Come in un paradosso, gli spazi agricoli rappresentano ancora un vuoto da colmare nell’ambito delle norme e delle prassi con cui si misurano oggi la pianificazione dello sviluppo e l’organizzazione territoriale in Italia. È, infatti, paradossale che dal 1942, anno della prima e ancora vigente legge urbanistica nazionale, gli spazi agricoli siano stati trattati: • in modo residuale ed economicamente marginale nell’impostazione di piani di sviluppo socioeconomico (come poi in sostanza sono tutti gli atti di assetto territoriale) anche più tradizionali (quelli, ad esempio, di prima generazione basati sul solo meccanismo della rendita fondiaria); • come spazi vuoti, in attesa d’essere riempiti da un urbanesimo crescente o definitivamente abbandonati perché a questo inaccessibili; • come indifferenziati, perché troppo vasti e troppo uniformi nell’impianto organizzativo da rendere visibile la loro centralità. Sebbene sia facile attribuire questo grande vuoto alla cultura funzionalista dominante fino agli anni ‘80, strutturalmente condizionata dal dibattito politico ed economico sul tema del profitto e della rendita data l’enorme mole di letteratura accumulata sull’argomento in vari ambiti disciplinari, è bene sottolineare che altre variabili hanno giocato a sfavore di una più precisa collocazione delle aree rurali ed agricole nel processo di pianificazione nazionale. Per cominciare, si possono richiamare alla mente sia i risultati della Riforma agraria sia i suoi sintetici derivati nel “Progetto 80”, l’azione discontinua della Cassa del Mezzogiorno, il conflitto tra modelli di produzione intensiva ed estensiva, la volatilità temporale degli indirizzi programmatici europei e delle politiche regionali rispetto alla periodizzazione dei cicli dello sviluppo agricolo, … E si potrebbe continuare ancora per molto. In questa sede, però, preme soprattutto sottolineare ed approfondire due piani di relazione, che potremmo definire trasversali: • con la città • con l’ambiente È proprio dalla mancata relazione con il primo aspetto, per assenza di città come nel caso del Mezzogiorno, o per una troppo stretta ed equivoca dipendenza da essa come nel caso delle gradi aree urbane del Cenrtro-Nord, che deriva il progressivo indebolimento dei valori ambientali di cui gli spazi rurali sono portatori, intendendo con questo stigmatizzare alcuni dei parametri e dei caratteri irrinunciabili del complesso spazio regionale in cui il territorio si organizza per dettare le proprie regole di pianificazione. Per altro, nel ragionamento sulla pianificazione regionale degli spazi agricoli è raro poter contare su una vera impostazione transcalare, che dettagli gli indicatori in relazione alla scala geografica (regionale, subregionale, locale), così come sembra difficile poter distinguere tipologie di ruralità in ambiti molto diversi tra loro, anche se le economie rurali sono considerate oggi localmente vitali per il mantenimento di quei sistemi produttivi cui non corrispondono strutture socioeconomiche ed insediative stabili (come nel caso dell’area periurbana romana o delle province molisane), essendo ancora possibile leggere le successioni del conflitto che precede l'integrazione: presenza umana discontinua, concentrata in aree geomorfologicamente e climaticamente non sempre favorevoli all'insediamento; assenza di presidi ambientali stabili nonostante l'elevato grado di naturalità delle regioni in cui prevalgono; negazione di un valore sociale ed economico all'ambiente da parte delle comunità insediate. E' dunque lecito chiedersi quale potrà essere - in un futuro che si prospetta privo di quegli effetti distorsivi dovuti al venir meno di una politica di sgravi fiscali anche comunitari - l'assetto geoeconomico da dare a sistemi urbani in cui la predisposizione ad uno sviluppo sostenibile basato sulla permanenza di spazi rurali sembra, ancora una volta paradossalmente, presentare un limite alla crescita equilibrata. In questa sede ci si propone, quindi, di raggiungere due obiettivi: • Offrire un contributo operativo alla definizione dei caratteri generali o di struttura delle economie rurali in ambiti sub-regionali (scala provinciale, con particolare riferimento a quella romana e molisana); • Verificare se un peso/ruolo di rilievo, per la messa a punto di adeguate politiche di di pianificazione territoriale dello sviluppo, possa essere attribuito e con quale grado di innovazione a tipologie d’area rurale e/o agricola.

Prezioso, M. (2003). Teorie e prassi per una 'rural-environmental planning' degli spazi intraurbani alla scala provinciale: sintesi comparata di casi. In Vecchi territori, nuovi mondi: la geografia nelle emergenze del 2000 : atti 28. Congresso geografico italiano : Roma, 18-22 giugno 2000 / a cura di Giovanni Calafiore, Cosimo Palagiano, Emanuele Paratore (pp.1773-1797). Roma : Edigeo.

Teorie e prassi per una 'rural-environmental planning' degli spazi intraurbani alla scala provinciale: sintesi comparata di casi

PREZIOSO, MARIA
2003-01-01

Abstract

Come in un paradosso, gli spazi agricoli rappresentano ancora un vuoto da colmare nell’ambito delle norme e delle prassi con cui si misurano oggi la pianificazione dello sviluppo e l’organizzazione territoriale in Italia. È, infatti, paradossale che dal 1942, anno della prima e ancora vigente legge urbanistica nazionale, gli spazi agricoli siano stati trattati: • in modo residuale ed economicamente marginale nell’impostazione di piani di sviluppo socioeconomico (come poi in sostanza sono tutti gli atti di assetto territoriale) anche più tradizionali (quelli, ad esempio, di prima generazione basati sul solo meccanismo della rendita fondiaria); • come spazi vuoti, in attesa d’essere riempiti da un urbanesimo crescente o definitivamente abbandonati perché a questo inaccessibili; • come indifferenziati, perché troppo vasti e troppo uniformi nell’impianto organizzativo da rendere visibile la loro centralità. Sebbene sia facile attribuire questo grande vuoto alla cultura funzionalista dominante fino agli anni ‘80, strutturalmente condizionata dal dibattito politico ed economico sul tema del profitto e della rendita data l’enorme mole di letteratura accumulata sull’argomento in vari ambiti disciplinari, è bene sottolineare che altre variabili hanno giocato a sfavore di una più precisa collocazione delle aree rurali ed agricole nel processo di pianificazione nazionale. Per cominciare, si possono richiamare alla mente sia i risultati della Riforma agraria sia i suoi sintetici derivati nel “Progetto 80”, l’azione discontinua della Cassa del Mezzogiorno, il conflitto tra modelli di produzione intensiva ed estensiva, la volatilità temporale degli indirizzi programmatici europei e delle politiche regionali rispetto alla periodizzazione dei cicli dello sviluppo agricolo, … E si potrebbe continuare ancora per molto. In questa sede, però, preme soprattutto sottolineare ed approfondire due piani di relazione, che potremmo definire trasversali: • con la città • con l’ambiente È proprio dalla mancata relazione con il primo aspetto, per assenza di città come nel caso del Mezzogiorno, o per una troppo stretta ed equivoca dipendenza da essa come nel caso delle gradi aree urbane del Cenrtro-Nord, che deriva il progressivo indebolimento dei valori ambientali di cui gli spazi rurali sono portatori, intendendo con questo stigmatizzare alcuni dei parametri e dei caratteri irrinunciabili del complesso spazio regionale in cui il territorio si organizza per dettare le proprie regole di pianificazione. Per altro, nel ragionamento sulla pianificazione regionale degli spazi agricoli è raro poter contare su una vera impostazione transcalare, che dettagli gli indicatori in relazione alla scala geografica (regionale, subregionale, locale), così come sembra difficile poter distinguere tipologie di ruralità in ambiti molto diversi tra loro, anche se le economie rurali sono considerate oggi localmente vitali per il mantenimento di quei sistemi produttivi cui non corrispondono strutture socioeconomiche ed insediative stabili (come nel caso dell’area periurbana romana o delle province molisane), essendo ancora possibile leggere le successioni del conflitto che precede l'integrazione: presenza umana discontinua, concentrata in aree geomorfologicamente e climaticamente non sempre favorevoli all'insediamento; assenza di presidi ambientali stabili nonostante l'elevato grado di naturalità delle regioni in cui prevalgono; negazione di un valore sociale ed economico all'ambiente da parte delle comunità insediate. E' dunque lecito chiedersi quale potrà essere - in un futuro che si prospetta privo di quegli effetti distorsivi dovuti al venir meno di una politica di sgravi fiscali anche comunitari - l'assetto geoeconomico da dare a sistemi urbani in cui la predisposizione ad uno sviluppo sostenibile basato sulla permanenza di spazi rurali sembra, ancora una volta paradossalmente, presentare un limite alla crescita equilibrata. In questa sede ci si propone, quindi, di raggiungere due obiettivi: • Offrire un contributo operativo alla definizione dei caratteri generali o di struttura delle economie rurali in ambiti sub-regionali (scala provinciale, con particolare riferimento a quella romana e molisana); • Verificare se un peso/ruolo di rilievo, per la messa a punto di adeguate politiche di di pianificazione territoriale dello sviluppo, possa essere attribuito e con quale grado di innovazione a tipologie d’area rurale e/o agricola.
Congresso geografico italiano
Roma
2000
28.
Rilevanza nazionale
contributo
20-giu-2000
2003
Settore M-GGR/02 - GEOGRAFIA ECONOMICO-POLITICA
Italian
rural plamming; spazi intraurbani; area vasta
Sez. “Processi di crescita e riorganizzazione territoriale degli spazi rurali”
Intervento a convegno
Prezioso, M. (2003). Teorie e prassi per una 'rural-environmental planning' degli spazi intraurbani alla scala provinciale: sintesi comparata di casi. In Vecchi territori, nuovi mondi: la geografia nelle emergenze del 2000 : atti 28. Congresso geografico italiano : Roma, 18-22 giugno 2000 / a cura di Giovanni Calafiore, Cosimo Palagiano, Emanuele Paratore (pp.1773-1797). Roma : Edigeo.
Prezioso, M
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