not able to realize that they are facing a crisis and underestimate consequent risks. Tax calculation is quite different during a bankruptcy and during the regular life of a company. In the first case, companies are supposed to pay year by year; in the second case, there is a long “tax period” and taxable income is estimated as difference between assets and net equity at the beginning of the procedure. Since both the amounts are negative, usually there are no taxes to pay. This fact causes a distortion of the regular relationship between the company and the Tax Authority, especially if the trustee in bankruptcy has no idea about part of the assets hidden by the entrepreneur during the crisis. In this case, not only Tax Authority, but all the stakeholders and the economic environment suffer a damage. Similar distortions are evident in a deed of arrangement. In fact, by one side, the creditor can deduct loss on credits; on the other side, debtor does not record a contingent revenue that can be taxable. In the last part of my work I focused on fiscal transaction. It is a recent institute applied in event of bankruptcy and useful to better define the debt toward Tax Authority.

1) Gli sfasamenti tra ordinamento fiscale e fallimentare. Il lavoro è dedicato all’inquadramento delle procedure concorsuali nel contesto tributario evidenziando i principali condizionamenti che le logiche “fallimentari” e “parafallimentari” hanno comportato sugli ordinari meccanismi di determinazione della ricchezza ai fini tributari nonché sulla posizione “creditoria” del fisco verso chi si trova in queste situazioni (vedi l’istituto della transazione fiscale, stante la sua importanza per i crediti erariali nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti). I due ordinamenti di settore hanno fini diversi e inevitabilmente presentano scoordinamenti di vario genere, che sono stati dapprima evidenziati individuando i risvolti tributari degli istituti concorsuali (prima parte); In questa prima parte si è provveduto ad un breve excursus delle procedure alla luce delle più recenti riforme normative, coi loro strumenti proattivi indirizzati a prevenire la crisi e a risanare quanto nell’impresa vi è di buono. La ratio è proprio quella di favorire una composizione negoziale della crisi, con un’ottica orientata non solo (o, forse meglio, non esclusivamente) a tutelare il ceto creditorio, ma anche a salvaguardare, ove possibile, i valori produttivi dell’impresa in uno stato di difficoltà. In tal modo, la riforma è intervenuta profondamente sugli istituti giudiziali (con particolare riferimento al fallimento e al concordato preventivo) e stragiudiziali (introducendo i due nuovi istituti del piano attestativo di risanamento e dell’accordo di ristrutturazione) della crisi, prevedendo procedure mirate alle condizioni di crisi manifestate da una società. Si rileva, incidentalmente rispetto all’oggetto tributario, che tali innovazioni non hanno portato agli obiettivi sperati, anche perché le imprese, infatti, tendono troppo spesso a ritardare il ricorso alle suddette procedure, quando ormai hanno travalicato una situazione di crisi “fisiologica”. La crisi è parzialmente diversa dallo “stato di insolvenza”, e può precederlo, giustificando accordi di ristrutturazione dei debiti. 2) Le discontinuità concettuali e i salti di imposta nel fallimento ordinario: la tassazione sul residuo attivo. Rispetto alle simmetrie che caratterizzano la ordinaria determinazione del reddito, il fallimento ha sempre provocato una serie di discontinuità, in quanto le disposizioni che disciplinano l’imposizione diretta in sede di procedura fallimentare sono completamente diverse rispetto alle disposizioni relative alle imprese in bonis. Al termine di un unico “maxi” periodo di imposta, è imponibile la “differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato ai valori fiscalmente riconosciuti”. Generalmente, visto che entrambe le poste sono negative (ossia pari a zero, ai fini tributari), non sorge alcuna materia imponibile. Dal punto di vista sostanziale, l’asimmetria comporta una distorsione nel normale rapporto tra impresa e fisco e tra diverse imprese e sistema tributario, la quale si manifesta in tutta la sua evidenza nel caso in cui il curatore non sia venuto a conoscenza di alcune attività per effetto di operazioni distrattive del fallito. Tale sistema opera non solo nelle ipotesi in cui il fallimento sia imputabile alla creazione di una minore ricchezza (come è nell’eventualità in cui il fallimento sia intervenuto per perdite effettive), ma anche quando esso sia derivato da un comportamento distrattivo del debitore che abbia occultato una parte della ricchezza. Ciò che è stato distratto sfugge a tassazione, e non costituisce reddito. Il fisco non incassa le imposte del debitore e consente al creditore di scaricare le perdite su crediti. In tal modo, in presenza di una siffatta asimmetria, lo Stato (o la collettività) si fa sempre carico delle perdite del sistema economico di qualunque genere, anche nell’ipotesi in cui queste ultime siano state determinate da una distrazione. Non sarebbe stata facile, forse, una disciplina diversa, perché –se qualcosa è stato distratto e lo si recupera- deve essere assorbito dalla procedura. Se invece non lo si recupera, non si vede come possa beneficiarne il fisco. Sono solo alcune ipotesi che spiegano una disciplina così scarsamente razionale con la complessità dei problemi sottostanti. In cui dopotutto va in crisi l’azienda, il moderno esattore del fisco, e non si riescono a mantenere le logiche della tassazione aziendale. 3) Le asimmetrie nel concordato preventivo e la disparità di trattamento verso la ristrutturazione del debito. Anche nel concordato preventivo emergono analoghe asimmetrie, in deroga ai principi generali sul reddito d’impresa. Il creditore può dedurre le perdite sui crediti falcidiati dal concordato preventivo, senza che la diminuzione dei debiti per il debitore costituisca sopravvenienza attiva. Un’analoga previsione, invece, non è stata adottata in caso degli accordi di ristrutturazione, nei quali la riduzione dei debiti nella percentuale concordata con i creditori comporta il sorgere di un provento a fronte di passività iscritte in bilancio nei precedenti esercizi, ossia una sopravvenienza attiva, la quale è destinata, secondo le regole generali ad assumere rilevanza di carattere fiscale (sulla ristrutturazione manca infatti una estensione dei principi del concordato preventivo). In tal modo l’emersione di una nuova materia d’imponibile, rappresentata dal valore delle sopravvenienze attive, determina il sorgere di un debito fiscale nei confronti dell’Erario, che vede aumentare l’indebitamento complessivo dell’impresa in crisi, rendendo allo stesso tempo difficile l’adempimento dell’accordo nei confronti dei creditori, compresi quelli che non vi hanno aderito e che devono comunque essere soddisfatti in materia integrale. Una soluzione possibile sarebbe quella di proporre ai creditori, all’interno di un accordo di ristrutturazione, la cessione dei crediti, con deduzione della minusvalenza, a una nuova società che procede all’accordo di ristrutturazione, beneficiando poi della disposizione che considera “apporti” le rinunce a crediti dei soci (il grosso della perdita su crediti è stato infatti dedotto con la prima cessione, neutralizzando così la indeducibilità per il socio rinunciante). Anche sotto il profilo delle “perdite presunte su crediti” (da valutazione) la mancata equiparazione degli accordi di ristrutturazione alle procedure concorsuali genera sperequazioni. 4) La sorte dei crediti tributari all’interno della procedura. Nella seconda parte del lavoro si sono voluti esaminare gli aspetti sostanziali della normativa tributaria all’interno delle procedure concorsuali, individuando la posizione dei soggetti coinvolti nella crisi di impresa nei confronti del Fisco, con particolare riferimento alle figure dell’imprenditore, dei creditori e del curatore. Riguardo a quest’ultimo sono stati individuati gli adempimenti fiscali a cui è tenuto in caso di fallimento in relazione alle principali imposte. Con particolare riferimento alla procedura fallimentare, si è inoltre approfondita la problematica relativa alla verifica dei crediti tributari all’interno del fallimento, caratterizzata dalla contrapposizione tra il particolarismo fiscale e le esigenze normalizzatrici della giurisprudenza. Particolare attenzione è stata posta ai profili di indubbia peculiarità che presentano i crediti tributari nella fase di accertamento del passivo tributario, anche a seguito dell’abrogazione dell’anacronistico privilegio processuale che consentiva al Fisco di agire in executivis in deroga al principio del par condicio creditorum. Inoltre, nel lavoro è stata prestata particolare attenzione ai rapporti tra giurisdizione tributaria e fallimento in relazione all’accertamento dell’an e del quantum delle pretese impositive, alla legittimazione attiva ai fini dell’impugnazione degli atti impositivi, con particolare riferimento al problema della doppia notifica al curatore e al fallito ed della cessione del credito tributario, al titolo per l’ammissione al passivo, alla prova, al procedimento di ammissione al passivo e alla collocazione privilegiata o meno del credito tributario. 5) la transazione fiscale. Nell’ultima parte del lavoro, è stato analizzato l’istituto della transazione fiscale, evidenziandone la particolare importanza, in considerazione del fatto che, nella prassi, un’impresa in crisi è anche e soprattutto un’impresa fortemente indebitata nei confronti dell’Erario. È evidente, quindi, la rilevanza dell’ istituto in questione che, all’interno dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione, prevede: a) da una parte, la possibilità per i creditori privilegiati (e quindi anche per l’Erario) di soddisfarsi solo parzialmente, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione; b) dall’altra, la possibilità di instaurare con l’Amministrazione Finanziaria una particolare procedura, volta al consolidamento della posizione debitoria nei confronti dell’Erario e alla chiusura delle liti pendenti. Al riguardo, una particolare attenzione è stata posta in relazione agli eventuali profili di incostituzionalità dell’istituto e alla sua compatibilità con la regola relativa all’indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Ci si è soffermati, inoltre, sulla natura giuridica dell’istituto, sul suo ambito applicativo e sugli aspetti procedurali dello stesso, tenuto conto delle recenti novità legislative apportate in materia. Un’attenzione particolare è stata dedicata agli effetti dell’istituto, il quale mira al definitivo accertamento della pretesa tributaria e quindi alla preclusione di ulteriori attività di accertamento, quanto meno in relazione alle annualità prese in considerazione dall’accordo, con obiettiva deroga al principio della irrinunciabilità della pretesa tributaria. Tale effetto, infatti, non mira solo ad assicurare la rapida quantificazione e lo stabile consolidamento del debito fiscale, a vantaggio del debitore e dei creditori, ma anche e soprattutto a garantire il Fisco affinché non venga omologato un accordo o un concordato volto a favorire l’evasione fiscale. Infatti, in mancanza di tale istituto, l’Amministrazione Finanziaria verrebbe ad esprimere il proprio voto favorevole o contrario alla proposta sulla base esclusivamente del quantum dichiarato dal contribuente. In particolare, mentre gli altri creditori hanno l’opportunità di fare accertare il proprio credito in sede ordinaria, tale possibilità rimane preclusa all’Amministrazione Finanziaria, non essendole riconosciuta, in mancanza di un soggetto legittimato ad impugnare l’atto, la possibilità di agire in sede giurisdizionale al solo fine di accertare l’esatta quantificazione della obbligazione tributaria. Sono quindi evidenti i caratteri di necessità e di indispensabilità della transazione fiscale, quale procedura di supporto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione. Infatti, l’omologazione di tali piani o accordi, in assenza della transazione fiscale, potrebbe comportare la definitiva approvazione di un piano volto ad avvantaggiare un contribuente infedele, che dichiari debiti tributari divergenti da quelli effettivi. Il presente lavoro è frutto non soltanto di un’attività di ricerca portata avanti nel corso del Dottorato di ricerca, ma anche di riscontri empirici e induttivi che emergono quotidianamente nell’attività di giudice delegato svolta da chi scrive. Confrontando gli ambiti scientifico-disciplinari nei quali le procedure concorsuali trovano collocazione (diritto fallimentare, diritto tributario, economia aziendale), emerge un disallineamento che riguarda non soltanto l’approccio metodologico, ma anche le soluzioni prospettate. Per quanto esistano differenze fra i vari ambiti, sarebbe necessario un dialogo che porti ad inquadrare le procedure in modo unitario, così da dare vita ad una normativa di riferimento condivisa, matura, e proficuamente applicabile.

Fazzini, E. (2010). Gli aspetti fiscali delle procedure concorsuali.

Gli aspetti fiscali delle procedure concorsuali

FAZZINI, ELISA
2010-07-29

Abstract

The work is focused on the relationship existing between bankruptcy proceedings and fiscal law. Although are both branch of Italian regulations, each set of rules has its own aims and has been developed with different approaches and in different periods. As a consequence, I tried to point out the most evident divergences between them. First of all, I analyzed new provisions regarding bankruptcy proceedings and, particularly, recent institutes introduced to prevent a situation of crisis and to safe the assets of a company. In fact, the aim of the law is oriented not only to safeguard creditor’s rights, but also to realize a legal transaction finalized to preserve the value of the enterprise. It is particularly important, because companies are often not able to realize that they are facing a crisis and underestimate consequent risks. Tax calculation is quite different during a bankruptcy and during the regular life of a company. In the first case, companies are supposed to pay year by year; in the second case, there is a long “tax period” and taxable income is estimated as difference between assets and net equity at the beginning of the procedure. Since both the amounts are negative, usually there are no taxes to pay. This fact causes a distortion of the regular relationship between the company and the Tax Authority, especially if the trustee in bankruptcy has no idea about part of the assets hidden by the entrepreneur during the crisis. In this case, not only Tax Authority, but all the stakeholders and the economic environment suffer a damage. Similar distortions are evident in a deed of arrangement. In fact, by one side, the creditor can deduct loss on credits; on the other side, debtor does not record a contingent revenue that can be taxable. In the last part of my work I focused on fiscal transaction. It is a recent institute applied in event of bankruptcy and useful to better define the debt toward Tax Authority.
29-lug-2010
A.A. 2009/2010
Diritto tributario e dell'impresa
22.
1) Gli sfasamenti tra ordinamento fiscale e fallimentare. Il lavoro è dedicato all’inquadramento delle procedure concorsuali nel contesto tributario evidenziando i principali condizionamenti che le logiche “fallimentari” e “parafallimentari” hanno comportato sugli ordinari meccanismi di determinazione della ricchezza ai fini tributari nonché sulla posizione “creditoria” del fisco verso chi si trova in queste situazioni (vedi l’istituto della transazione fiscale, stante la sua importanza per i crediti erariali nell’ambito del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione dei debiti). I due ordinamenti di settore hanno fini diversi e inevitabilmente presentano scoordinamenti di vario genere, che sono stati dapprima evidenziati individuando i risvolti tributari degli istituti concorsuali (prima parte); In questa prima parte si è provveduto ad un breve excursus delle procedure alla luce delle più recenti riforme normative, coi loro strumenti proattivi indirizzati a prevenire la crisi e a risanare quanto nell’impresa vi è di buono. La ratio è proprio quella di favorire una composizione negoziale della crisi, con un’ottica orientata non solo (o, forse meglio, non esclusivamente) a tutelare il ceto creditorio, ma anche a salvaguardare, ove possibile, i valori produttivi dell’impresa in uno stato di difficoltà. In tal modo, la riforma è intervenuta profondamente sugli istituti giudiziali (con particolare riferimento al fallimento e al concordato preventivo) e stragiudiziali (introducendo i due nuovi istituti del piano attestativo di risanamento e dell’accordo di ristrutturazione) della crisi, prevedendo procedure mirate alle condizioni di crisi manifestate da una società. Si rileva, incidentalmente rispetto all’oggetto tributario, che tali innovazioni non hanno portato agli obiettivi sperati, anche perché le imprese, infatti, tendono troppo spesso a ritardare il ricorso alle suddette procedure, quando ormai hanno travalicato una situazione di crisi “fisiologica”. La crisi è parzialmente diversa dallo “stato di insolvenza”, e può precederlo, giustificando accordi di ristrutturazione dei debiti. 2) Le discontinuità concettuali e i salti di imposta nel fallimento ordinario: la tassazione sul residuo attivo. Rispetto alle simmetrie che caratterizzano la ordinaria determinazione del reddito, il fallimento ha sempre provocato una serie di discontinuità, in quanto le disposizioni che disciplinano l’imposizione diretta in sede di procedura fallimentare sono completamente diverse rispetto alle disposizioni relative alle imprese in bonis. Al termine di un unico “maxi” periodo di imposta, è imponibile la “differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio del procedimento, determinato ai valori fiscalmente riconosciuti”. Generalmente, visto che entrambe le poste sono negative (ossia pari a zero, ai fini tributari), non sorge alcuna materia imponibile. Dal punto di vista sostanziale, l’asimmetria comporta una distorsione nel normale rapporto tra impresa e fisco e tra diverse imprese e sistema tributario, la quale si manifesta in tutta la sua evidenza nel caso in cui il curatore non sia venuto a conoscenza di alcune attività per effetto di operazioni distrattive del fallito. Tale sistema opera non solo nelle ipotesi in cui il fallimento sia imputabile alla creazione di una minore ricchezza (come è nell’eventualità in cui il fallimento sia intervenuto per perdite effettive), ma anche quando esso sia derivato da un comportamento distrattivo del debitore che abbia occultato una parte della ricchezza. Ciò che è stato distratto sfugge a tassazione, e non costituisce reddito. Il fisco non incassa le imposte del debitore e consente al creditore di scaricare le perdite su crediti. In tal modo, in presenza di una siffatta asimmetria, lo Stato (o la collettività) si fa sempre carico delle perdite del sistema economico di qualunque genere, anche nell’ipotesi in cui queste ultime siano state determinate da una distrazione. Non sarebbe stata facile, forse, una disciplina diversa, perché –se qualcosa è stato distratto e lo si recupera- deve essere assorbito dalla procedura. Se invece non lo si recupera, non si vede come possa beneficiarne il fisco. Sono solo alcune ipotesi che spiegano una disciplina così scarsamente razionale con la complessità dei problemi sottostanti. In cui dopotutto va in crisi l’azienda, il moderno esattore del fisco, e non si riescono a mantenere le logiche della tassazione aziendale. 3) Le asimmetrie nel concordato preventivo e la disparità di trattamento verso la ristrutturazione del debito. Anche nel concordato preventivo emergono analoghe asimmetrie, in deroga ai principi generali sul reddito d’impresa. Il creditore può dedurre le perdite sui crediti falcidiati dal concordato preventivo, senza che la diminuzione dei debiti per il debitore costituisca sopravvenienza attiva. Un’analoga previsione, invece, non è stata adottata in caso degli accordi di ristrutturazione, nei quali la riduzione dei debiti nella percentuale concordata con i creditori comporta il sorgere di un provento a fronte di passività iscritte in bilancio nei precedenti esercizi, ossia una sopravvenienza attiva, la quale è destinata, secondo le regole generali ad assumere rilevanza di carattere fiscale (sulla ristrutturazione manca infatti una estensione dei principi del concordato preventivo). In tal modo l’emersione di una nuova materia d’imponibile, rappresentata dal valore delle sopravvenienze attive, determina il sorgere di un debito fiscale nei confronti dell’Erario, che vede aumentare l’indebitamento complessivo dell’impresa in crisi, rendendo allo stesso tempo difficile l’adempimento dell’accordo nei confronti dei creditori, compresi quelli che non vi hanno aderito e che devono comunque essere soddisfatti in materia integrale. Una soluzione possibile sarebbe quella di proporre ai creditori, all’interno di un accordo di ristrutturazione, la cessione dei crediti, con deduzione della minusvalenza, a una nuova società che procede all’accordo di ristrutturazione, beneficiando poi della disposizione che considera “apporti” le rinunce a crediti dei soci (il grosso della perdita su crediti è stato infatti dedotto con la prima cessione, neutralizzando così la indeducibilità per il socio rinunciante). Anche sotto il profilo delle “perdite presunte su crediti” (da valutazione) la mancata equiparazione degli accordi di ristrutturazione alle procedure concorsuali genera sperequazioni. 4) La sorte dei crediti tributari all’interno della procedura. Nella seconda parte del lavoro si sono voluti esaminare gli aspetti sostanziali della normativa tributaria all’interno delle procedure concorsuali, individuando la posizione dei soggetti coinvolti nella crisi di impresa nei confronti del Fisco, con particolare riferimento alle figure dell’imprenditore, dei creditori e del curatore. Riguardo a quest’ultimo sono stati individuati gli adempimenti fiscali a cui è tenuto in caso di fallimento in relazione alle principali imposte. Con particolare riferimento alla procedura fallimentare, si è inoltre approfondita la problematica relativa alla verifica dei crediti tributari all’interno del fallimento, caratterizzata dalla contrapposizione tra il particolarismo fiscale e le esigenze normalizzatrici della giurisprudenza. Particolare attenzione è stata posta ai profili di indubbia peculiarità che presentano i crediti tributari nella fase di accertamento del passivo tributario, anche a seguito dell’abrogazione dell’anacronistico privilegio processuale che consentiva al Fisco di agire in executivis in deroga al principio del par condicio creditorum. Inoltre, nel lavoro è stata prestata particolare attenzione ai rapporti tra giurisdizione tributaria e fallimento in relazione all’accertamento dell’an e del quantum delle pretese impositive, alla legittimazione attiva ai fini dell’impugnazione degli atti impositivi, con particolare riferimento al problema della doppia notifica al curatore e al fallito ed della cessione del credito tributario, al titolo per l’ammissione al passivo, alla prova, al procedimento di ammissione al passivo e alla collocazione privilegiata o meno del credito tributario. 5) la transazione fiscale. Nell’ultima parte del lavoro, è stato analizzato l’istituto della transazione fiscale, evidenziandone la particolare importanza, in considerazione del fatto che, nella prassi, un’impresa in crisi è anche e soprattutto un’impresa fortemente indebitata nei confronti dell’Erario. È evidente, quindi, la rilevanza dell’ istituto in questione che, all’interno dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione, prevede: a) da una parte, la possibilità per i creditori privilegiati (e quindi anche per l’Erario) di soddisfarsi solo parzialmente, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione; b) dall’altra, la possibilità di instaurare con l’Amministrazione Finanziaria una particolare procedura, volta al consolidamento della posizione debitoria nei confronti dell’Erario e alla chiusura delle liti pendenti. Al riguardo, una particolare attenzione è stata posta in relazione agli eventuali profili di incostituzionalità dell’istituto e alla sua compatibilità con la regola relativa all’indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Ci si è soffermati, inoltre, sulla natura giuridica dell’istituto, sul suo ambito applicativo e sugli aspetti procedurali dello stesso, tenuto conto delle recenti novità legislative apportate in materia. Un’attenzione particolare è stata dedicata agli effetti dell’istituto, il quale mira al definitivo accertamento della pretesa tributaria e quindi alla preclusione di ulteriori attività di accertamento, quanto meno in relazione alle annualità prese in considerazione dall’accordo, con obiettiva deroga al principio della irrinunciabilità della pretesa tributaria. Tale effetto, infatti, non mira solo ad assicurare la rapida quantificazione e lo stabile consolidamento del debito fiscale, a vantaggio del debitore e dei creditori, ma anche e soprattutto a garantire il Fisco affinché non venga omologato un accordo o un concordato volto a favorire l’evasione fiscale. Infatti, in mancanza di tale istituto, l’Amministrazione Finanziaria verrebbe ad esprimere il proprio voto favorevole o contrario alla proposta sulla base esclusivamente del quantum dichiarato dal contribuente. In particolare, mentre gli altri creditori hanno l’opportunità di fare accertare il proprio credito in sede ordinaria, tale possibilità rimane preclusa all’Amministrazione Finanziaria, non essendole riconosciuta, in mancanza di un soggetto legittimato ad impugnare l’atto, la possibilità di agire in sede giurisdizionale al solo fine di accertare l’esatta quantificazione della obbligazione tributaria. Sono quindi evidenti i caratteri di necessità e di indispensabilità della transazione fiscale, quale procedura di supporto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione. Infatti, l’omologazione di tali piani o accordi, in assenza della transazione fiscale, potrebbe comportare la definitiva approvazione di un piano volto ad avvantaggiare un contribuente infedele, che dichiari debiti tributari divergenti da quelli effettivi. Il presente lavoro è frutto non soltanto di un’attività di ricerca portata avanti nel corso del Dottorato di ricerca, ma anche di riscontri empirici e induttivi che emergono quotidianamente nell’attività di giudice delegato svolta da chi scrive. Confrontando gli ambiti scientifico-disciplinari nei quali le procedure concorsuali trovano collocazione (diritto fallimentare, diritto tributario, economia aziendale), emerge un disallineamento che riguarda non soltanto l’approccio metodologico, ma anche le soluzioni prospettate. Per quanto esistano differenze fra i vari ambiti, sarebbe necessario un dialogo che porti ad inquadrare le procedure in modo unitario, così da dare vita ad una normativa di riferimento condivisa, matura, e proficuamente applicabile.
insolvenza; crisi; aspetti fiscali; transazione fiscale; credito tributario
Settore IUS/12 - DIRITTO TRIBUTARIO
Italian
Tesi di dottorato
Fazzini, E. (2010). Gli aspetti fiscali delle procedure concorsuali.
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