Le recenti sfide lanciate dalla politica finanziaria europea (Piano Junker 2014 e Quantitative Easing Draghi 2015) affidano agli investimenti di natura urbana e territoriale un ruolo centrale nel contrasto alla crisi e per l’avvio di un processo stabile ed equilibrato di sviluppo. Il particolare riferimento alla scala urbana aumenta la complessità delle scelte, lasciando inevase questioni di non poca rilevanza: può un processo di investimento, di tipo moltiplicatore, da solo bastare a rilanciare crescita ed occupazione sul breve periodo nelle città? Quali dimensioni urbane, più di altre, sono atte ad avviare sul breve periodo un processo di investimento dagli effetti stabili e duraturi nel tempo? Cosa consente all’investimento urbano di breve periodo di divenire il driver di una prospettiva di lungo termine per la crescita? Queste domande non trovano risposta nel tradizionale modo di investire strategicamente sulla città, ancorato, nella letteratura, ad approcci ancora settoriali dell’economia (soprattutto aziendale) e della progettazione di strutture e funzioni. Il luogo o il territorio, che ne dovrebbe accogliere l’attuazione, è ancora considerato un mero contenitore o la più una ‘quinta’. Poiché molti ignorano o dimenticano che il luogo, e in particolare la città, è la porzione immediatamente visibile di un territorio agli occhi dell’investitore, ignorano o dimenticano il ruolo che la pianificazione gioca nel costruire scenari territoriali per l’ investimento, affinché questo si riveli efficace nel lungo periodo. Com’è nella sua natura, la teoria economica basa le sue argomentazioni sulla conoscenza dei mercati e dei suoi andamenti, le cui incerte prospettive aumentano con l’aumentare del lasso di tempo entro cui si calcola la resa dell’investimento. Al contrario, la teoria della pianificazione e la progettazione hanno bisogno di ragionare in una prospettiva di medio-lungo periodo (ESPON ET2050 project, 2015), affinché la predizione di piano ed il progetto, accompagnato dal relativo investimento, assumano concretezza predittiva. Soprattutto in un’ottica di sostenibilità. Una revisione critica dei due approcci ha evidenziato il conflitto tra “neutralità” dei modelli economici di luogo periodo rispetto a quelli geografico-economici e del planning. La questione era già stata affrontata nell’ambito della geografia della localizzazione a supporto delle politiche industriali che, rilanciando il tema dell’incompatibilità tra approcci “spatial” e “territorial”, riconosceva il peso assunto dalle variabili ambientale e territoriale nelle scelte organizzative della produzione. In particolare si evidenziava la necessità di integrare nelle teorie organizzative dell’insediamento e di localizzazione della produzione l’evidenza e la diversità territoriali secondo un’ottica di interazione tipica dell'analisi sistemica, adottando metodi di studio e di indirizzamento della crescita di tipo multidisciplinare integrato. Questo approccio rende il legame tra investimento economico-finanziario e pianificazione territoriale meno instabile e meno dipendente da fattori quali l’affidabilità politica, la regolamentazione in atto nei diversi contesti, la propensione ad immobilizzare il capitale di proprietà piuttosto che a servirsi di quello di debito. Facendo leva sul capitale di debito e su una sua bassa remunerazione, attraverso il quantitative easing (QE), l’investimento territoriale strategico integrato (ITI) è sembrato un utile strumento di rilancio della crescita urbana europea di fronte alla stagnazione generata dalla crisi. Del tutto simile negli effetti attesi al “moltiplicatore keynesiano”, il QE si pone come key instrument dell’approccio macroeconomico europeo nel quadro disegnato dal Piano Junker. Il calcolo della sua incidenza sulla crescita del Valore Aggiunto Lordo nella città è applicabile anche alla scala regionale con l’aggiunta di variabili georeferenziate a quelle macroeconomiche componenti la domanda aggregata: consumi, investimenti, spesa pubblica. Definite meso quelle regionali e micro quelle locali, esse includono, nelle esperienze europee, i risultati conseguiti da progetti pilota inseriti in atti di pianificazione territoriale e urbana (ESPON INTERSTRAT, 2012), oltre che di programmazione economico-finanziaria, dunque di scelte incentrate su una chiara place based evidence degli investimenti.
Prezioso, M. (2015). Quali investimenti urbani di breve periodo per un futuro europeo di lunga durata. In R. Cappellin, M. Baravelli, M. Bellandi, R. Camagni, E. Ciciotti, E. Marelli (a cura di), Investimenti, innovazione e città: una nuova politica industriale per la crescita (pp. 389-397). Milano : EGEA.
Quali investimenti urbani di breve periodo per un futuro europeo di lunga durata
PREZIOSO, MARIA
2015-06-01
Abstract
Le recenti sfide lanciate dalla politica finanziaria europea (Piano Junker 2014 e Quantitative Easing Draghi 2015) affidano agli investimenti di natura urbana e territoriale un ruolo centrale nel contrasto alla crisi e per l’avvio di un processo stabile ed equilibrato di sviluppo. Il particolare riferimento alla scala urbana aumenta la complessità delle scelte, lasciando inevase questioni di non poca rilevanza: può un processo di investimento, di tipo moltiplicatore, da solo bastare a rilanciare crescita ed occupazione sul breve periodo nelle città? Quali dimensioni urbane, più di altre, sono atte ad avviare sul breve periodo un processo di investimento dagli effetti stabili e duraturi nel tempo? Cosa consente all’investimento urbano di breve periodo di divenire il driver di una prospettiva di lungo termine per la crescita? Queste domande non trovano risposta nel tradizionale modo di investire strategicamente sulla città, ancorato, nella letteratura, ad approcci ancora settoriali dell’economia (soprattutto aziendale) e della progettazione di strutture e funzioni. Il luogo o il territorio, che ne dovrebbe accogliere l’attuazione, è ancora considerato un mero contenitore o la più una ‘quinta’. Poiché molti ignorano o dimenticano che il luogo, e in particolare la città, è la porzione immediatamente visibile di un territorio agli occhi dell’investitore, ignorano o dimenticano il ruolo che la pianificazione gioca nel costruire scenari territoriali per l’ investimento, affinché questo si riveli efficace nel lungo periodo. Com’è nella sua natura, la teoria economica basa le sue argomentazioni sulla conoscenza dei mercati e dei suoi andamenti, le cui incerte prospettive aumentano con l’aumentare del lasso di tempo entro cui si calcola la resa dell’investimento. Al contrario, la teoria della pianificazione e la progettazione hanno bisogno di ragionare in una prospettiva di medio-lungo periodo (ESPON ET2050 project, 2015), affinché la predizione di piano ed il progetto, accompagnato dal relativo investimento, assumano concretezza predittiva. Soprattutto in un’ottica di sostenibilità. Una revisione critica dei due approcci ha evidenziato il conflitto tra “neutralità” dei modelli economici di luogo periodo rispetto a quelli geografico-economici e del planning. La questione era già stata affrontata nell’ambito della geografia della localizzazione a supporto delle politiche industriali che, rilanciando il tema dell’incompatibilità tra approcci “spatial” e “territorial”, riconosceva il peso assunto dalle variabili ambientale e territoriale nelle scelte organizzative della produzione. In particolare si evidenziava la necessità di integrare nelle teorie organizzative dell’insediamento e di localizzazione della produzione l’evidenza e la diversità territoriali secondo un’ottica di interazione tipica dell'analisi sistemica, adottando metodi di studio e di indirizzamento della crescita di tipo multidisciplinare integrato. Questo approccio rende il legame tra investimento economico-finanziario e pianificazione territoriale meno instabile e meno dipendente da fattori quali l’affidabilità politica, la regolamentazione in atto nei diversi contesti, la propensione ad immobilizzare il capitale di proprietà piuttosto che a servirsi di quello di debito. Facendo leva sul capitale di debito e su una sua bassa remunerazione, attraverso il quantitative easing (QE), l’investimento territoriale strategico integrato (ITI) è sembrato un utile strumento di rilancio della crescita urbana europea di fronte alla stagnazione generata dalla crisi. Del tutto simile negli effetti attesi al “moltiplicatore keynesiano”, il QE si pone come key instrument dell’approccio macroeconomico europeo nel quadro disegnato dal Piano Junker. Il calcolo della sua incidenza sulla crescita del Valore Aggiunto Lordo nella città è applicabile anche alla scala regionale con l’aggiunta di variabili georeferenziate a quelle macroeconomiche componenti la domanda aggregata: consumi, investimenti, spesa pubblica. Definite meso quelle regionali e micro quelle locali, esse includono, nelle esperienze europee, i risultati conseguiti da progetti pilota inseriti in atti di pianificazione territoriale e urbana (ESPON INTERSTRAT, 2012), oltre che di programmazione economico-finanziaria, dunque di scelte incentrate su una chiara place based evidence degli investimenti.File | Dimensione | Formato | |
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