Una costituzione della seconda metà del IV secolo, appartenente alla cancelleria di Graziano (CTh. 2.2.1, a. 376), vieta che si possa essere giudici in causa propria. Sancisce, in tal modo, uno dei principi cardine del diritto processuale, uno dei dogmi della giurisdizione. Rappresenta la base del principio dell’imparzialità del giudice espresso, ad es., nell’art. 111 della nostra Costituzione. Il divieto di Graziano non rappresenta un intervento innovativo, potendosi ravvisare dei precedenti a questa disposizione. Si fonda inoltre su un principio analogo in tema di testimonianza, risalente nel tempo, a cui lo stesso Graziano fa espresso rinvio, richiamando gli iura. Il precetto si trasmette attraverso la Consultatio, la Lex Romana Visigothorum (a cui dobbiamo la sua tradizione) la Lex Burgundionum e il Codice giustinianeo. Nel pensiero di Isidoro, influenzato, sotto il profilo giuridico, soprattutto dal diritto occidentale (Codice Teodosiano), troviamo echi di questo principio processualistico così fondante sul piano della iurisdictio? Esistono tracce di un’influenza della norma teodosiana? Nell’opera di Isidoro, sono le Sententiae, che tramandano una serie di precetti morali sulla figura dei giudici che, a mio giudizio, possono considerarsi attinenti al principio suddetto. Ho verificato infatti come il vescovo focalizzi la sua attenzione su criteri di equità e giustizia (da cui poi diramano altri parametri) che costituiscono il fondamento dei suoi precetti morali, tradotti in comportamenti giuridici. Gli stessi criteri fondanti delle norme romane sulla responsabilità del giudice. È presente anche uno specifico richiamo alla parzialità/imparzialità dell’organo giudicante. Inoltre illustrano le qualità del buon giudice che, solo attraverso alcuni comportamenti e caratteristiche determinate, può raggiungere nell’obiettività, la verità del giudizio. Il discorso sul potere, dei prìncipi e dei giudici, posto sul piano teologico, morale e cristiano, appare una trasposizione etica di principi giuridici. Le opinioni del vescovo di Siviglia traducono su un piano pedagogico-morale precetti normativi che, in tal modo, si ammantano di ulteriore autorità. La lettura delle Sententiae che intendo proporre (sotto il profilo indicato), può giovare ad una conoscenza ulteriore del suo pensiero e, allo stesso tempo, a verificare una tradizione, anche celata, di principi romanistici.
Bianchi, P. (2012). Il principio di imparzialità del giudice : dal Codice Teodosiano all'opera di Isidoro di Siviglia. In S.T. Gisella Bassanelli Sommariva (a cura di), Ravenna Capitale. Uno sguardo ad Occidente. Romani e Goti. Isidoro di Siviglia (pp. 181-215). Bologna : Edizione Martina.
Il principio di imparzialità del giudice : dal Codice Teodosiano all'opera di Isidoro di Siviglia
BIANCHI, PAOLA
2012-01-01
Abstract
Una costituzione della seconda metà del IV secolo, appartenente alla cancelleria di Graziano (CTh. 2.2.1, a. 376), vieta che si possa essere giudici in causa propria. Sancisce, in tal modo, uno dei principi cardine del diritto processuale, uno dei dogmi della giurisdizione. Rappresenta la base del principio dell’imparzialità del giudice espresso, ad es., nell’art. 111 della nostra Costituzione. Il divieto di Graziano non rappresenta un intervento innovativo, potendosi ravvisare dei precedenti a questa disposizione. Si fonda inoltre su un principio analogo in tema di testimonianza, risalente nel tempo, a cui lo stesso Graziano fa espresso rinvio, richiamando gli iura. Il precetto si trasmette attraverso la Consultatio, la Lex Romana Visigothorum (a cui dobbiamo la sua tradizione) la Lex Burgundionum e il Codice giustinianeo. Nel pensiero di Isidoro, influenzato, sotto il profilo giuridico, soprattutto dal diritto occidentale (Codice Teodosiano), troviamo echi di questo principio processualistico così fondante sul piano della iurisdictio? Esistono tracce di un’influenza della norma teodosiana? Nell’opera di Isidoro, sono le Sententiae, che tramandano una serie di precetti morali sulla figura dei giudici che, a mio giudizio, possono considerarsi attinenti al principio suddetto. Ho verificato infatti come il vescovo focalizzi la sua attenzione su criteri di equità e giustizia (da cui poi diramano altri parametri) che costituiscono il fondamento dei suoi precetti morali, tradotti in comportamenti giuridici. Gli stessi criteri fondanti delle norme romane sulla responsabilità del giudice. È presente anche uno specifico richiamo alla parzialità/imparzialità dell’organo giudicante. Inoltre illustrano le qualità del buon giudice che, solo attraverso alcuni comportamenti e caratteristiche determinate, può raggiungere nell’obiettività, la verità del giudizio. Il discorso sul potere, dei prìncipi e dei giudici, posto sul piano teologico, morale e cristiano, appare una trasposizione etica di principi giuridici. Le opinioni del vescovo di Siviglia traducono su un piano pedagogico-morale precetti normativi che, in tal modo, si ammantano di ulteriore autorità. La lettura delle Sententiae che intendo proporre (sotto il profilo indicato), può giovare ad una conoscenza ulteriore del suo pensiero e, allo stesso tempo, a verificare una tradizione, anche celata, di principi romanistici.File | Dimensione | Formato | |
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