Atti 113° congresso SIC 2011 Topic: CHIRURGIA SENZA SANGUE POSSIBILITA' E LIMITI Autori: ROBERTO FIORITO, ALESSANDRO FABRIZIO SABATO, VALERIO CERVELLI Istituzione: DIPARTIMENTO DI SCIENZE CHIRURGICHE CATTEDRA DI CHIRURGIA GENERALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI TOR VERGATA VIA MONTPELLIER 1 00133 ROMA Autore di Riferimento: ROBERTO FIORITO E-Mail Autore di Riferimento: fiorito@med.uniroma2.it Titolo Relazione: LE RAGIONI DI UNA RICERCA E DI UNA SPERANZA: LA CHIRURGIA SENZA SANGUE SICURA, CONVENIENTE, ETICA. NOSTRA ESPERIENZA Introduzione Già nei tempi antichi (3000-4000 a.C) nei popoli dell’antico Egitto e tra i guerrieri tribali amazzonici era in uso l’assunzione orale di sangue di provenienza animale o umana per la convinzione di poter così possedere in toto il potere taumaturgico-magico contenuto nel sangue. Tale pratica, già sperimentata dai greci, fu conosciuta nella cultura occidentale al tempo di Galeno (I°sec. d.C) ma soltanto nel XVI sec. si iniziò la pratica delle emotrasfusioni (Inghilterra-Francia) come trattamento terapeutico, tanto pubblicizzata come efficace trattamento rinvigorente che anche un Papa (Papa Innocenzo VII) si convinse e si sottopose personalmente al trattamento [1]. Da allora molto si è studiato e scoperto. Nel 1750 Harvey [2] scrisse il primo tomo specialistico dal titolo Anatomy and physiology of the circulatory system e il dr. Wren’s [3] subito dopo scrisse The development of a transfusion technology cioè la prima tecnica di emotrasfusione animale-uomo o uomo-uomo usata terapeuticamente anche per curare le malattie mentali. Purtroppo tale metodica non fu molto apprezzata dal mondo accademico e fu bandita per oltre un secolo a causa dei risultati insoddisfacenti e la comparsa di gravissime complicanze. Soltanto nel 1900, grazie agli esperimenti di Blundell si incominciò a riconsiderare l’efficacia delle emotrasfusioni nel trattamento delle emorragie post-partum e postoperatorie. Queste dimostrazioni furono tanto efficaci che lo stesso Blundell viene tuttora considerato il padre della moderna emotrasfusione [5-7]. Nel 1900 il dr. Karl Landsteiner scoprì the A,B,O blood groups e l’emotrasfusione venne accettata definitivamente dalla comunità accademica come valido presidio terapeutico per trattare lo shock ipovolemico e lo shock settico, utilizzando le prime cannule intravasali o anastomosi artero-venose dirette uomo-uomo [6]. La correzione dell’ipovolemia con reintegro del volume ematico, trovò la sua prima gloriosa applicazione durante la I Guerra Mondiale, quando per necessità si utilizzarono sia le emotrasfusioni sia le infusioni di soluzioni saline isotoniche. Nel 1937 venne fondata a Chicago la prima emoteca mondiale: The Cook Country Hospital e fu del 1939 la scoperta degli Rh groups [8]. Durante la II Guerra Mondiale, la sanità militare dell’esercito americano cominciò a utilizzare le soluzioni saline a base di citrati e i cosiddetti plasma expanders, per reintegrare l’ipovolemia secondaria a emorragie profuse. Nel 1950 si registrarono le prime complicanze infettive (epatiti) post-trasfusionali. Nel 1980 venne scoperto il virus-retrovirus HIV, poi identificato in circa 70 ceppi differenti e responsabile dell’insorgenza dell’AIDS. All’inizio si pensò che tale virus avesse un serbatoio epidemiologico soltanto in 2 categorie di soggetti: quelli con comportamenti promiscui e gli emotrasfusi. Fummo però soltanto all’inizio della percezione della gravità delle patologie derivanti dalle emotrasfusioni e dalle problematiche inerenti la scarsità delle riserve ematiche e i relativi costi, nonché ancora lontani dal rispetto delle convinzioni personali ma anche etiche e religiose di una parte della popolazione che sempre più chiede di non essere trasfusa in condizioni di necessità. Pertanto, la chirurgia senza sangue (bloodless surgery) nacque negli ospedali americani all’inizio degli anni Ottanta, per la necessità di minimizzare l’uso trasfusionale di sangue omologo e per la ricerca di una sapiente alternativa che riducesse o eliminasse tutti i rischi infettivi e non legati alle emotrasfusioni [9]. Inoltre la bloodless surgery, oltre che a far fronte alle difficoltà di reperimento e all’alto costo di sangue omologo, tenta di rispondere alle esigenze di carattere etico e alle convinzioni religiose, spesso inascoltate, di una certa parte della popolazione [10]. Materiali e metodi Il nostro studio, dopo aver evidenziato e informato i possibili candidati all’inserimento nel protocollo proposto, sia dei rischi inerenti le emotrasfusioni sia delle possibili complicanze secondarie all’omissione di emotrasfusione o emoderivati in caso di necessità, si basa su una specifica preparazione preoperatoria e poi sull’esecuzione, in interventi di elezione, della “chirurgia senza sangue”, nel rispetto rigoroso di alcuni protocolli definiti da linee guida internazionali e precedentemente concordati con i pazienti. Il protocollo proposto è stato studiato e applicato in pieno accordo del team chirurgico-anestesiologico. I pazienti candidati, hanno sottoscritto un consenso informato accuratamente dettagliato. Il campione esaminato constava di 31 pazienti reclutati da aprile 2008 a dicembre 2010, di cui 5 testimoni di Geova, tutti studiati, accuratamente selezionati e valutati anestesiologicamente. Sono stati quindi distribuiti per sesso, patologie, valutazione preoperatoria dei parametri ematici, convinzioni etiche o religiose e inseriti nei vari gruppi di studio previsti dal nostro protocollo. Tali pazienti presentavano un’età variabile (28-75 anni - range 51,2 anni) e risultavano affetti da patologie neoplastiche variamente rappresentate. I testimoni di Geova sono stati ampiamente informati dei rischi legati al non uso di auto-emotrasfusione ed emoderivati in caso di necessità ed è stata loro richiesta una liberatoria scritta di responsabilità, aggiuntiva al consenso informato. Il campione reclutato contava 18 uomini e 13 donne. Distribuiti per patologie e sesso, gli uomini erano affetti da carcinoma del colon (14), carcinoma gastrico (3) e carcinoma del pancreas (1). Le donne reclutate erano interessate da fibroma uterino (4), poliposi familiare del colon (1), carcinoma della mammella (3), carcinoma del pancreas (1), carcinoma gastrico (1) e carcinoma del colon (3). Dei 18 uomini, 2 erano testimoni di Geova e affetti da carcinoma del colon e carcinoma del pancreas. Delle 13 donne, 3 erano testimoni di Geova e affette da fibroma dell’utero, cacinoma gastrico e carcinoma del pancreas. Tutti i pazienti, contrari alle emotrasfusioni con motivazioni e convinzioni diversificate, sono stati accuratamente studiati e orientati in 4 gruppi. I primi 3 gruppi sono stati preparati all’intervento chirurgico con schemi terapeutici personalizzati atti a sostenere o espandere i parametri ematici, conditio sine qua non per eseguire in serenità l’intervento chirurgico dell’asportazione neoplastica. In particolare: 5 pazienti (1 carcinoma colon, 3 fibromi utero, 1 poliposi familiare colon) (Hb >12,5 g/dl) sono stati sottoposti a prelievo ematico di 2 unità di sangue omologo costituente un “pre-deposito ematico” che è stato re-infuso (auto-trasfusione) al termine dell’intervento o nell’immediato post-operatorio (24-48 h); 16 pazienti reclutati sono stati suddivisi in 2 sottogruppi; un gruppo di 13 pazienti (3 carcinomi della mammella, 7 carcinomi del colon, 1 carcinoma gastrico + 2 testimoni Geova affetti 1 da carcinoma del pancreas, 1 fibroma dell’utero) è stato preparato pre-operatoriamente x 4 settimane con l’applicazione di un protocollo codificato secondo direttive EBM, che consiste nella somministrazione per 4 settimane preoperatorie di estratti cortico-surrenalici associati a terapia marziale (ferrigluconato di Na 62,5 mg/x 3/os die) e folati (cps 5 mg/os die), con l’aggiunta di Vit B12 1 mg/im a giorni alterni x 2 settimane precedenti l’intervento; un gruppo di 3 pazienti (2 carcinomi gastrici ,1 carcinoma del colon) è stato sottoposto preoperatoriamente per 4 settimane alla somministrazione di EPO (10 000 UI/sc x 2 a settimana) associata a terapia marziale (ferrigluconato di Na 62,5 mg/x 3/os die) e folati (cps 5 mg/os die), congiuntamente alla Vit B12 1 mg/im somministrata a giorni alterni x 2 settimane preoperatorie. L’ultimo gruppo reclutava 10 pazienti (di cui 7 con carcinoma del colon + 3 testimoni Geova affetti 1 da carcinoma gastrico e 1 da carcinoma del colon, 1 carcinoma del pancreas) (Hb >12,5 g/dl) che volutamente non sono stati preparati preoperatoriamente perché, se necessario, sarebbero stati sottoposti a una “emo-diluizione intra-operatoria”. A tutti i pazienti è stata consigliata una dieta iperproteica preoperatoria da intraprendere almeno 30 giorni prima della data dell’intervento programmato. Nel gruppo non erano presenti pazienti con terapia anticoagulante in atto. In tutti i pazienti è stato intrapreso un trattamento profilattico antitrombotico utilizzando eparina a basso peso molecolare ai più bassi dosaggi consentiti, iniziato 24 h prima dell’intervento e mantenuto per le successive 3 settimane postoperatorie. Tutti i pazienti sono stati sottoposti all’intervento chirurgico programmato previa esecuzione di anestesia generale ed è stato loro posizionato un saturimetro digitale mantenuto sia intraoperatoriamente che per le 48 h successive. La decisione del protocollo trasfusionale o alternativo, sia intra- che postoperatorio, è stata presa in pieno accordo del team chirurgico-anestesiologico. È stato altresì intrapreso un trattamento antibiotico (amoxicillina 2gr/ev + ac. clavulanico 200 mg/ev) in profilassi (1 h prima intervento) e mantenimento (ogni 8 h x 48 h). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad analgesia “in infusione continua” nell’immediato (48 h) postoperatorio. Sono stati mobilizzati precocemente (entro 48 h) e, quando possibile, orientati il più velocemente possibile a riprendere l’alimentazione iperproteica già iniziata preoperatoriamente. Risultati Sono stati eseguiti in open 31 interventi di chirurgia maggiore di exeresi neoplastica con ricostruzione one single step, quando necessario, così rappresentati: 1 colectomia totale (poliposi familiare colon); 14 resezioni sec. Hartmann (carcinoma del colon); 3 colectomie destre (cacinoma del colon dx) ; 4 isterectomie (fibromi utero); 3 mastectomie sec. Patey (carcinoma della mammella); 3 gastrectomie totali (carcinoma gastrico); 1 gastrectomia subtotale (cacrcinoma early prepiloro); 2 duodenocefalopancreasectomie (carcinoma del pancreas); 6 interventi di chirurgia media collaterale (2 interventi di colecistectomie; 4 interventi di confezionamento di plastiche x laparoceli). Sono stati seguiti pedissequamente i cardini fondamentali della bloodless surgery eseguendo: dissezione accurata con identificazione e rispetto dei piani anatomici; legature vasali appropriate; utilizzo di strumenti idonei (prevalentemente bisturi RF quando disponibile) nel controllo del sanguinamento; posizionamento di drenaggi (spia), a caduta o in aspirazione a seconda dell’intervento, in tutti i pazienti; accurato controllo emostatico e utilizzo di colla di fibrina o applicazioni similari, quando necessario. Come stabilito nel protocollo non è stato però fatto uso di alcun emoderivato nei pazienti contrari all’utilizzo o identificati come testimoni di Geova. La dissezione chirurgica è stata accurata nel seguire i principi Halstadiani di identificazione e pieno rispetto dei piani anatomici. Sono state eseguite, forse anche in eccesso, attente legature vasali. È stato effettuato un accurato controllo dell’emostasi in tutti gli interventi che, in qualche caso (2 interventi di colectomia sec. Hartmann e 2 interventi di duodenocefalopancreasectomia), hanno comportato un discreto incremento dei tempi operatori (+30/50 minuti), cui è seguita la sutura della parete a strati. I parametri ematici precedentemente identificati preoperatoriamente (Hb, MCV, RBC, WBC, Hct, PT, PTT) sono stati controllati intr-operatoriamente e nell’immediato postoperatorio (ogni 8 h x 72 h) e a distanza di 7 e 30 giorni dall’intervento. In particolare, in 15 pazienti abbiamo registrato discreto sanguinamento con variazione di concentrazione sia di Hb sia di Hct. Di questi, 5 pazienti (1 poliposi familiare del colon, 3 fibromi utero, 1 carcinoma del colon), tutti non testimoni di Geova, hanno subito perdite ematiche intraoperatorie significative (volume perso = 1100 ± 300 ml) con rilevanti variazioni di Hb (range 13-6,5 g/dl) e Hct (39-24%) e pertanto sono stati sottoposti a reintegro della volemia anche con reinfusione delle 2 UI di sangue intero precedentemente ottenuto e depositato. I restanti 10 pazienti (7 carcinomi del colon + 3 testimoni di Geova con 1 cacrcinoma del colon, 1 carcinoma gastrico,1 carcinoma del pancreas) hanno registrato perdite ematiche intraoperatorie discrete (volume perso = 500 ± 300 ml) (Hb range 12,5-8 g/dl) corrette con la sola emodiluizione intraoperatoria (2000-4000 ml) preferendo Ringer Lattato/SF nel rapporto di 3:1. Dai controlli postoperatori dei parametri ematici prefissati (ogni 8 h x 72 h), è emersa una lenta ma progressiva risalita di Hb e Hct per cui non è stato necessario ricorrere ad alcuna emotrasfusione aggiuntiva o infusione di emoderivati nel postoperatorio. Tutti questi 15 pazienti sono stati sottoposti a osservazione clinica cautelativa (6-8 h) nell’unità di TI, prima di rientrare nel reparto di appartenenza, tranne 2 casi (1 duodenocefalopancreasectomia, 1 gastrectomia totale) che hanno necessitato di un periodo di osservazione più lungo (12-36 h). I pazienti (13 di cui: 3 carcinomi della mammella, 7 carcinomi del colon, 1 cacrinoma gastrico + 2 testimonidi Geova con 1 cacrinoma del pancreas e 1 fibroma utero) reclutati nel protocollo estratti cortico-surrenalici + terapia marziale + folati + Vit. B12, non hanno presentato le condizioni per necessitare di terapia emotrasfusionale. I pazienti (3) trattati preoperatoriamente con EPO (2 cacrinomi gastrici, 1 carcinoma del colon), pur registrando un modico sanguinamento intraoperatorio con lieve abbassamento Hb (in media di 1-1,5 g/dl), non hanno necessitato di terapia infusionale aggiuntiva. Abbiamo però segnalato, già nelle prime 72 ore postoperatorie, uno sgradevole effetto post-operatorio collaterale costituito da un rialzo pressorio prevalentemente diastolico che ha necessitato di opportuno trattamento antiipertensivo continuato per tutto il tempo dell’ospedalizzazione. In tutti i pazienti sono stati eseguiti prelievi per controlli di emogasanalisi e equilibrio acido-base. I prelievi sono stati sia intraoperatori sia postoperatori (ogni 12 ore x 72 ore). Tutti i 15 pazienti che hanno subito un importante o discreto sanguinamento e sono stati sottoposti o a infusione del predeposito di sangue omologo o a emodiluizione intraoperatoria integrata da infusione di plasma (non nei testimoni di Geova), sono stati sottoposti a ossigenoterapia a più alti volumi di erogazione (3,5-4 l/min) x 72 ore. Non c’è stata una significativa differenza ematochimica (valutata con emogasanalisi) rispetto i pazienti esentati da O2, ma abbiamo segnalato un’importante differenza clinica con un recupero più precoce. Non abbiamo registrato alcuna mortalità o ulteriore complicanza intra-perioperatoria (7-30 giorni) degna di rilievo. Discussione Dopo lunghi studi e ricerche [11], alla luce delle conoscenze attuali, possiamo esattamente identificare i rischi e le complicanze post-trasfusionali e possiamo inquadrarle in: patologie acute non infettive; patologie acute infettive; immunodeficienze e immunomodulazione; aumentato del rischio neoplastico con riduzione del free-time sia dell’insorgenza primitiva che secondaria delle ripetizioni neoplastiche rispetto i soggetti non trasfusi. Tra le patologie acute non infettive possiamo annoverare: reazioni emolitiche trasfusionali; febbri non emolitiche; reazioni allergiche; reazioni anafilattiche; polmonite acuta post-trasfusionale; reazioni emolitiche trasfusionali ritardate; porpora post-trasfusionale. Ognuna di esse presenta un preciso quadro clinico, a comparsa post-trasfusionale variabile (range: 2-240 h, reazione emolitica trasfusionale = 120 min, porpora post-trasfusionale = 5-10 giorni) e mortalità anche essa variabile. Le patologie acute infettive vedono l’insorgenza di patologie imputabili a: agenti infettivi emergenti (HIV, TSE, BSE); agenti infettivi re-emergenti (West Nile Virus); agenti infettivi sub-emergenti (virus epatopatici, GBV-A/B/C, HGV, TTV, SENV). Immunodeficienze e immunomodulazione sono causate dalla forte azione immunodepressiva scatenata dall’emotrasfusione, responsabile di: abbassamento conta GB; soppressione linfociti T; alterazione rapporto linfociti helper/suppressor; soppressione linfociti B. Da ciò ne consegue riattivazione virus latenti; aumentata morbilità da patologie infettive; aumentata morbilità e mortalità postoperatoria; recrudescenza neoplastica con ridotto disease free-time postoperatorio [12-18]. Nella ricerca di protocolli atti a sostenere le “strategie alternative” alle emotrasfusioni, è fondamentale la dimostrazione che la mortalità intraoperatoria è indipendente dai valori preoperatori dell’ematocrito ed è direttamente correlata alla perdita ematica intraoperatoria [19]. Vari studi dimostrano ancora che la funzionalità cardiaca e la morbilità e mortalità postoperatoria, sono inversamente correlate non tanto alla concentrazione di emoglobina quanto fondamentalmente alla concentrazione dell’ossigeno. Ciò spiegherebbe sia la mortalità in corso di sepsi sia perchè alcuni pazienti riuscirebbero a sopportare bassi livelli di emoglobina [20-22]. Risulta pertanto estremamente attinente, la proposta dell’applicazione del Protocollo definito dall’acronimo PBRANA (Procedure, Benefits, Risks, Answer, Need, Alternatives) [9]. Esso si fonda sulla valutazione dell’eventuale necessità dell’emotrasfusione nonchè delle analisi dei benefici e dei rischi correlati correttamente personalizzati ed espressi a ogni singolo paziente candidato a una trasfusione di sangue o a suoi derivati. Si fonda altresì sull’individuazione di pratiche alternative alle emotrasfusioni cercando di delinearne le principali linee guida: reduce exposure; eliminate/reduce blood loss: evaluate patient before surgery; stop anticoagulants and antiplatelets drugs; intraoperative philosophy: anaesthetic approach: hemodiluition; halstedian principles; pharmacological agents; use blood; autologous predonation; autotransfusion (washed e non washed system); restore rbc mass: iron replacement; nutrition; erythropoietin; use blood substitutes: plasma substitutes; hemoglobin-based solution; perfluorocarbon substitutes. Nel nostro studio abbiamo utilizzato un protocollo PBRANA e, anche se abbiamo preferito un approccio a volte sottostimato e/o diverso rispetto quello consigliato da altri [23, 24], abbiamo fatto tesoro di tutte le ricerche attinenti, per intraprendere uno studio che, anche se iniziale, condotto su un campione esiguo candidato all’esecuzione di interventi programmati in sola elezione, ci ha dato importanti soddisfazioni in linea con i risultati più recenti pubblicati in letteratura [25, 26] validando che: la funzionalità cardiaca e la mortalità sono indipendenti dai valori preoperatori dell’ematocrito e direttamente correlati alla concentrazione di ossigeno legato-libero disponibile; molti pazienti tollerano bassi livelli di emoglobina (<8,5 g/dl) senza necessitare di emotrasfusioni; è possibile preparare adeguatamente all’intervento ogni singolo paziente con appropriatezza e personalizzazione del protocollo alternativo all’emotrasfusione; è possibile utilizzare protocolli alternativi all’emotrasfusione nel rispetto di convinzioni etiche o religiose. Conclusioni La chirurgia senza sangue (bloodless surgery) è nata per minimizzare l’uso trasfusionale di sangue omologo o meglio per sollecitare gli addetti ai lavori al “buon uso del sangue”. Si avvale della ricerca attenta di una sapiente alternativa che riduca o elimini tutti i rischi infettivi e non, legati alle emotrasfusioni. Inoltre, la bloodless surgery, oltre che a far fronte alle difficoltà di reperimento e alto costo di sangue omologo, tenta di rispondere anche alle esigenze di carattere etico e alle convinzioni religiose, spesso inascoltate, di una certa parte della popolazione. Pertanto esistono valide ragioni per investire culturalmente e tecnicamente in procedure e/o protocolli che puntino a un oculato e selezionato impiego delle emotrasfusioni (buon uso). Sarebbe altresì auspicabile sia la promozione di corsi di formazione per operatori sanitari sia la creazione di centri di eccellenza ove eseguire di routine “la chirurgia senza sangue”. Ringraziamenti Gli Autori ringraziano sentitamente il Prof. Pace Alessio per la preziosa collaborazione chirurgica fornita. Conflitto di interesse Nessuno Bibliografia Wintrobe MM (ed) (1908) A history of blood transfusion. Blood pure and eloquent. Mc Graw-Hill, New York, pp 659-683 Harvey W (ed) (1608) Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus. Fitzeri, Frankfurt, pp 17-72 Keynes G (ed) (1949) The history of blood transfusion. In: Blood transfusion. John Wright & Sons, Bristol, pp 1-49 Purmann MG, Lorbeer Krantz oder Wund Artzinei (eds) (1705) Human being to human being and animal to human being transfusions. Frankfurt Blundell J (1818) Experiments on the transfusion of blood by the syringe. MedicoChirugical Transactions IX:56-92 Crile GW (1909) Hemorrhage and transfusion. D. Appleton, New York, pp 1-560 Lister J (1867) On the antiseptic principle in the practice of surgery. BMJ 2:246-250 Weiner AS (ed) (1946) Blood groups and transfusion. Springfield, Illinois Spence RK, Cernaiaianu AC, Carson J, Del Rossi AJ (1993) Transfusion and surgery. Curr Probl Surg 12:1105-1123 Sarteschi LM (2004) Jehovah’s witnesses, blood transfusion and transplantation. Transpl Proc 36:499-501 Fiorito R, Sarteschi LM (2004) Chirurgia senza sangue: le ragioni di una ricerca. ALR 13:97-110 Jysz M (2000) Blood transfusions in breast cancer patients undergoing mastectomy: possible importance of timing. J Surg Oncol 75:258-263 Nash GF et al (2002) Stored blood products stimulate cancer growth. Br J Surg 89:16-19 Nosotti M, Rebulla P, Riccardi D et al (2003) Correlation between perioperative blood transfusion and prognosis of patients subjected to surgery for stage I lung cancer. Cancer 124:102-107 Svendsen MN, Werther K, Nielsen HJ, Kristjansen PE (2002) VEGF and tumour angiogenesis. Impact of surgery, wound healing, inflammation and blood transfusion. Scand J Gastroenterol 37:373-379 Motoyama S, Okuyama M, Kitamura M et al (2004) Use of autologous instead of allogenic blood transfusion during esophagectomy prolongs disease - free survival among patients with recurrent esophageal cancer. J Surg Oncol 87:26-31 Hyung WJ, Noh SH, Shin DW et al (2002) Adverse effects of perioperative transfusion on patients with stage III or IV gastric cancer. Ann Surg Oncol 9:5-12 Park SJ, Kim SW, Jang JY et al (2002) Intraoperative transfusion: is it a real prognostic factor of periampullary cancer following pancreatoduodenectomy? World J Surg 26:487-492 Corwin HL, Gettinger A, Pearl RG et al (2004) Anemia and blood transfusion in the critically ill - current clinical practise in the US. Crit Care Med 32:39-52 Marik PE, Sibbald WJ (1993) Effect of stored blood transfusion on oxygen delivery in patients with sepsis.JAMA 269:3024-3029 Alvarez G, Hébert PC, Szick S (2001) Transfusing to normal haemoglobin levels will not improbe cardiac outcome. 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Fiorito, R. (2011). BloodLess Surgery : a reason to research and to hope.Our experience.. In 113mo Congresso Nazionale della Societa' Italiana di Chirurgia. Milano : Springer -Verlag -Italia.

BloodLess Surgery : a reason to research and to hope.Our experience.

FIORITO, ROBERTO
2011-01-01

Abstract

Atti 113° congresso SIC 2011 Topic: CHIRURGIA SENZA SANGUE POSSIBILITA' E LIMITI Autori: ROBERTO FIORITO, ALESSANDRO FABRIZIO SABATO, VALERIO CERVELLI Istituzione: DIPARTIMENTO DI SCIENZE CHIRURGICHE CATTEDRA DI CHIRURGIA GENERALE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI TOR VERGATA VIA MONTPELLIER 1 00133 ROMA Autore di Riferimento: ROBERTO FIORITO E-Mail Autore di Riferimento: fiorito@med.uniroma2.it Titolo Relazione: LE RAGIONI DI UNA RICERCA E DI UNA SPERANZA: LA CHIRURGIA SENZA SANGUE SICURA, CONVENIENTE, ETICA. NOSTRA ESPERIENZA Introduzione Già nei tempi antichi (3000-4000 a.C) nei popoli dell’antico Egitto e tra i guerrieri tribali amazzonici era in uso l’assunzione orale di sangue di provenienza animale o umana per la convinzione di poter così possedere in toto il potere taumaturgico-magico contenuto nel sangue. Tale pratica, già sperimentata dai greci, fu conosciuta nella cultura occidentale al tempo di Galeno (I°sec. d.C) ma soltanto nel XVI sec. si iniziò la pratica delle emotrasfusioni (Inghilterra-Francia) come trattamento terapeutico, tanto pubblicizzata come efficace trattamento rinvigorente che anche un Papa (Papa Innocenzo VII) si convinse e si sottopose personalmente al trattamento [1]. Da allora molto si è studiato e scoperto. Nel 1750 Harvey [2] scrisse il primo tomo specialistico dal titolo Anatomy and physiology of the circulatory system e il dr. Wren’s [3] subito dopo scrisse The development of a transfusion technology cioè la prima tecnica di emotrasfusione animale-uomo o uomo-uomo usata terapeuticamente anche per curare le malattie mentali. Purtroppo tale metodica non fu molto apprezzata dal mondo accademico e fu bandita per oltre un secolo a causa dei risultati insoddisfacenti e la comparsa di gravissime complicanze. Soltanto nel 1900, grazie agli esperimenti di Blundell si incominciò a riconsiderare l’efficacia delle emotrasfusioni nel trattamento delle emorragie post-partum e postoperatorie. Queste dimostrazioni furono tanto efficaci che lo stesso Blundell viene tuttora considerato il padre della moderna emotrasfusione [5-7]. Nel 1900 il dr. Karl Landsteiner scoprì the A,B,O blood groups e l’emotrasfusione venne accettata definitivamente dalla comunità accademica come valido presidio terapeutico per trattare lo shock ipovolemico e lo shock settico, utilizzando le prime cannule intravasali o anastomosi artero-venose dirette uomo-uomo [6]. La correzione dell’ipovolemia con reintegro del volume ematico, trovò la sua prima gloriosa applicazione durante la I Guerra Mondiale, quando per necessità si utilizzarono sia le emotrasfusioni sia le infusioni di soluzioni saline isotoniche. Nel 1937 venne fondata a Chicago la prima emoteca mondiale: The Cook Country Hospital e fu del 1939 la scoperta degli Rh groups [8]. Durante la II Guerra Mondiale, la sanità militare dell’esercito americano cominciò a utilizzare le soluzioni saline a base di citrati e i cosiddetti plasma expanders, per reintegrare l’ipovolemia secondaria a emorragie profuse. Nel 1950 si registrarono le prime complicanze infettive (epatiti) post-trasfusionali. Nel 1980 venne scoperto il virus-retrovirus HIV, poi identificato in circa 70 ceppi differenti e responsabile dell’insorgenza dell’AIDS. All’inizio si pensò che tale virus avesse un serbatoio epidemiologico soltanto in 2 categorie di soggetti: quelli con comportamenti promiscui e gli emotrasfusi. Fummo però soltanto all’inizio della percezione della gravità delle patologie derivanti dalle emotrasfusioni e dalle problematiche inerenti la scarsità delle riserve ematiche e i relativi costi, nonché ancora lontani dal rispetto delle convinzioni personali ma anche etiche e religiose di una parte della popolazione che sempre più chiede di non essere trasfusa in condizioni di necessità. Pertanto, la chirurgia senza sangue (bloodless surgery) nacque negli ospedali americani all’inizio degli anni Ottanta, per la necessità di minimizzare l’uso trasfusionale di sangue omologo e per la ricerca di una sapiente alternativa che riducesse o eliminasse tutti i rischi infettivi e non legati alle emotrasfusioni [9]. Inoltre la bloodless surgery, oltre che a far fronte alle difficoltà di reperimento e all’alto costo di sangue omologo, tenta di rispondere alle esigenze di carattere etico e alle convinzioni religiose, spesso inascoltate, di una certa parte della popolazione [10]. Materiali e metodi Il nostro studio, dopo aver evidenziato e informato i possibili candidati all’inserimento nel protocollo proposto, sia dei rischi inerenti le emotrasfusioni sia delle possibili complicanze secondarie all’omissione di emotrasfusione o emoderivati in caso di necessità, si basa su una specifica preparazione preoperatoria e poi sull’esecuzione, in interventi di elezione, della “chirurgia senza sangue”, nel rispetto rigoroso di alcuni protocolli definiti da linee guida internazionali e precedentemente concordati con i pazienti. Il protocollo proposto è stato studiato e applicato in pieno accordo del team chirurgico-anestesiologico. I pazienti candidati, hanno sottoscritto un consenso informato accuratamente dettagliato. Il campione esaminato constava di 31 pazienti reclutati da aprile 2008 a dicembre 2010, di cui 5 testimoni di Geova, tutti studiati, accuratamente selezionati e valutati anestesiologicamente. Sono stati quindi distribuiti per sesso, patologie, valutazione preoperatoria dei parametri ematici, convinzioni etiche o religiose e inseriti nei vari gruppi di studio previsti dal nostro protocollo. Tali pazienti presentavano un’età variabile (28-75 anni - range 51,2 anni) e risultavano affetti da patologie neoplastiche variamente rappresentate. I testimoni di Geova sono stati ampiamente informati dei rischi legati al non uso di auto-emotrasfusione ed emoderivati in caso di necessità ed è stata loro richiesta una liberatoria scritta di responsabilità, aggiuntiva al consenso informato. Il campione reclutato contava 18 uomini e 13 donne. Distribuiti per patologie e sesso, gli uomini erano affetti da carcinoma del colon (14), carcinoma gastrico (3) e carcinoma del pancreas (1). Le donne reclutate erano interessate da fibroma uterino (4), poliposi familiare del colon (1), carcinoma della mammella (3), carcinoma del pancreas (1), carcinoma gastrico (1) e carcinoma del colon (3). Dei 18 uomini, 2 erano testimoni di Geova e affetti da carcinoma del colon e carcinoma del pancreas. Delle 13 donne, 3 erano testimoni di Geova e affette da fibroma dell’utero, cacinoma gastrico e carcinoma del pancreas. Tutti i pazienti, contrari alle emotrasfusioni con motivazioni e convinzioni diversificate, sono stati accuratamente studiati e orientati in 4 gruppi. I primi 3 gruppi sono stati preparati all’intervento chirurgico con schemi terapeutici personalizzati atti a sostenere o espandere i parametri ematici, conditio sine qua non per eseguire in serenità l’intervento chirurgico dell’asportazione neoplastica. In particolare: 5 pazienti (1 carcinoma colon, 3 fibromi utero, 1 poliposi familiare colon) (Hb >12,5 g/dl) sono stati sottoposti a prelievo ematico di 2 unità di sangue omologo costituente un “pre-deposito ematico” che è stato re-infuso (auto-trasfusione) al termine dell’intervento o nell’immediato post-operatorio (24-48 h); 16 pazienti reclutati sono stati suddivisi in 2 sottogruppi; un gruppo di 13 pazienti (3 carcinomi della mammella, 7 carcinomi del colon, 1 carcinoma gastrico + 2 testimoni Geova affetti 1 da carcinoma del pancreas, 1 fibroma dell’utero) è stato preparato pre-operatoriamente x 4 settimane con l’applicazione di un protocollo codificato secondo direttive EBM, che consiste nella somministrazione per 4 settimane preoperatorie di estratti cortico-surrenalici associati a terapia marziale (ferrigluconato di Na 62,5 mg/x 3/os die) e folati (cps 5 mg/os die), con l’aggiunta di Vit B12 1 mg/im a giorni alterni x 2 settimane precedenti l’intervento; un gruppo di 3 pazienti (2 carcinomi gastrici ,1 carcinoma del colon) è stato sottoposto preoperatoriamente per 4 settimane alla somministrazione di EPO (10 000 UI/sc x 2 a settimana) associata a terapia marziale (ferrigluconato di Na 62,5 mg/x 3/os die) e folati (cps 5 mg/os die), congiuntamente alla Vit B12 1 mg/im somministrata a giorni alterni x 2 settimane preoperatorie. L’ultimo gruppo reclutava 10 pazienti (di cui 7 con carcinoma del colon + 3 testimoni Geova affetti 1 da carcinoma gastrico e 1 da carcinoma del colon, 1 carcinoma del pancreas) (Hb >12,5 g/dl) che volutamente non sono stati preparati preoperatoriamente perché, se necessario, sarebbero stati sottoposti a una “emo-diluizione intra-operatoria”. A tutti i pazienti è stata consigliata una dieta iperproteica preoperatoria da intraprendere almeno 30 giorni prima della data dell’intervento programmato. Nel gruppo non erano presenti pazienti con terapia anticoagulante in atto. In tutti i pazienti è stato intrapreso un trattamento profilattico antitrombotico utilizzando eparina a basso peso molecolare ai più bassi dosaggi consentiti, iniziato 24 h prima dell’intervento e mantenuto per le successive 3 settimane postoperatorie. Tutti i pazienti sono stati sottoposti all’intervento chirurgico programmato previa esecuzione di anestesia generale ed è stato loro posizionato un saturimetro digitale mantenuto sia intraoperatoriamente che per le 48 h successive. La decisione del protocollo trasfusionale o alternativo, sia intra- che postoperatorio, è stata presa in pieno accordo del team chirurgico-anestesiologico. È stato altresì intrapreso un trattamento antibiotico (amoxicillina 2gr/ev + ac. clavulanico 200 mg/ev) in profilassi (1 h prima intervento) e mantenimento (ogni 8 h x 48 h). Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad analgesia “in infusione continua” nell’immediato (48 h) postoperatorio. Sono stati mobilizzati precocemente (entro 48 h) e, quando possibile, orientati il più velocemente possibile a riprendere l’alimentazione iperproteica già iniziata preoperatoriamente. Risultati Sono stati eseguiti in open 31 interventi di chirurgia maggiore di exeresi neoplastica con ricostruzione one single step, quando necessario, così rappresentati: 1 colectomia totale (poliposi familiare colon); 14 resezioni sec. Hartmann (carcinoma del colon); 3 colectomie destre (cacinoma del colon dx) ; 4 isterectomie (fibromi utero); 3 mastectomie sec. Patey (carcinoma della mammella); 3 gastrectomie totali (carcinoma gastrico); 1 gastrectomia subtotale (cacrcinoma early prepiloro); 2 duodenocefalopancreasectomie (carcinoma del pancreas); 6 interventi di chirurgia media collaterale (2 interventi di colecistectomie; 4 interventi di confezionamento di plastiche x laparoceli). Sono stati seguiti pedissequamente i cardini fondamentali della bloodless surgery eseguendo: dissezione accurata con identificazione e rispetto dei piani anatomici; legature vasali appropriate; utilizzo di strumenti idonei (prevalentemente bisturi RF quando disponibile) nel controllo del sanguinamento; posizionamento di drenaggi (spia), a caduta o in aspirazione a seconda dell’intervento, in tutti i pazienti; accurato controllo emostatico e utilizzo di colla di fibrina o applicazioni similari, quando necessario. Come stabilito nel protocollo non è stato però fatto uso di alcun emoderivato nei pazienti contrari all’utilizzo o identificati come testimoni di Geova. La dissezione chirurgica è stata accurata nel seguire i principi Halstadiani di identificazione e pieno rispetto dei piani anatomici. Sono state eseguite, forse anche in eccesso, attente legature vasali. È stato effettuato un accurato controllo dell’emostasi in tutti gli interventi che, in qualche caso (2 interventi di colectomia sec. Hartmann e 2 interventi di duodenocefalopancreasectomia), hanno comportato un discreto incremento dei tempi operatori (+30/50 minuti), cui è seguita la sutura della parete a strati. I parametri ematici precedentemente identificati preoperatoriamente (Hb, MCV, RBC, WBC, Hct, PT, PTT) sono stati controllati intr-operatoriamente e nell’immediato postoperatorio (ogni 8 h x 72 h) e a distanza di 7 e 30 giorni dall’intervento. In particolare, in 15 pazienti abbiamo registrato discreto sanguinamento con variazione di concentrazione sia di Hb sia di Hct. Di questi, 5 pazienti (1 poliposi familiare del colon, 3 fibromi utero, 1 carcinoma del colon), tutti non testimoni di Geova, hanno subito perdite ematiche intraoperatorie significative (volume perso = 1100 ± 300 ml) con rilevanti variazioni di Hb (range 13-6,5 g/dl) e Hct (39-24%) e pertanto sono stati sottoposti a reintegro della volemia anche con reinfusione delle 2 UI di sangue intero precedentemente ottenuto e depositato. I restanti 10 pazienti (7 carcinomi del colon + 3 testimoni di Geova con 1 cacrcinoma del colon, 1 carcinoma gastrico,1 carcinoma del pancreas) hanno registrato perdite ematiche intraoperatorie discrete (volume perso = 500 ± 300 ml) (Hb range 12,5-8 g/dl) corrette con la sola emodiluizione intraoperatoria (2000-4000 ml) preferendo Ringer Lattato/SF nel rapporto di 3:1. Dai controlli postoperatori dei parametri ematici prefissati (ogni 8 h x 72 h), è emersa una lenta ma progressiva risalita di Hb e Hct per cui non è stato necessario ricorrere ad alcuna emotrasfusione aggiuntiva o infusione di emoderivati nel postoperatorio. Tutti questi 15 pazienti sono stati sottoposti a osservazione clinica cautelativa (6-8 h) nell’unità di TI, prima di rientrare nel reparto di appartenenza, tranne 2 casi (1 duodenocefalopancreasectomia, 1 gastrectomia totale) che hanno necessitato di un periodo di osservazione più lungo (12-36 h). I pazienti (13 di cui: 3 carcinomi della mammella, 7 carcinomi del colon, 1 cacrinoma gastrico + 2 testimonidi Geova con 1 cacrinoma del pancreas e 1 fibroma utero) reclutati nel protocollo estratti cortico-surrenalici + terapia marziale + folati + Vit. B12, non hanno presentato le condizioni per necessitare di terapia emotrasfusionale. I pazienti (3) trattati preoperatoriamente con EPO (2 cacrinomi gastrici, 1 carcinoma del colon), pur registrando un modico sanguinamento intraoperatorio con lieve abbassamento Hb (in media di 1-1,5 g/dl), non hanno necessitato di terapia infusionale aggiuntiva. Abbiamo però segnalato, già nelle prime 72 ore postoperatorie, uno sgradevole effetto post-operatorio collaterale costituito da un rialzo pressorio prevalentemente diastolico che ha necessitato di opportuno trattamento antiipertensivo continuato per tutto il tempo dell’ospedalizzazione. In tutti i pazienti sono stati eseguiti prelievi per controlli di emogasanalisi e equilibrio acido-base. I prelievi sono stati sia intraoperatori sia postoperatori (ogni 12 ore x 72 ore). Tutti i 15 pazienti che hanno subito un importante o discreto sanguinamento e sono stati sottoposti o a infusione del predeposito di sangue omologo o a emodiluizione intraoperatoria integrata da infusione di plasma (non nei testimoni di Geova), sono stati sottoposti a ossigenoterapia a più alti volumi di erogazione (3,5-4 l/min) x 72 ore. Non c’è stata una significativa differenza ematochimica (valutata con emogasanalisi) rispetto i pazienti esentati da O2, ma abbiamo segnalato un’importante differenza clinica con un recupero più precoce. Non abbiamo registrato alcuna mortalità o ulteriore complicanza intra-perioperatoria (7-30 giorni) degna di rilievo. Discussione Dopo lunghi studi e ricerche [11], alla luce delle conoscenze attuali, possiamo esattamente identificare i rischi e le complicanze post-trasfusionali e possiamo inquadrarle in: patologie acute non infettive; patologie acute infettive; immunodeficienze e immunomodulazione; aumentato del rischio neoplastico con riduzione del free-time sia dell’insorgenza primitiva che secondaria delle ripetizioni neoplastiche rispetto i soggetti non trasfusi. Tra le patologie acute non infettive possiamo annoverare: reazioni emolitiche trasfusionali; febbri non emolitiche; reazioni allergiche; reazioni anafilattiche; polmonite acuta post-trasfusionale; reazioni emolitiche trasfusionali ritardate; porpora post-trasfusionale. Ognuna di esse presenta un preciso quadro clinico, a comparsa post-trasfusionale variabile (range: 2-240 h, reazione emolitica trasfusionale = 120 min, porpora post-trasfusionale = 5-10 giorni) e mortalità anche essa variabile. Le patologie acute infettive vedono l’insorgenza di patologie imputabili a: agenti infettivi emergenti (HIV, TSE, BSE); agenti infettivi re-emergenti (West Nile Virus); agenti infettivi sub-emergenti (virus epatopatici, GBV-A/B/C, HGV, TTV, SENV). Immunodeficienze e immunomodulazione sono causate dalla forte azione immunodepressiva scatenata dall’emotrasfusione, responsabile di: abbassamento conta GB; soppressione linfociti T; alterazione rapporto linfociti helper/suppressor; soppressione linfociti B. Da ciò ne consegue riattivazione virus latenti; aumentata morbilità da patologie infettive; aumentata morbilità e mortalità postoperatoria; recrudescenza neoplastica con ridotto disease free-time postoperatorio [12-18]. Nella ricerca di protocolli atti a sostenere le “strategie alternative” alle emotrasfusioni, è fondamentale la dimostrazione che la mortalità intraoperatoria è indipendente dai valori preoperatori dell’ematocrito ed è direttamente correlata alla perdita ematica intraoperatoria [19]. Vari studi dimostrano ancora che la funzionalità cardiaca e la morbilità e mortalità postoperatoria, sono inversamente correlate non tanto alla concentrazione di emoglobina quanto fondamentalmente alla concentrazione dell’ossigeno. Ciò spiegherebbe sia la mortalità in corso di sepsi sia perchè alcuni pazienti riuscirebbero a sopportare bassi livelli di emoglobina [20-22]. Risulta pertanto estremamente attinente, la proposta dell’applicazione del Protocollo definito dall’acronimo PBRANA (Procedure, Benefits, Risks, Answer, Need, Alternatives) [9]. Esso si fonda sulla valutazione dell’eventuale necessità dell’emotrasfusione nonchè delle analisi dei benefici e dei rischi correlati correttamente personalizzati ed espressi a ogni singolo paziente candidato a una trasfusione di sangue o a suoi derivati. Si fonda altresì sull’individuazione di pratiche alternative alle emotrasfusioni cercando di delinearne le principali linee guida: reduce exposure; eliminate/reduce blood loss: evaluate patient before surgery; stop anticoagulants and antiplatelets drugs; intraoperative philosophy: anaesthetic approach: hemodiluition; halstedian principles; pharmacological agents; use blood; autologous predonation; autotransfusion (washed e non washed system); restore rbc mass: iron replacement; nutrition; erythropoietin; use blood substitutes: plasma substitutes; hemoglobin-based solution; perfluorocarbon substitutes. Nel nostro studio abbiamo utilizzato un protocollo PBRANA e, anche se abbiamo preferito un approccio a volte sottostimato e/o diverso rispetto quello consigliato da altri [23, 24], abbiamo fatto tesoro di tutte le ricerche attinenti, per intraprendere uno studio che, anche se iniziale, condotto su un campione esiguo candidato all’esecuzione di interventi programmati in sola elezione, ci ha dato importanti soddisfazioni in linea con i risultati più recenti pubblicati in letteratura [25, 26] validando che: la funzionalità cardiaca e la mortalità sono indipendenti dai valori preoperatori dell’ematocrito e direttamente correlati alla concentrazione di ossigeno legato-libero disponibile; molti pazienti tollerano bassi livelli di emoglobina (<8,5 g/dl) senza necessitare di emotrasfusioni; è possibile preparare adeguatamente all’intervento ogni singolo paziente con appropriatezza e personalizzazione del protocollo alternativo all’emotrasfusione; è possibile utilizzare protocolli alternativi all’emotrasfusione nel rispetto di convinzioni etiche o religiose. Conclusioni La chirurgia senza sangue (bloodless surgery) è nata per minimizzare l’uso trasfusionale di sangue omologo o meglio per sollecitare gli addetti ai lavori al “buon uso del sangue”. Si avvale della ricerca attenta di una sapiente alternativa che riduca o elimini tutti i rischi infettivi e non, legati alle emotrasfusioni. Inoltre, la bloodless surgery, oltre che a far fronte alle difficoltà di reperimento e alto costo di sangue omologo, tenta di rispondere anche alle esigenze di carattere etico e alle convinzioni religiose, spesso inascoltate, di una certa parte della popolazione. Pertanto esistono valide ragioni per investire culturalmente e tecnicamente in procedure e/o protocolli che puntino a un oculato e selezionato impiego delle emotrasfusioni (buon uso). Sarebbe altresì auspicabile sia la promozione di corsi di formazione per operatori sanitari sia la creazione di centri di eccellenza ove eseguire di routine “la chirurgia senza sangue”. Ringraziamenti Gli Autori ringraziano sentitamente il Prof. Pace Alessio per la preziosa collaborazione chirurgica fornita. Conflitto di interesse Nessuno Bibliografia Wintrobe MM (ed) (1908) A history of blood transfusion. Blood pure and eloquent. Mc Graw-Hill, New York, pp 659-683 Harvey W (ed) (1608) Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus. Fitzeri, Frankfurt, pp 17-72 Keynes G (ed) (1949) The history of blood transfusion. In: Blood transfusion. John Wright & Sons, Bristol, pp 1-49 Purmann MG, Lorbeer Krantz oder Wund Artzinei (eds) (1705) Human being to human being and animal to human being transfusions. Frankfurt Blundell J (1818) Experiments on the transfusion of blood by the syringe. MedicoChirugical Transactions IX:56-92 Crile GW (1909) Hemorrhage and transfusion. D. Appleton, New York, pp 1-560 Lister J (1867) On the antiseptic principle in the practice of surgery. BMJ 2:246-250 Weiner AS (ed) (1946) Blood groups and transfusion. 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113 mo Congresso Nazionale Societa' Italiana di Chirurgia
Firenze
2011
113
S.I.C.
Rilevanza nazionale
su invito
5-ott-2011
2011
Settore MED/18 - CHIRURGIA GENERALE
Italian
Intervento a convegno
Fiorito, R. (2011). BloodLess Surgery : a reason to research and to hope.Our experience.. In 113mo Congresso Nazionale della Societa' Italiana di Chirurgia. Milano : Springer -Verlag -Italia.
Fiorito, R
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