La direzione d’orchestra affonda le radici storiche nel XVIII secolo, anche se, nella sua dimensione autonoma, rientra in una tradizione che si presenta all’inizio dell’Ottocento evolvendosi, nel corso del secolo, fino a ricoprire un ruolo centrale nell’ambito dell’interpretazione musicale. Alcune delle varianti di tipo estetico e stilistico furono determinate dal fatto che la prassi interpretativa, per molto tempo, fu unita all’attività creativa, attraverso grandi figure della composizione e del virtuosismo: la stessa evoluzione concertistica nei suoi particolari aspetti, non poté distinguersi dalla gestualità, poiché la loro poetica creativa rappresentò un tutt’uno con lo strumento. Furono gli stessi compositori-virtuosi a determinare i modi, e quindi, la spettacolarità o la comunicazione più intima delle loro performances: ne furono simbolici esempi Niccolò Paganini, Franz Liszt o Fryderyk Chopin. Iniziando da Gaspare Spontini, Carl Maria von Weber o Ludwig Spohr, tuttavia, va sempre più delineandosi la figura del compositore alla testa della compagine orchestrale, sia per quanto riguarda l’opera che la musica sinfonica. A seconda dei periodi dello stesso Ottocento e dei diversi generi musicali, nuove tendenze segnano anche la direzione rispetto a questioni interpretative legate all’ampliarsi degli organici, agli accompagnamenti degli strumenti solistici, delle voci. Si confermano così tradizioni tecnico-espressive più sensibili alla libertà belcantistica o del fraseggio, o maggiormente legate alla disciplina sinfonica e sempre più identificate attraverso la precipua abilità e sensibilità direttoriale. Nell’ampio ambito delle relazioni tra compositori, virtuosi, e direttori, l’attenzione viene qui dunque posta su differenti caratteristiche riferite alla consuetudine teatrale-operistica o puramente strumentale: la direzione della prima esecuzione delle Sinfonie beethoveniane a Parigi da parte di François-Antoine Habenek, letta anche attraverso gli scritti di Hector Berlioz, pose già una questione interpretativa; in tale prospettiva compare anche, sul nascere, il rapporto spesso difficile del solista con il direttore: la questione dell’esecuzione dei Concerti di Chopin che poneva il problema dell’accompagnamento dei “rubato”, a partire da Józef Ksavery Elsner a Carlo Soliva a Varsavia; l’incontro per la diffusione di nuovi repertori quale ad esempio quello di Robert Schumann con Felix Mendelssohn rispetto alla musica sacra e sinfonica. Con la seconda metà dell’Ottocento, le questioni interpretative vertono sempre più sulla pura direzione d’orchestra: così avviene con lo stesso Liszt a Weimar, sia per i repertori che per l’esercizio della direzione, dai propri Poemi sinfonici ai drammi wagneriani o, ad esempio, con Pëtr Il’ič Čajkovskij. In una tale prospettiva, anche per la direzione, si afferma inoltre l’idea di Scuola accanto a quelle degli strumenti solisti. Fa parte del quadro dell’epoca, con lo sdoppiarsi della figura del direttore e del compositore, l’insorgere stesso di questioni che assumono sovente aspetti, oltre che interpretativi, personali: basti ricordare il rapporto Richard Wagner-Hans von Bülow o quello di Giuseppe Verdi con i suoi direttori. E’ comunque certo che, nonostante le differenziazioni di concezione e di stile, l’idea carismatica del direttore d’orchestra, nata nel XIX secolo ed evolutasi nelle sue componenti gestuali e tecnico- espressive, fu per molti anni legata alla tradizione di questi Maestri, ciò almeno sino ai grandi direttori degli anni ‘50-‘60 del Novecento.
Colombati, C. (2014). La figura del direttore d'orchestra nella dimensione storico-estetica dell'Ottocento. In R. Illiano, M. Niccolai (a cura di), Orchestral conducting in the Nineteenth Century (pp. 153-183). Paris : Brepols.
La figura del direttore d'orchestra nella dimensione storico-estetica dell'Ottocento
COLOMBATI, CLAUDIA
2014-01-01
Abstract
La direzione d’orchestra affonda le radici storiche nel XVIII secolo, anche se, nella sua dimensione autonoma, rientra in una tradizione che si presenta all’inizio dell’Ottocento evolvendosi, nel corso del secolo, fino a ricoprire un ruolo centrale nell’ambito dell’interpretazione musicale. Alcune delle varianti di tipo estetico e stilistico furono determinate dal fatto che la prassi interpretativa, per molto tempo, fu unita all’attività creativa, attraverso grandi figure della composizione e del virtuosismo: la stessa evoluzione concertistica nei suoi particolari aspetti, non poté distinguersi dalla gestualità, poiché la loro poetica creativa rappresentò un tutt’uno con lo strumento. Furono gli stessi compositori-virtuosi a determinare i modi, e quindi, la spettacolarità o la comunicazione più intima delle loro performances: ne furono simbolici esempi Niccolò Paganini, Franz Liszt o Fryderyk Chopin. Iniziando da Gaspare Spontini, Carl Maria von Weber o Ludwig Spohr, tuttavia, va sempre più delineandosi la figura del compositore alla testa della compagine orchestrale, sia per quanto riguarda l’opera che la musica sinfonica. A seconda dei periodi dello stesso Ottocento e dei diversi generi musicali, nuove tendenze segnano anche la direzione rispetto a questioni interpretative legate all’ampliarsi degli organici, agli accompagnamenti degli strumenti solistici, delle voci. Si confermano così tradizioni tecnico-espressive più sensibili alla libertà belcantistica o del fraseggio, o maggiormente legate alla disciplina sinfonica e sempre più identificate attraverso la precipua abilità e sensibilità direttoriale. Nell’ampio ambito delle relazioni tra compositori, virtuosi, e direttori, l’attenzione viene qui dunque posta su differenti caratteristiche riferite alla consuetudine teatrale-operistica o puramente strumentale: la direzione della prima esecuzione delle Sinfonie beethoveniane a Parigi da parte di François-Antoine Habenek, letta anche attraverso gli scritti di Hector Berlioz, pose già una questione interpretativa; in tale prospettiva compare anche, sul nascere, il rapporto spesso difficile del solista con il direttore: la questione dell’esecuzione dei Concerti di Chopin che poneva il problema dell’accompagnamento dei “rubato”, a partire da Józef Ksavery Elsner a Carlo Soliva a Varsavia; l’incontro per la diffusione di nuovi repertori quale ad esempio quello di Robert Schumann con Felix Mendelssohn rispetto alla musica sacra e sinfonica. Con la seconda metà dell’Ottocento, le questioni interpretative vertono sempre più sulla pura direzione d’orchestra: così avviene con lo stesso Liszt a Weimar, sia per i repertori che per l’esercizio della direzione, dai propri Poemi sinfonici ai drammi wagneriani o, ad esempio, con Pëtr Il’ič Čajkovskij. In una tale prospettiva, anche per la direzione, si afferma inoltre l’idea di Scuola accanto a quelle degli strumenti solisti. Fa parte del quadro dell’epoca, con lo sdoppiarsi della figura del direttore e del compositore, l’insorgere stesso di questioni che assumono sovente aspetti, oltre che interpretativi, personali: basti ricordare il rapporto Richard Wagner-Hans von Bülow o quello di Giuseppe Verdi con i suoi direttori. E’ comunque certo che, nonostante le differenziazioni di concezione e di stile, l’idea carismatica del direttore d’orchestra, nata nel XIX secolo ed evolutasi nelle sue componenti gestuali e tecnico- espressive, fu per molti anni legata alla tradizione di questi Maestri, ciò almeno sino ai grandi direttori degli anni ‘50-‘60 del Novecento.File | Dimensione | Formato | |
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